Dal 2017 le richieste accolte a livello ticinese per i ‘casi di rigore’ si sono ridimensionate di molto. E il Ps ne chiede conto al governo
Ci sono nomi noti della politica, della cultura e della società; e ci sono le firme di semplici cittadini. In tanti hanno sottoscritto l’appello per India e la sua famiglia e aderito – in primis il vescovo Valerio Lazzeri – alla campagna della Fondazione Azione posti liberi. Una volta di più la comunità locale si è, dunque, mobilitata per accendere i riflettori su casi e storie che, di converso, passerebbero sotto silenzio. Finendo con l’essere un numero in più nella statistica delle richieste rifiutate e dei rimpatri forzati portati a compimento. È il destino, amaro, che si vuole evitare alla diciannovenne, oggi studentessa del Centro professionale commerciale di Chiasso, da dieci anni in Ticino con la madre Munaja e il fratello Nur. Sin qui dalle autorità ha sempre ricevuto risposte negative, ma la base legale per ottenere un permesso di dimora come ‘caso di rigore’ esiste. È ancorata lì nella Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione e nella Legge sull’asilo (qualsiasi sia lo statuto del richiedente). Gli argomenti a favore di questa famiglia, del resto, non mancano. Perché il nucleo familiare, ‘sans papiers’, è originario della fascia di confine fra l’Etiopia e l’Eritrea: una realtà alla quale non appartengono più e che non li riconosce come cittadini (di fatto sono apolidi). E perché rispondono a un criterio chiave in questi ultimi anni: il grado di integrazione, testimoniato dal percorso scolastico dei ragazzi e dalla loro quotidianità (seppur sospesa e limitata).
In effetti, per ‘scarsa’ integrazione in diversi non sono riusciti a staccare il permesso di restare. E qui le statistiche federali portate alla luce di recente da un atto parlamentare del Ps – prima firmataria Anna Biscossa – sono illuminanti. In buona sostanza, "appare evidente – si legge nell’interrogazione indirizzata al governo – come dal 2017 vi sia stato un cambiamento molto importante nella prassi dell’uso dello strumento ‘casi di rigore’ da parte del Canton Ticino”. Le richieste accolte, infatti, rispetto agli anni precedenti si sono assottigliate. Come dire che le maglie cantonali si sono ristrette, soprattutto rispetto ad altri cantoni. La domanda dei gran consiglieri socialisti al Consiglio di Stato è diretta: si intende intervenire sul caso di India, perorando la sua causa davanti alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) e facendo capo allo strumento dei ‘casi di rigore’? D’altro canto, sul fronte dei permessi, come ci rende edotti il direttore di Sos Ticino Mario Amato, nel passato recente si viaggiava al ritmo di una decisione o una revoca alla settimana. Solo nel 2021 si è rallentato un po’.
Con le sue domande il Ps va dritto al punto. «Non solo la discrepanza rispetto a prima del 2017, ma soprattutto quella tra i numeri ticinesi e quelli degli altri cantoni è eclatante – fa notare la gran consigliera Biscossa –: come è possibile che anche cantoni molto più piccoli e con meno richiedenti l’asilo si attivino in difesa di molti più migranti con lo strumento del caso di rigore? Per noi è essenziale capire a cosa è dovuta questa differenza, dato che l’operato del cantone è essenziale per il riconoscimento del diritto d’asilo: casi come quello di India rendono evidente quanto sia urgente l’impegno umanitario delle autorità locali – sottolinea la deputata –. Insieme agli altri firmatari ritengo dunque che sia opportuno chiarire scelte e procedure adottate nel trattamento di questi casi, anche per evitare eventuali disparità di trattamento tra richiedenti. Allo stesso tempo, con questa interrogazione vogliamo fornire uno spunto: data la complessità delle valutazioni sul grado di integrazione dei migranti – valutazioni che giocoforza finiscono per coinvolgere numerosi dipartimenti – potrebbe essere opportuno che a decidere sul preavviso da fornire alle richieste sui casi di rigore sia il Consiglio di Stato in corpore, invece di un singolo funzionario o Dipartimento».
Per il momento il Dipartimento delle istituzioni, contattato da ‘laRegione’, non si pronuncia e rimanda alla risposta all’interrogazione, che dovrebbe giungere a breve. I numeri federali, però, parlano da soli. Cosa è successo a livello cantonale negli ultimi quattro anni? Abbiamo allora girato l’interrogativo a Mario Amato, direttore del Soccorso operaio svizzero oltre che responsabile del Servizio giuridico, che storie simili a quelle di India le tocca con mano quasi ogni giorno. «Cosa è accaduto? Sono cambiate la prassi e la politica migratoria del Cantone rispetto a qualche tempo fa – ci risponde il legale –. Una tendenza che si vedrà se nei prossimi anni verrà confermata. Di certo dal 2017 l’Ufficio della migrazione è divenuto più restrittivo, per tutta una serie di ragioni, sui ‘casi di rigore’ e quindi sulla possibilità di una persona di passare dal permesso F al permesso B». Capita che la procedura non arrivi neppure a termine. «Il cantone ha la competenza di rilasciare un permesso, previo preavviso positivo della Sem. Per nostra esperienza – ci spiega Mario Amato – spesso questi casi si fermano prima e non arrivano sul tavolo della Segreteria di Stato della migrazione. La motivazione? Nella decisione in genere si afferma che non si è di fronte a una integrazione rilevante». Una valutazione che spegne ogni speranza e fa scattare la bocciatura. «Oggi, in effetti, è diventato più difficile arrivare in fondo alla richiesta di un permesso di dimora».
Prassi e rapporti tra Sem e autorità cantonali, d’altra parte, sono chiari. La Segreteria non intende soffermarsi sul caso singolo (di India) – questione di protezione dei dati –, ma sui rispettivi ruoli istituzionali non si discute. Come si procede? Caso per caso e soppesando in modo puntuale gli interessi in gioco rispetto a un rinvio. Rimpatrio che viene eseguito dal cantone. In ogni caso, conferma da noi raggiunta la portavoce Anne Césard, i cantoni sottopongono solo dossier fondati e ben documentati. Ciò che dà modo alla Sem di accogliere le domande. Certo, occorre distinguere. «Se il cantone non ritiene che un caso sia di rigore – precisa la portavoce –, non viene trasmesso alla Sem. E qui il richiedente può appellarsi ai Tribunali cantonali». Per contro, davanti a un rifiuto federale, una via di ricorso è quella del Tribunale amministrativo federale.