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‘La Polizia cantonale sa, e da tanto tempo, cos’è la mafia’

Il deputato e già ufficiale Galusero replica all’ex pp federale Cappa. ‘Senza memoria storica, si rischia di lanciare messaggi fuorvianti e dannosi’

Traffico di droga e soldi da riciclare
(Ti-Press/A. Crinari)
17 febbraio 2022
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«Quando ci si esprime pubblicamente sul fenomeno delle infiltrazioni mafiose in Ticino bisogna avere anche memoria storica. Altrimenti si rischia di lanciare messaggi fuorvianti e dannosi, come ritengo sia avvenuto in questo caso». A Giorgio Galusero, deputato liberale radicale al Gran Consiglio ed ex ufficiale della Polizia cantonale, non sono proprio andate giù alcune delle dichiarazioni rilasciate di recente dall’avvocata Rosa Cappa a Tio/20 Minuti. Non ha digerito interrogativi e dubbi sollevati dalla già procuratrice federale (dal 2003 al 2015) sulla preparazione delle nostre forze dell’ordine a fronteggiare la mafia. "La Polizia cantonale sa cos’è la mafia?", titolava l’altro ieri Ticinonline, attribuendo il virgolettato all’ex magistrata. Polizia cantonale che, secondo Cappa, necessiterebbe "di maggiori attrezzature tecnologiche, ma soprattutto di più formazione specifica". E poi: "I nostri poliziotti sanno cos’è la mafia, come funziona? Sanno riconoscere se dietro a un reato finanziario o a uno spaccio di stupefacenti c’è qualcos’altro?". Pronta la replica di Galusero: «La Polizia cantonale sa cos’è la mafia, e la storia giudiziaria ticinese lo dimostra, e sa riconoscere i reati spia. Potrei allora riformulare le domande di Cappa, di cui non discuto le competenze giuridiche, raggruppandole in una sola: la Procura federale, per la quale l’avvocata ha lavorato per dodici anni, sa cos’è la mafia? Chiederselo è più che opportuno, dato che di processi per criminalità organizzata di stampo mafioso se ne sono visti finora ben pochi al Tribunale penale federale. Alcuni di questi pochi casi - rincara il granconsigliere - sono stati addirittura rispediti dal Tribunale federale al Tpf per un nuovo giudizio. Senza dimenticare la tribolata inchiesta del Ministero pubblico della Confederazione denominata Quatur».

Galusero, ha parlato di messaggi fuorvianti. Fuorvianti e dannosi perché?

Perché lasciano intendere che la Polizia cantonale non sia in grado di contrastare le organizzazioni mafiose e questa è musica gradita alle orecchie dei mafiosi. Ma le cose non stanno così e lo dico anche in base alla mia lunga esperienza nell’Antidroga. Nella Cantonale ci sono stati e ci sono validi investigatori. È grazie anche al loro prezioso lavoro che in Ticino sono stati catturati latitanti: esponenti della Camorra, di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta. Che sono state condotte grosse indagini. Anche contro la mafia turca. Come quella che portò al sequestro a Bellinzona di cento chili di eroina e all’arresto di Haci Mirza e dei fratelli Magharian, un’operazione con contraccolpi pesanti pure sul piano politico. Mi riferisco alle dimissioni nel 1989 della consigliera federale Elisabeth Kopp per violazione del segreto d’ufficio: aveva telefonato al marito consigliandolo di lasciare il consiglio di amministrazione di una società sospettata di riciclaggio. Penso inoltre a indagini di polizia come ad esempio la ‘Cartagine’. Per non parlare dei processi. Come quelli tenutisi a Lugano sulla ‘Pizza connection’ e come quello, anni dopo, a carico di un avvocato di origini calabresi, da tempo trapiantato in Ticino, che aveva riciclato per ’Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra. Quell’avvocato venne condannato anche per organizzazione criminale: era il giugno 2003 e fu il primo caso in Svizzera di applicazione dell’articolo 260ter del Codice penale svizzero. Se questo processo venne celebrato lo si deve anche al gran lavoro investigativo di due inquirenti della Polizia cantonale. Se non si considera questo contesto storico, si rischia, ripeto, di veicolare messaggi fuorvianti.

Mettiamola così: si può e si deve fare di più nella lotta alla mafia?

Si può sempre fare di più. Intanto però non dimentichiamoci di quanto fatto in passato per trarre i giusti insegnamenti. Quale deputato ho sollecitato, tramite atti parlamentari e intervenendo nei dibattiti sui conti del Cantone, per esempio il potenziamento dell’intelligence in seno alla Polizia cantonale. Così come ho già sollecitato pubblicamente un potenziamento del Nucleo compiti speciali, il servizio della Cantonale che collabora con la Polizia federale e che monitora anche i fenomeni legati alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Ma ricordo pure che la nostra Polizia ha proposto a Berna, a più riprese e con successo, l’emanazione di divieti di entrata e di decreti di espulsione di persone considerate pericolose. E ricordo pure che nel frattempo è stato creato nella Polizia cantonale, per decisione del Comando e del Dipartimento istituzioni, un reparto giudiziario per incrementare anche il lavoro di intelligence a supporto delle autorità inquirenti federali cui compete di principio il perseguimento penale delle organizzazioni criminali. A livello politico, mi permetto di rammentare la proposta del mio gruppo parlamentare di dar vita a un pool antimafia che coinvolga Stato e privati.

Allude alla mozione inoltrata lo scorso dicembre?

Esattamente. È stata presentata da Matteo Quadranti per il gruppo Plr: la mozione propone l’istituzione di un gruppo di coordinamento - nel quale siano rappresentati magistratura e uffici amministrativi, cantonali e federali, associazioni economiche e organizzazioni sindacali - chiamato a suggerire misure per contrastare il fenomeno mafioso in Ticino. Ma non bisogna agire solo sul piano delle strutture.

Cioè?

Occorre muoversi, e al più presto, anche sul piano legislativo. Fornendo agli inquirenti strumenti normativi adeguati per un perseguimento efficace in Svizzera delle organizzazioni mafiose. Strumenti che devono essere individuati dalla politica federale, essendo in ballo il Codice penale e quello di procedura. Credo che sia giunto anche il momento di riflettere seriamente – rivedendola, spero – la ripartizione delle competenze tra organi inquirenti federali e organi inquirenti cantonali nel perseguimento del reato di organizzazione criminale. Insomma, è ora sugli aspetti legislativi che il dibattito pubblico deve concentrarsi.