Per la delegata cantonale all’integrazione Michela Trisconi il rischio razzismo potrebbe presentarsi in futuro con l’entrata nel mercato del lavoro
È giusto leggere lo slancio di accoglienza verso i rifugiati ucraini in chiave discriminatoria rispetto a quanto riservato ad altri profughi per cui sono previsti percorsi molto più tortuosi per l’accesso ad aiuti e statuti stabili? Si tratta di una delle domande attorno a cui si è riflettuto lunedì sera durante la tavola rotonda organizzata all’Università della Svizzera italiana nell’ambito della Settimana cantonale contro il razzismo. Tra i vari partecipanti legati al mondo accademico, delle Ong e del giornalismo, era presente anche Michela Trisconi, delegata cantonale all’integrazione, secondo cui «esiste una gerarchia, ma a mio parere non è tanto di tipo etnico quanto legata al carattere eccezionale del fenomeno, a cui è stata data una risposta altrettanto eccezionale, nonché alla tipologia di rifugiati con cui siamo confrontati». Per Trisconi da una parte si è agito sull’emergenza di una situazione del tutto nuova negli ultimi anni alle nostre latitudini: «C’è una nazione con un governo democraticamente eletto che è stata invasa a 2’000 chilometri di distanza da noi, quindi con una certa continuità territoriale, che ha provocato la fuga di oltre 2 milioni di civili, perlopiù donne e bambini, nel giro di poche settimane. Senza voler stabilire delle graduatorie tra le tragedie, mi sembra invece diverso il discorso per le altre migrazioni causate da conflitti civili come è il caso della Siria che ha provocato un esodo progressivo sull’arco oramai di oltre 10 anni che la Svizzera ha affrontato con le procedure ordinarie». Un gioco di forze dunque diverso. Dall’altra parte secondo la delegata all’integrazione l’empatia nel caso dell’Ucraina è molto maggiore in quanto si tratta prevalentemente di donne, bambini e anziani: «Il target della popolazione che si sta spostando è quello più vulnerabile per cui la dimostrazione di generosità risulta più grande.». E proprio per questa composizione, spiega Trisconi, si sentono suonare i primi campanelli di allarme: «Uno dei rischi è che donne e minori non accompagnati finiscano nelle mani sbagliate ed entrino nel giro della tratta di essere umani».
Quanto al pericolo, dopo l’attuale ondata di solidarietà, dell’emergere di sentimenti xenofobi rispetto ai profughi ucraini, stando a Trisconi questo potrebbe presentarsi nel caso in cui, come accaduto per la popolazione fuggita negli anni Novanta dal conflitto nei Balcani, rimangano nel nostro Paese: «Sappiamo che il Ticino ha un mercato del lavoro più complicato di altri cantoni. Se queste persone decidono o si trovano nelle condizioni di dover restare e intraprendere un percorso di integrazione socioprofessionale, sussiste il rischio che entrino in concorrenza sul mercato del lavoro con il resto della popolazione e questo può creare reali problemi».
Rispetto invece a episodi di ostilità nei confronti di persone russe in Ticino, il Servizio di integrazione per gli stranieri coordinato da Trisconi non si occupa di raccogliere direttamente le segnalazioni. Per questo esiste un consultorio partner, denominato Centro per la prevenzione delle discriminazioni (discriminazione.ch) attivo a Lugano, per la consulenza e l’accompagnamento in caso di episodi di razzismo. Mentre per le segnalazioni dei discorsi di odio su internet è stata creata una piattaforma nazionale, reportonlineracism.ch, attivata da qualche mese e che si pone come progetto pilota della Commissione federale contro il razzismo. «Per ora è un fenomeno di cui ho conoscenza solo attraverso i media – considera la delegata all’integrazione –. Per capire se rubricare i casi sotto episodi di razzismo bisogna analizzarli nel dettaglio. Non li considererei tutti tali, ma l’impressione è che esista comunque una sorta di aggressività che sta insorgendo di fronte a questa ingiustizia perpetrata su un popolo. È innegabile che anche la comunità russofona è in difficoltà ed è vittima indiretta di quello che sta capitando». Trisconi solleva anche la questione relativa alla conversione online di molti profili social che fino a poco tempo fa erano attivi nella campagna antivaccinale: «Si nota la transizione da teorie complottiste a posizioni di negazione della responsabilità di un Paese che ne invade un altro. È un discorso di odio che si veste in più salse e si pone in antagonismo a quanto riporta la maggioranza dei media».
In generale di fronte a sentimenti di contrasto nei confronti di una comunità, afferma Trisconi, «come Servizio integrazione saremo chiamati a promuovere campagne di sensibilizzazione e spiegazione nei confronti della società per disinnescare pregiudizi e stereotipi che sarebbero da ostacolo sia nella convivenza comune sia per le politiche di integrazione e di accoglienza nei confronti delle popolazioni straniere».
Al momento, le principali sfide sono quelle che il Piano di accoglienza in tre fasi presentato dal Cantone la settimana scorsa: «La priorità attualmente è posta sull’accoglienza, la cura di queste persone che rappresentano le fasce della popolazione più vulnerabili. Parliamo in particolare della valutazione dello stato di salute in entrata, dell’attivazione dei sostegni sia medici che psicologici da parte della rete sanitaria e della ricerca di un alloggio. Noi come Servizio integrazione ci occupiamo più che altro di accogliere delle offerte di numerosi volontari che si sono messi a disposizione a supporto dei centri di affluenza. In futuro s’intende offrire delle attività sia per gli adulti che per i minori. Nel frattempo continuiamo i normali progetti di integrazione rivolti a tutti gli altri stranieri come era già stato definito prima di questa emergenza».
Ampliando la panoramica proprio sul resto della popolazione migrante, dal rapporto nazionale del 2020 "Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza" risultato della raccolta dati delle segnalazioni in tutta la Svizzera del sistema di documentazione e monitoraggio DoSyRa, risulta che «il ruolo dei pregiudizi e delle ideologie solo la prima causa della xenofobia, poi del razzismo contro le persone afrodiscendenti, ossia del razzismo nei confronti delle persone nere. In terzo luogo si registra l’ostilità verso i musulmani. Quanto agli ambiti della vita, il maggior numero di discriminazioni è stato constatato nei posti di lavoro, nel contesto dei rapporti di vicinato, nello spazio pubblico e nell’amministrazione pubblica per la quale si scrive che può essere un veicolo di discriminazione strutturale in merito alla disparità di trattamento».
Quali le soluzioni in ottica preventiva? Il presupposto, per Trisconi, è che l’integrazione deve andare in due sensi: «Serve il coinvolgimento degli stranieri ma anche della popolazione locale. Quasi tutti i progetti che finanziamo poggiano sulla copresenza di persone indigene. Sosteniamo dei progetti ad esempio nella città di Lugano che si stanno espandendo su più quartieri per creare un tessuto sociale dove convergono sia la popolazione locale che migrante. Anche Chiasso da qualche anno presenta delle proposte molto interessanti che stiamo sostenendo in maniera molto attiva perché riteniamo molto virtuosi in quanto anche in questo caso cercano di creare delle sinergie con tutta la popolazione. Cito tra le manifestazioni positive svolte nei comuni grazie all’apporto di numerose associazioni, la festa dei vicini, le colazioni in piazza, la festa dei quartieri, il Mondo al Parco… . Durante i due anni di pandemia purtroppo hanno subito un forte contraccolpo, ma adesso stanno tornando». Obiettivo ultimo, dunque, è quello di favorire la coesione sociale e le pari opportunità in seno alla popolazione ticinese e alle quasi 200 nazionalità che la compongono.