No, secondo il governo cantonale, che spiega come l’uso di pesticidi per preservare la produzione di uva e vino non impatti poi troppo sugli insetti
L’avrete sentita e letta sui social almeno cento volte. Beccatevi la centounesima: “Se l’ape scomparisse, all’uomo resterebbero quattro anni di vita” (Albert Einstein). Saltando dagli insetti ai bovini possiamo dirvi subito che si tratta di una bufala: Einstein non l’ha mai detto e un calcolo del genere è quantomeno azzardato. Però rende bene il problema, che tale resta. In quanto insetti impollinatori, le api garantiscono la vita della nostra flora, inclusi i frutti che ce ne vengono. La loro esistenza però è a rischio, e con essa quella del nostro ecosistema: “In Svizzera sono presenti circa 580 specie diverse di api, il cui stato di salute è critico”, si legge sul sito del Dipartimento del territorio (Dt). “Le popolazioni sono in netto calo e si calcola che una specie su due sia minacciata di estinzione. La principale causa della loro scomparsa è rappresentata dall’attività umana e dalla conseguente accelerazione del cambiamento climatico, nonché dall’incremento dell’inquinamento atmosferico”. E quindi? Ora ci arriviamo.
Per l’ape, un importante nutrimento viene da nettare e polline dei fiori della vite. Eppure il ruolo di questo e altri insetti ‘pronubi’ – che cioè impollinano i fiori – potrebbe essere minacciato proprio dalla frequentazione dei nostri filari. In Ticino, per l’estate 2021 l’Ufficio federale dell’agricoltura (Ufag) ha ordinato due cicli di trattamento contro la flavescenza dorata, una malattia epidemica a rapida diffusione causata da un minuscolo insetto, lo Scaphoideus titanus, o più semplicemente ‘cicalina della flavescenza’: arrivato a metà del secolo scorso dal Nordamerica, campa solo sulla vite e le trasmette il fitoplasma che causa la flavescenza, facendone ingiallire le foglie e disseccare i grappoli.
Per risolvere il problema, le direttive emanate attraverso il Dt hanno imposto due spruzzate – a inizio e fine del giugno scorso – di un pesticida a base di piretro. Il prodotto è biologico, dato che il piretro è estratto dai crisantemi, ma il suo effetto sulle api può essere piuttosto sinistro: “Immediata perdita di coordinazione dei movimenti, tremori, paralisi e morte”, secondo la plastica descrizione contenuta in un’interrogazione dei Verdi. I quali hanno chiesto al Consiglio di Stato se si sia fatto tutto il possibile per evitare che insieme alla flavescenza, nemica del nostro vino, si finisse autolesionisticamente per sterminare anche le api. Era proprio necessario riprendere il trattamento della flavescenza dopo due anni di moratoria? Perché si è deciso di “intraprendere una via potenzialmente pericolosissima per le api”? Per evitare troppi danni non si sarebbero dovuti avvertire gli apicoltori e i privati cittadini, invece che solo i viticoltori e i Comuni? E non si potrebbe posticipare il primo ciclo di trattamento – previsto in piena fioritura della vite – al momento di avvenuta sfioritura, come si fa in Emilia-Romagna? Ancora: sarà proprio il caso di lasciare prodotti del genere anche in mano a privati senza alcuna formazione al loro uso?
A queste domande il Consiglio di Stato ha risposto gettando acqua sul fuoco. È vero, spiega in una risposta appena pubblicata, che il tipo di pesticida indicato è mortale per le api, ma se si rispettano le indicazioni date – evitare di irrorare le viti quando il sole è già alto e volano gli insetti, avvertire gli apicoltori che hanno arnie nelle vicinanze affinché vi tengano chiusi i loro sciami, non trattare in presenza di api – questi prodotti “non causano effetti indesiderati inaccettabili”. Il Centro svizzero di ricerca apistica di Liebefeld “registra tutti i casi di intossicazione di api confermati da analisi, e non ha finora riportato morie di api mellifere causate da piretrine naturali”, ben tollerate anche da uccelli e mammiferi, tanto che l’uso di queste molecole “sarebbe stato compatibile anche in caso di approvazione dell’iniziativa popolare ‘Per una Svizzera senza pesticidi sintetici’”.
Il Dt spiega che dopo due anni senza trattamenti la popolazione delle ‘cicaline’ che causano la flavescenza è triplicata e il rischio di una moltiplicazione aumenta col passare del tempo: “Senza controllo dell’insetto vettore, il numero di viti infette può crescere di dieci volte ogni anno, fino a raggiungere l’80 o il 100% di piante in pochi anni”, “rendendo la produzione economicamente insostenibile” e “portando rapidamente alla morte le varietà più sensibili”. È vero poi che in Emilia-Romagna si effettua un trattamento solo a sfioritura avvenuta, ma senza moratorie e con prodotti chimici ben potenzialmente più pericolosi per le api, i cui residui rischierebbero perfino di finire nel vino. Impossibile invece affidarsi alla fauna che cibandosi delle cicaline fungerebbe da antagonista naturale: allo stato attuale la sua presenza non è sufficiente. Quanto all’adeguatezza dell’informazione fornita alle parti in causa, per l’esecutivo si è fatto quanto necessario per coinvolgerle e si deve confidare nei Comuni per una corretta esecuzione dei trattamenti.
Le api, però, restano minacciate: se non dalle piretrine – non troppo, almeno – dall’uomo, dalle sue attività e dal cambiamento climatico. Il Cantone è impegnato in campagne di formazione e sensibilizzazione, nel sostegno alla biodiversità anche in ambienti urbani e nei controlli aziendali “relativi alla cosiddetta prova che le esigenze ecologiche sono rispettate”. Tuttavia molto sta al singolo, a partire proprio dall’uso ridotto e corretto di prodotti fitosanitari: maggiori informazioni le trovate su www.ti.ch/prodotti-chimici.