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Conflitto ucraino, costi maggiorati per linee di credito

Chi opera nel commercio delle materie prime dal Ticino non segnala difficoltà sul terreno, ma maggiori oneri assicurativi e finanziari

(Depositphotos)
16 febbraio 2022
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«Non sappiamo quante imprese ticinesi abbiano delle attività economiche in Ucraina. In questo particolare momento non credo molte, probabilmente nessuna». Così Monica Zurfluh, responsabile del settore Commercio internazionale della Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato del Cantone Ticino.

L’interscambio commerciale tra Svizzera e Ucraina è stato – a fine 2018 – pari a 540 milioni di franchi su un totale del commercio estero svizzero di oltre 260 miliardi di franchi. «Un dato tutto sommato modesto, anche se dal punto di vista ucraino la Svizzera risulta essere il quinto investitore estero in quel Paese».

Il contributo ticinese a quel dato è probabilmente una frazione ancora più piccola. «Dal nostro osservatorio non abbiamo notizie di imprese ticinesi che operino direttamente in Ucraina. Spesso si tratta di aziende che producono per conto di altre imprese svizzere o estere che a loro volta hanno dei canali commerciali in quel mercato», aggiunge Monica Zurfluh. Parliamo di merci e servizi prodotti in Svizzera ed esportati in Ucraina e viceversa.

Da molti mesi venti di guerra soffiano in modo intermittente in quell’area dell’Est europeo. Le truppe russe ammassate alla frontiera con le regioni ribelli ucraine del Donbass, in una sorta di Risiko che sta riproponendo la vecchia guerra fredda tra Occidente e Oriente, tra Usa e Russia, erede di quella che fu l’Urss. Le conseguenze di un conflitto armato sarebbero drammatiche sia dal punto di vista delle perdite umane, sia da quello economico. Ricordiamo che buona parte del gas con il quale buona parte delle famiglie europee (svizzere comprese) scaldano le loro case arriva dalla Russia via Ucraina. In queste ore arrivano notizie di distensione e del ritiro di alcune truppe russe dal confine tanto da far stemperare il livello di allerta.

Dal Ticino sono una decina le aziende, con circa cento persone, attive nel settore del commercio delle materie prime che hanno fornitori in quell’area. Marco Passalia, segretario della Lugano commodity trading (Lca), associazione che rappresenta gli interessi di queste imprese, afferma che la preoccupazione per una escalation degli eventi in Ucraina c’è, «ma è più un sentimento indotto dalle notizie e dalle attese, più che da fatti concreti».

Com’è la situazione? Le imprese con sede in Ticino e attive nel commercio internazionale di materie prime hanno difficoltà a rifornirsi da fornitori ucraini?

Da quanto ho sentito in questi giorni in seno alla Lcta, no. Ci sono aziende che operano proprio nella regione di Donetsk, una delle zone contese tra Ucraina e Russia al confine est, e non hanno avuto problemi a rifornirsi. Le aziende locali hanno continuato a lavorare senza interruzione nelle ultime settimane.

Siamo principalmente nel campo delle cosiddette soft commodity (cereali, legname, ndr). E per le materie prime classiche, come quelle legate al mondo della siderurgia (acciaio e carbone), ci sono più problemi?

È la stessa cosa, non si segnalano particolari difficoltà. Anche chi opera nei noli marittimi e quindi nel trasporto di queste navi, non ha problemi ad accedere ai porti ucraini sul Mar Nero e ripartire. Paradossalmente sul terreno la situazione di tensione – a quanto riferito da chi conosce la zona – è percepita meno pericolosa rispetto a quanto leggiamo qui in Occidente. Questo non vuol dire che non stia succedendo nulla, ma meno di quanto si possa immaginare. Delle conseguenze economiche comunque ci sono.

Di che tipo?

Sono conseguenze indirette del conflitto latente. E sempre negative per il mondo delle imprese e anche in definitiva per i consumatori che pagheranno di più il prodotto finito. Le aspettative di una guerra hanno fatto aumentare il rischio Paese. Le banche, per esempio, hanno ridotto le linee di credito alle aziende ticinesi che operano in quella zona o fatto crescere i costi di finanziamento. Anche i premi assicurativi per l’export o il rischio credito sono aumentati negli ultimi mesi. Sono maggiori costi che si sono aggiunti agli aumenti indotti dalla ripresa post pandemica.

Chi opera nel trading di materie prime ha spesso come controparte anche aziende russe, che si trovano di fatto dall’altra parte del fronte. Come si confrontano in questo contesto che sta mutando?

Anche in questo caso a essere aumentato è il rischio Paese, più che le difficoltà di accesso o di operare in quel mercato e quindi tutto ciò che ne consegue (finanziamenti e assicurazioni più cari, ndr). Un altro timore è quello di sanzioni internazionali che possano colpire le banche russe o soggetti con interessi in Russia. L’instabilità politica o economica non è mai una buona cosa.

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