Il parlamento ha approvato un’iniziativa nata nel 2018 dopo la bocciatura della ‘Scuola che verrà’. I contrari: ‘Propagandistica, vaga e contraddittoria’
Un cantiere di riforma della scuola dell’obbligo da elaborare basandosi su 61 spunti di riflessione in cinque ambiti d’intervento quali il corpo insegnante, l’organizzazione scolastica, i livelli, i contenuti e il ruolo dei genitori. È quello approvato dal Gran Consiglio (43 sì, 21 no e 19 astenuti) aderendo a un’iniziativa parlamentare del 2018 presentata nella forma generica da Sergio Morisoli (Udc) e cofirmatari dal titolo ‘Rinnoviamo la scuola dell’obbligo ticinese’. Atto parlamentare che prendeva le mosse dalla bocciatura popolare della sperimentazione della ‘Scuola che verrà’ a seguito della quale gli iniziativisti ritenevano "urgente e opportuno presentare alcune indicazioni di lavoro per modificare le leggi, i regolamenti e le direttive che reggono la scuola dell’obbligo ticinese". Si passa da "sgravi orari per docenti ultracinquantenni", a "né laboratori né atelier", a "offrire percorsi selettivi e meritori per allievi e docenti", per fare qualche esempio.
«Per non essere tacciati di chi lancia il sasso e nasconde la mano – ha spiegato la genesi dell’iniziativa Lara Filippini (Udc) – abbiamo ritenuto opportuno superare gli steccati partitici e unire le nostre forze e le idee per attuare una vera linea di rinnovamento della scuola ticinese rispettosa della volontà popolare e nel contempo conforme alle necessità reali interne ed esterne al mondo scolastico nonché adatta ad affrontare le sfide a cui i giovani saranno confrontati nei prossimi decenni». Non un’iniziativa puntale, dunque, «ma una richiesta per affrontare insieme degli spunti di riflessione. Rinnovare senza livellare verso il basso ma elevando la qualità della formazione, senza vincoli, tranne che scegliere di cambiare in meglio la situazione della nostra scuola».
Due i rapporti sui tavoli del Gran Consiglio usciti dalla Commissione formazione e cultura. Nell’aderire all’iniziativa, il plenum ha seguito quello di maggioranza firmato da Michele Guerra (Lega) che invitava ad accettare "ai sensi dei considerandi l’iniziativa generica costituendo parallelamente ai diversi e puntuali cantieri già aperti e in via di definizione (livelli nella scuola media), un nuovo processo di riforma generale, che prenda anche spunto e sia in grado di confrontarsi costruttivamente con i temi proposti e contenuti in questo atto". In aula Guerra ha ribadito che si tratta di «un’accorata richiesta nel produrre quell’unità di intenti che è il solo modo per rinnovare la nostra scuola, volta non a portare avanti battaglie di posizione ma a creare una concordanza».
Di parere opposto la relatrice del rapporto di minoranza Daniela Pugno Ghirlanda (Ps). Premettendo che «la nostra è una buona scuola, ma deve continuare a crescere in rapporto dialettico col mondo che cambia, siamo tutti concordi nel volerla migliorare. La questione è che dalle proposte dell’iniziativa non si capisce su cosa si dovrebbe dibattere. Si vuole una riforma o una controriforma della scuola? In quale direzione? Con quali obiettivi? Non troviamo coerente dire di sì all’apertura di un cantiere senza che siano date le premesse per un dibattito». Per la granconsigliera socialista «ai nostri allievi servono invece riforme su temi puntuali, adottate dopo un’adeguata sperimentazione e analisi scientifica, sulle quali si possano esprimere le componenti della scuola e i partiti, molte delle quali sono già in atto. La proposta di aprire un vasto dibattito a partire da idee completamente contraddittorie ci conduce a una dispersione di forze».
