Ticino

’Ndrangheta, la pm: ‘La Svizzera spalanca le porte’

Parole di fuoco dell’inquirente antimafia Cerreti a un convegno Usi. La soluzione? Migliore coordinamento e non negare la realtà

(Ti-Press)
16 settembre 2021
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«Basta con la storia del cancro, del contagio che colpisce un organismo in salute. La Svizzera non è un corpo sano contagiato dalle mafie, ma un posto che a quelle mafie ha aperto le porte e ci fa affari, affari con denaro che puzza di sangue. Eserciti di colletti bianchi non vedono l’ora: spesso non è neanche la mafia a cercarli, sono loro che cercano la mafia. Dobbiamo dirlo, perché se non riconosciamo come stanno le cose non ne usciremo mai». La diagnosi di Alessandra Cerreti, pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Milano, è impietosa. Nel corso del convegno Usi ‘Tracce della criminalità organizzata in Ticino tra passato e presente’, la pm ha messo in guardia su un fiume carsico che attraversa distanze e frontiere, «si infiltra anche in settori leciti e li condiziona pesantemente», prendendo progressivamente controllo del territorio. Anche sotto casa, anche in Ticino, «dove le mafie italiane investono terribilmente».

Se Cosa Nostra appare tutto sommato depotenziata dopo trent’anni di battaglia da parte della giustizia italiana, ora è la ’ndrangheta a far sentire la massima virulenza, su rotte come quelle che portano la cocaina dai moli calabresi di Gioia Tauro ai nasi di mezz’Europa. Una «grande holding» i cui membri «ormai studiano anche in Bocconi, pur mantenendo forti legami familiari e territoriali, perché la testa dell’organizzazione rimane in Calabria». Per questo Cerreti ci invita a non cedere «alla stessa sindrome della quale è stato preda per anni il Nord Italia», quella che di fronte al basso profilo della criminalità economica ci fa pensare che certe cose, da noi, non succedono. «Una holding va dove può fare soldi e farli girare: per questo la vicina Svizzera è molto interessante. Armi, droga, soldi, latitanti passano di qua, e spesso qua si fermano». Non sarà poi il Covid a bloccarli: «In Italia si sono già organizzati con la costituzione di innumerevoli società fittizie al fine di lucrare sugli aiuti di Stato. Temo che questa, insieme agli affari relativi alla commercializzazione di prodotti sanitari, sia un’emergenza anche europea».

Che fare, dunque? La pm non ha dubbi: «Coordinarci, sviluppando un’uniformità di modalità investigative e legislative. Noi collaboriamo spessissimo e bene coi colleghi svizzeri», ad esempio tramite le squadre investigative comuni, ma «ci sono pochi strumenti legislativi che ci aiutano». Difficile, in particolare, operare in Svizzera e altrove in Europa quando non c’è la pistola fumante di un reato ‘concreto’ – spaccio, traffico d’armi –, ma solo gli indizi di organizzazione mafiosa. Uno «scoglio» teoricamente superato dal diritto, ma sul quale ancora si infrangerebbero tante rogatorie. Per la lotta, secondo l’inquirente, non basta inasprire le pene come fatto di recente da Berna: servirebbero mezzi più efficaci, tra le altre cose, per la confisca di quei patrimoni che danno alla ’ndrangheta le armi più affilate.

Il convegno è stato organizzato dal neonato Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata, che sotto la guida della professoressa Annamaria Astrologo e del giornalista Francesco Lepori si impegna a rendere disponibile un ampio archivio relativo alla storia delle mafie in Ticino – atti giudiziari, immagini, servizi giornalistici – oltre a coordinare un’attività sempre più intensa di formazione e divulgazione.