L'appello dell'Associazione industrie in previsione dei tagli: ‘Gli investimenti nell’innovazione devono avere la precedenza rispetto ad altre spese’
«Siamo consapevoli che il Consiglio di Stato e il Gran Consiglio sono chiamati a risanare le finanze. Ma ci deve essere una logica, in base alla quale si tiene conto anche delle esigenze di crescita economica del Cantone e non solo della necessità di sostenere le fasce della popolazione più debole». È la richiesta lanciata dal presidente dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) Oliviero Pesenti, durante la 61a Assemblea generale ordinaria di questo pomeriggio. «Oggi il Cantone spende oltre due miliardi di franchi l’anno per sostenere la spesa sanitaria e sociale. Un altro miliardo di franchi serve per l’educazione e la formazione. Resta un miliardo circa per tutto il resto». Per Pesenti (che però specifica: «Non metto in discussione l’aiuto a chi è più in difficoltà») manca insomma la proporzione tra spesa sociale e sostegno all’innovazione e alla promozione del territorio. L’invito alla politica è quindi: «A trovare le migliori soluzioni, anche a costo di giocarsi parte del consenso elettorale. Come Associazione – ha proseguito il presidente di Aiti – riteniamo che gli investimenti nell’innovazione debbano avere la precedenza rispetto ad altri interventi pubblici. Non accetteremo pertanto una riduzione immotivata dell’impegno pubblico o, peggio, uno smantellamento».
Tra i suggerimenti rivolti alla politica cantonale, evocati da Pesenti, anche quello di valutare una modifica del sistema elettorale insieme all’eventuale introduzione di una soglia di sbarramento per garantire l’operatività del Gran Consiglio. Andrebbe considerata anche la rotazione dei Dipartimenti per sostenere il processo delle riforme. Non si tratta però solo di spostare persone e uffici, bensì di agire con una mentalità e un approccio che considera il cittadino e le aziende contribuenti come i proprio clienti», ha affermato Pesenti, che ha anche ricordato come siano passati 30 anni dalla Riforma del Lago d’Orta quando si definì un riassetto parziale della struttura decisionale.
L’invito (rinnovato) è quindi a un «patto di paese fra economia, cittadini e Stato per operare nella stessa direzione». Unità d’intenti che, secondo Pesenti, deve concentrarsi su una serie di punti. Tra quelli citati durante il discorso all’Assemblea: garantire l’approvvigionamento energetico a prezzi sostenibili, rivedere (pur mantenendo i principi) la strategia energetica 2050 e il Piano energetico e climatico cantonale, procedere alla riforma della Legge tributaria e riformare l’imposizione fiscale delle successioni aziendali. E per quanto riguarda l'istruzione dei giovani «occorre aprire un tavolo di confronto e discussione fra imprese, Stato, studenti e famiglie per lavorare al cantiere della scolarità obbligatoria e della formazione professionale. Bisogna tornare a insegnare alle ragazze e ai ragazzi a imparare. Non riteniamo – ha specificato Pesenti – sia necessario stravolgere il mondo della scuola ma pensiamo che la nostra scuola debba trovare una sua nuova strada per affrontare e gestire il cambiamento che sta avvenendo a livello economico».
L’assemblea – che ha visto la presenza di autorità cantonali, comunali e federali, oltre a rappresentanti del mondo economico ticinese e lombardo – si è tenuta a Chiasso. «Un territorio di confine a noi caro – ha dichiarato il presidente di Aiti –. Tra Ticino e Lombardia deve nascere un’alleanza strategica di tipo politico ed economico. Siamo due territori con caratteristiche e problematiche simili. È impensabile continuare a rubarci la manodopera, dobbiamo entrare in una logica del confronto».
Sono poi state ricordate le difficoltà che toccano le aziende in questo periodo, dai rincari alle difficoltà di approvvigionamento. Senza dimenticare le «nuove preoccupazioni» legate alla situazione bancario-finanziaria. «C’è il pericolo di una possibile deindustrializzazione del Ticino. Un settore che contribuisce per il 21% al Pil cantonale», ha evidenziato Pesenti. «Diverse aziende di Aiti, alcune molto importanti per il territorio, hanno manifestato preoccupazione e la possibilità di dismissione parziale dell'attività. Il loro spostamento fuori dal Ticino non è più un’utopia». L’appello finale – rivolto a tutti – è stato quello di «serrare i ranghi e di credere in un vero patto di paese».