I socialisti prendono slancio per l’iniziativa su 21,50 franchi l’ora e deroga per i Ccl. Ma il Plr: il problema è il monitoraggio all’acqua di rose
Il Tribunale federale respinge i due ricorsi delle undici ditte, attive soprattutto nel Mendrisiotto, e dice sì alla legge ticinese sul salario minimo. Ma se con la bocciatura delle opposizioni promosse nell’aprile dell’anno scorso viene messa una base legale certa da Losanna, meno chiaro è ciò che attende il dossier. Perché stamattina è stato intimato solo il dispositivo, le motivazioni non sono ancora state rese pubbliche. E saranno le motivazioni a far capire, nel dettaglio, quali potranno essere le basi per futuri sviluppi: leggasi, l’iniziativa lanciata dalla sinistra per alzare la soglia del salario minimo a 21,50 franchi l’ora e per togliere la deroga all’attuazione dove è firmato un Contratto collettivo di lavoro. Solo dopo aver letto le motivazioni, infatti, si saprà se i giudici di Mon Repos hanno qualcosa da annotare in merito alle questioni tra salario sociale ed economico, o su altri punti. Si vedrà. Intanto le reazioni non mancano. A partire dal governo.
«L’impianto legislativo ha retto bene di fronte ai ricorsi, quindi vuol dire che il tutto è stato costruito in maniera corretta», commenta tirando un sospiro di sollievo il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta: «Per noi si tratta, adesso, di avere un punto fermo che toglie tante incertezze – spiega –. C’erano aspetti delicati perché da un lato avevamo l’articolo costituzionale votato dal popolo che lasciava spazi di criticità, dall’altro il diritto federale che doveva essere rispettato». A ogni modo, il direttore del Dfe ricorda che «non potendo ovviamente aspettare la sentenza ci siamo da tempo organizzati in funzione dell’entrata in vigore del salario minimo, in modo da avere un apparato già pronto per monitorarne gli effetti e per procedere con i relativi controlli». Il Tf ha messo un punto fermo, dice Vitta. Ma in campo c’è già l’iniziativa lanciata da Ps, Verdi, Pc e Pop. Insomma, dopo il sospiro di sollievo si rischia di sparigliare tutto di nuovo. C’è timore per questo in governo? «Come detto – risponde Vitta –, si tratta di applicare l’articolo costituzionale votato dal popolo e la legge varata dal parlamento, confermata nella sua validità dal Tribunale federale. Bisogna essere lineari e seguire il quadro di riferimento, sennò il rischio è di creare ulteriori incertezze dove, appunto, il Tf ha invece fatto chiarezza».
E non per tutti è una buona notizia. «È un guaio!», esclama il coordinatore del Movimento per il socialismo Giuseppe Sergi. «Questa sentenza vuole dire anche che l’articolo sulla deroga per i Ccl è stato confermato, che è conforme al diritto superiore, e mi sembra tutto tranne che positivo», commenta. E con l’iniziativa popolare lanciata dalla sinistra la cui raccolta firme è ancora in corso? «Ci vediamo tra cinque anni...», risponde caustico Sergi. Salvo poi aggiungere che «a livello parlamentare e a livello costituzionale ci sono già in campo delle nostre proposte. Se il parlamento davvero vorrà agire, sarà solo una questione di volontà».
Il Partito socialista dal canto suo tira dritto e con rinnovata spinta. Per il capogruppo Ps in Gran Consiglio Ivo Durisch, infatti, «sicuramente c’è soddisfazione per questa sentenza, che in qualche modo conferma l’entrata in vigore della legge. Oggi abbiamo una base legale solida, che per noi sul punto della deroga per i Ccl non è chiara, e da questo momento si può iniziare a lavorare su questa legge che abbiamo detto sin dall’inizio non era perfetta». Avanti tutta, quindi, «con la nostra iniziativa popolare, perché questa sentenza è una base di ri-partenza per migliorare sia la questione dei Ccl sia del montante del salario orario».
Uno slancio, quello socialista, che trova la «ferma opposizione» del Plr. La capogruppo Alessandra Gianella, infatti, parte da «una doverosa premessa». Vale a dire che «i nostri emendamenti alla legge sul salario minimo chiedevano un monitoraggio a ogni passaggio di forchetta, per verificare gli effetti della misura sui salari in particolare dei residenti. Il parlamento questa cosa non l’ha voluta, ora va in automatico che le forchette si susseguiranno e ci sarà questa strategia di controllo che si basa su segnalazioni e controlli a campione: chiaramente, rispetto a un messaggio annuale del Consiglio di Stato, è acqua di rose». A questo punto, «oltre che ricordare che si parla di circa 16mila lavoratori su quasi 190mila di cui due terzi sono frontalieri», per Gianella è importante sottolineare che «se l’obiettivo era favorire i ticinesi, bisognerà invece capire se e quanto i salari dei residenti non saranno livellati verso il basso e se non si perderanno posti di lavoro». Ciò detto, «è inutile fare delle proposte ora perché ci si è accorti che quanto si è votato fa acqua, non è andando a proporre una gara a rialzo delle cifre che si risolve il problema. Perché il problema di fondo è monitorare l’effetto di questo salario minimo sui residenti, cambiando la cifra non si risolve niente».
Netta è l’analisi che, sul fronte cristiano sociale, offre il sindacato Ocst. In una nota firmata dal segretario cantonale Renato Ricciardi, si registra soddisfazione e si ribadisce che “la legge stabilisce un salario minimo vitale, non economico. Continueremo nel nostro impegno per la stipula di contratti collettivi, con minimi al di sopra di quanto previsto dalla legge». E tenendo sempre fermo, come rilevato anche da Gianella, che “il salario è una componente fondamentale, ma è anche importante agire sulle altre condizioni e questo può avvenire solo nell’ambito della contrattazione collettiva”.
Rimanendo all’oggi, il via libera all’applicazione è sancito una volta per tutte. Il salario minimo in vigore da fine anno sarà compreso tra i 19 e i 19,50 franchi all’ora. La forchetta passerà a 19,50-20 franchi a fine 2023 e a 19,75-20,25 il 31 dicembre 2024.