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‘Conciliazione nel penale, percentuali di riuscita eccezionali’

Dopo la mozione di Soldati e cofirmatari, parla il pg Pagani: ‘Condivido la richiesta’. Numeri e considerazioni su uno strumento che ‘funziona’

Il procuratore generale Andrea Pagani
(Ti-Press)
3 febbraio 2022
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Conciliazione nel penale: «Lo strumento funziona, lo attestano i numeri», sottolinea il procuratore generale. «ll tasso di riuscita, negli incarti concernenti reati perseguibili a querela di parte per i quali come Ministero pubblico proponiamo la conciliazione, sfiora infatti il 90 per cento – rileva –. E a beneficiarne è pure l’attività della Procura e della Polizia cantonale: il raggiungimento di un accordo fra le parti comporta l’abbandono del procedimento penale e ciò sgrava gli inquirenti di incartamenti la cui evasione, sebbene riguardino casi cosiddetti minori, richiede del tempo fra atti istruttori, come gli interrogatori, magari anche di testimoni, e decisioni finali, quali decreti di accusa o di archiviazione. Procuratori e poliziotti possono di conseguenza concentrarsi maggiormente sulle grosse inchieste, su fattispecie più impegnative. L’importante – tiene a puntualizzare – è che a condurre le procedure conciliative, affinché abbiano successo, siano dei giuristi o delle giuriste con un’adeguata formazione per questo specifico compito». Un compito che il pg Andrea Pagani ha affidato «alla fine del 2018» a «una risorsa interna» all’autorità giudiziaria che dirige da poco meno di quattro anni: un segretario giudiziario. «È un giurista che da molti anni lavora in Procura e al quale – spiega – i pp trasmettono quegli incarti per cui, ritengono, vale la pena tentare la conciliazione. Il segretario giudiziario tiene così le udienze con le parti e si adopera perché le stesse giungano a un accordo. In quasi il 90 per cento dei casi, ripeto, l’accordo viene trovato».

Pagani condivide quindi «di principio» la richiesta avanzata recentemente da sette parlamentari di “potenziare” la conciliazione in seno al Ministero pubblico, anche per alleggerire il carico di lavoro dell’autorità di perseguimento penale. Con una mozione, le deputate Roberta Soldati (Udc e prima firmataria), Sabrina Aldi (Lega), Maddalena Ermotti-Lepori, Sabrina Gendotti (ambedue del Ppd), Daria Lepori (Ps) e Cristina Gardenghi (Verdi) e il granconsigliere Matteo Quadranti (Plr) sollecitano il Consiglio di Stato ad “attivarsi al più presto” per dotare la Procura di “personale formato adeguatamente, sia dal profilo teorico che da quello pratico, in materia di conciliazione”. Personale che “può essere reclutato e formato all’interno dell’Amministrazione cantonale”. La conciliazione in ambito penale, si ricorda nell’atto parlamentare, è prevista dall’articolo 316 del Codice di procedura. Se il procedimento concerne reati perseguibili a querela di parte, recita il 316, “il pubblico ministero può convocare il querelante e l’imputato a un’udienza di conciliazione”.

Procuratore generale Pagani, prima ha parlato di numeri. Quali?

Sono quelli di cui dispone il Ministero pubblico sostanzialmente dal 2019. La possibilità per i procuratori di far capo allo strumento della conciliazione esiste dal 2011, l’anno in cui il Consiglio federale ha posto in vigore la riformata procedura penale. Prima della mia entrata in carica come pg, il Ministero pubblico ricorreva molto di rado alla conciliazione. Verso la fine del 2018, dopo aver assunto la funzione di procuratore generale, ho individuato al nostro interno la persona, un segretario giudiziario appunto, che secondo me avrebbe potuto occuparsi con profitto delle procedure conciliative. Ho così chiesto ai pp di proporre la conciliazione ogni volta che la considerassero possibile e pertanto di trasmettere i relativi incarti a questo segretario giudiziario. Nel corso del 2019 gli incarti oggetto di conciliazione sono stati 311: il 90,7 per cento di questi è sfociato in un accordo fra le parti. L’anno seguente gli incarti erano 293: il 90,2 per cento è sfociato in un accordo. Nel 2021 284 incarti e conciliazione avvenuta nell’88 per cento dei casi. Percentuali che definisco eccezionali, ottenute grazie anche alla bravura del nostro conciliatore.

Le fattispecie al centro delle procedure conciliative?

In generale nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di reati contro l’onore, dunque ingiurie, diffamazioni e calunnie. Ma anche di liti di vicinato. O di molestie telefoniche che sono al limite della coazione, dello stalking per intenderci, che sono cioè al limite di un reato perseguibile d’ufficio. Va precisato che non tutti gli incartamenti per reati perseguibili a querela di parte finiscono in procedura conciliativa. L‘articolo 316 del Codice di procedura penale afferma che il pubblico ministero ‘può’, non deve, convocare querelante e imputato a un’udienza di conciliazione. Il pp dispone insomma di un certo margine di apprezzamento. E in base anche alla sua esperienza, vede praticamente subito dal tenore di una denuncia se vi sono o meno spazi per un tentativo di conciliazione.

Perché tentare la conciliazione?

Guardi, nei reati perseguibili a querela di parte una condanna o un’archiviazione non sempre risolvono una situazione. Una delle parti non sarà comunque soddisfatta della decisione presa dal procuratore e cercherà di riattivare la vertenza con una nuova denuncia. La conciliazione invece mette d’accordo, per definizione, denunciante e denunciato. Accontenta entrambi. Convenire per esempio un risarcimento evita l’avvio di un’istruttoria che potrebbe avere anche un esito diverso da quello atteso dall’autore della querela o che potrebbe avere conseguenze particolarmente pesanti per il condannato. Conciliare, dati ovviamente determinati presupposti, conviene insomma a entrambe le parti. Alla luce dell’esperienza sin qui fatta, abbiamo notato che la conciliazione scongiura la recidiva, il ripetersi di situazioni che erano state all’origine della querela.

Un accordo per evitare comunque che la giustizia faccia il suo corso?

No e per le ragioni anzidette. Se la conciliazione riesce, il procedimento penale viene abbandonato. Altrimenti il pp avvia l’istruttoria. La giustizia dunque non ci rimette. Aggiungo che la mancata comparizione del querelante all’udienza di conciliazione senza una valida giustificazione, e nonostante la convocazione sia stata intimata nelle forme corrette, equivale per legge al ritiro della querela.