In rappresentanza del gruppo Plr, Paolo Ortelli ha espresso il favore all’iniziativa sostenendo che «da sempre il parlamento tende a rivendicare che le proposte sulla scuola pubblica debbano essere condivise ampiamente. Ecco che l’adesione a questo atto parlamentare è da interpretare come l’apertura a discutere e la piena collaborazione con la scuola, i partiti e il dipartimento. Non si tratta di dire al Decs cosa fare, ma di invitarlo a confrontarsi con una serie di nuove sollecitazioni».
Dal canto suo Claudio Franscella (Il Centro/Ppd), firmatario del rapporto di maggioranza ma con riserva, ha sciolto quest’ultima argomentando: «L’iniziativa è stata presentata subito dopo l’esito negativo della sperimentazione sulla ‘Scuola che verrà’ in un momento carico di tensioni. Contiene alcuni intendimenti positivi anche se alla base ci sono interessi propagandistici evidenti. Ma la situazione ora è cambiata, abbiamo avuto modo come parlamento di approvare tutta una serie di misure importanti». Per questo Franscella, come una buona parte del suo gruppo, ha ritenuto che «per evitare di sovraccaricare e creare confusione, prima di fare al governo ulteriori richieste sia necessario aspettare che i cantieri aperti giungano a compimento». E ha aggiunto: «Mi astengo però anche dal rapporto di minoranza che chiude tout court le discussione tra le varie forze politiche».
Avverso all’iniziativa pure il socialista Raoul Ghisletta: «Nei quattro anni trascorsi finora, la commissione non è nemmeno riuscita a fare una disamina su quali dei punti raggiungessero un minimo consenso. A fronte di questo fallimento la maggioranza propone una sorta di costituente plenaria e universale della scuola da cui non sortirà nulla perché le molteplici idee si annulleranno a vicenda. Alla fine rischia di essere una grande cacofonia. È più facile confrontarsi su temi specifici che sui massimi sistemi e il posto per farlo è il parlamento. Senza contare che si creerebbe una nuova spesa per lo Stato». Pronta la replica del democentrista Edo Pellegrini: «Se vogliamo parlare di spesa ricordo a Ghisletta che con ‘La scuola che verrà’ siamo andati avanti per cinque anni e poi la sperimentazione è stata bocciata». E ha specificato: «L’atto parlamentare offre indicazioni di lavoro che non ci siamo inventati ma che abbiamo raccolto dalla società».
Critici verso l’iniziativa gli altri tre interventi dai banchi della sinistra. «Dai test Pisa emerge che il Ticino si trova al di sopra della media svizzera per i risultati degli allievi – ha dimostrato con un grafico Marco Noi (I Verdi) –. Questo indica che la nostra è una buona scuola, anche se migliorabile. Ma l’iniziativa in discussione è eccessivamente complicata e mortificante per tutte le persone che si impegnano nelle sedi scolastiche e nell’amministrazione pubblica». Secondo Angelica Lepori (Mps) «si chiede una grande riforma della scuola allineando una serie di proposte contraddittorie. È vero che alcune sono del tutto condivisibili, come la diminuzione degli allievi per classe o l’aumento degli stipendi dei docenti. Ma molte altre promuovono un concetto di scuola che piega programmi e curricula alle esigenze del mercato». Per Massimiliano Ay (Pc) «la linea proposta è quella neoliberale con cui Morisoli legge la realtà, mentre la nostra è ben diversa in quanto riteniamo che la scuola debba avere come finalità il processo di emancipazione sociale delle nuove generazioni. La priorità è ora procedere con il superamento del sistema dei livelli e unirsi per questa riforma concreta».
Nel proprio intervento i direttore del Decs Manuele Bertoli ha affermato che «tutte le riforme come quelle fiscali, territoriali o sociali, partono sempre da delle tesi di base e ognuno ne ha di diverse. Dal processo di trovare dei punti comuni non si sfuggirà e ci sarà grande discussione». Le grandi riforme, ha concluso il direttore del Decs rifacendosi alla propria esperienza, «sono lunghe e a rischio di cadere portandosi dietro tutto quanto. Meglio dunque una politica dei piccoli passi che porti a dei risultati».