Un’interrogazione interpartitica con primo firmatario Nicola Schoenenberger chiede lumi sulla mancata comunicazione delle nuove prassi di abilitazione
“Ci risulta che l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale del DECS, per ben due anni, ha orientato in maniera errata gli studenti che intendevano intraprendere gli studi di psicologia in Italia”. Inizia così l’interrogazione presentata da un gruppo trasversale di granconsiglieri, ovvero Nicola Schoenenberger, Claudia Crivelli Barella e Marco Noi, dei Verdi, Tiziano Galeazzi per l’Udc, Matteo Quadranti del Plr, Tamara Merlo di PiùDonne, Fiorenzo Dadò del Ppd e Andrea Censi per la Lega dei Ticinesi.
Il fatto di partenza è la decisione della Commissione federale delle professioni psicologiche (PsiCo) che nel 2018 ha cambiato la prassi per le lauree in psicologia conseguite in Italia: se in precedenza per potersi iscrivere all’albo professionale svizzero era sufficiente uno stage di un anno presso un ente riconosciuto dal Cantone, da quella data gli aspiranti psicologi devono sostenere l’Esame di Stato italiano e svolgere un tirocinio in Italia, ciò per cui è necessario domiciliarsi nella vicina Penisola.
Questo cambiamento di prassi, che allunga il curriculum scolastico di chi intraprende gli studi in Italia di circa due anni, non è stato comunicato agli studenti interessati, osservano gli interroganti: ciò perché, secondo quanto afferma l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale in un comunicato pubblicato sul sito del Cantone il 30 marzo 2021, “non gli sarebbe stato comunicato a sua volta dall’autorità federale”. In realtà, i firmatari dell’interrogazione fanno notare che “tale cambiamento è menzionato in un codicillo di un documento della PsiCo che apparentemente non è stato notato dall’Ufficio dell’orientamento cantonale”. Nel suddetto comunicato si dichiara inoltre che il DECS “cercherà di coinvolgere gli attori del settore e le autorità competenti per evitare inutili complicazioni”.
“Questo pasticcio comporta gravi pregiudizi per una cinquantina di studenti che, orientati in maniera errata dall’ufficio preposto ma in perfetta buona fede, hanno intrapreso gli studi in Italia”, a dire degli interroganti, che rilevano come “c’è chi ha interrotto gli studi e chi li ha completati senza che venissero riconosciuti in Svizzera, a causa dell’impossibilità di domiciliarsi in Italia per fare il tirocinio”, e che “altri stanno continuando a dare esami in base alla vecchia prassi, aspettando che il Cantone trovi una soluzione che però tarda ad arrivare”.
Fatte queste premesse, i firmatari dell’atto parlamentare chiedono: