Il segretario di Unia Gargantini, a più di un anno dall’apertura del tavolo di lavoro per la ripartenza del Cantone: ‘Non arriveranno soluzioni condivise’
È ormai da più di un anno che c’è un convitato di pietra nelle discussioni che riguardano il futuro economico e sociale del Cantone dopo la fase acuta della pandemia: il Gruppo di lavoro per il rilancio del paese. Una task-force composta da politici e associazioni imprenditoriali, sindacali, professionali promossa dal Consiglio di Stato lo scorso aprile. A cercare lumi è un’interpellanza di Più donne che chiede conto al governo di questo anno di lavori e vuole sapere quali proposte siano emerse per il rilancio economico. Il tema si pone, e a colloquio con ‘laRegione’ il segretario di Unia Giangiorgio Gargantini è netto: «Non ci sono e non potranno esserci soluzioni condivise a nome di questo Gruppo strategico poiché non è possibile che ci siano. Anche perché non era questo il nostro l’obiettivo».
In che senso?
Noi abbiamo dato la nostra disponibilità all’inizio di questi lavori, abbiamo partecipato e continueremo a farlo. Ma è difficile oggi fare un bilancio, perché un bilancio si deve fare in base a quali erano le attese. Queste erano probabilmente molto diverse a seconda dei vari attori. Le nostre si limitavano all’avere un luogo di discussione e confronto su una situazione che è oggettivamente straordinaria. Da questo punto di vista il bilancio è positivo.
E per il resto?
Evidentemente noi non abbiamo la speranza che da questo tavolo escano proposte travolgenti o piani di sviluppo consensuali tra i vari attori, perché non è semplicemente possibile per due ragioni: la prima è che i presenti non hanno le stesse ricette e non potranno avere soluzioni unanimi, la seconda è che questo non è il luogo. Ci sono parlamento e commissioni per avere il confronto politico, le leggi e proposte concrete, come ci sono le discussioni tra partner sociali riguardo al mercato del lavoro. Non posso essere deluso verso qualcosa per cui non avevo aspettative concrete.
Quindi chi credeva che uscisse qualcosa di sostanzioso si è fatto soverchie illusioni?
Temo di sì. Ritengo fosse sbagliato immaginare che da questo gremio uscissero proposte incisive.
Proposte incisive, dice. Quali sono quelle di Unia, da portare nei consessi giusti?
Partirei da quello che dicevamo un anno fa e che diciamo ancora oggi: protezione al lavoro e protezione del lavoro. Vale a dire la necessità di lavorare in sicurezza anche sanitaria, e il mantenimento dei posti di lavoro. Che si traduce in protezione contro il licenziamento soprattutto in quelle realtà economiche che hanno beneficiato di importanti sussidi statali e sostegno economico ai lavoratori e alle lavoratrici per mantenere e sviluppare e rilanciare il potere d’acquisto: è una misura chiave questa, mesi e mesi di lavoro ridotto sui magri salari ticinesi hanno inciso in maniera enorme. Ora si discute in modo grottesco sul perché i negozi sono stati chiusi nel fine settimana di Pentecoste: beh, chi ha un’attività sa che la popolazione fa fatica a fare la spesa, perché c’è una diminuzione netta del potere d’acquisto. Quindi il sostegno economico deve essere diretto non soltanto all’economia, ma anche al mondo reale di chi lavora.
Per quanto concerne il rilancio economico, invece?
È assolutamente prioritario capire quale sarà la portata della crisi e quali settori saranno i più colpiti. Prima della cura bisogna fare bene la diagnosi, perché l’impressione è che le difficoltà non siano generalizzate e che siamo confrontati con settori sotto pressione e altri meno. Sarà importante avere politiche economiche anticicliche con investimenti statali, come molti economisti sostengono dall’inizio di questa crisi. E ci vorrà un impegno del Cantone: proteggere il lavoro significa maggiori diritti, è innegabile quanto i lavoratori siano spesso abbandonati a loro stessi e quanto ci vogliano più protezione e diritti a livello giuridico. Come una garanzia di protezione dell’impiego per permettere di denunciare quando si vivono queste situazioni. Il tutto in opposizione alle misure già evocate da qualcuno come più flessibilità, dogma ideologico visto da alcuni come panacea di tutti mali, quando ci vogliono più paletti per regolamentare un mercato del lavoro in sofferenza. Anticamera dei tagli e dei regali fiscali che arriveranno alle aziende, pretendendo che portino a un rilancio dell’economia.
Mentre cosa servirebbe invece?
Che lo Stato, sapendo come buona parte del mondo economico abbia fatto importanti guadagni in questo anno pandemico, ragionasse in termini di imposte straordinarie sui benefici avuti in questo anno o sui grandi capitali. Ormai non siamo più uguali neanche davanti alla morte, considerato come le disuguaglianze in questa pandemia si sono acuite e hanno dimostrato che meno sei abbiente più rischi non solo di perdere il lavoro, ma di perdere la vita.
Lei mette sul piatto molti temi e molte proposte che verteranno anche su cifre ingenti e misure strutturali. La politica cantonale, poche settimane fa, si è spaccata su zero, uno, due o tre mesi di retroattività, della prestazione ponte Covid.
Ripenso anche alle prime discussioni sul piano nazionale, quando il Consiglio federale propose un piano di aiuti nell’ordine delle decine di milioni quando chi aveva capito già l’aria che tirasse parlava di decine di miliardi. Ogni settimana si è aggiunto uno zero prima di accorgersi della reale situazione. C’è sempre una specie di ritardo della politica, e purtroppo temo ci sarà poco coraggio a portare misure incisive. La prova è che a parlare di azioni dirette verso il potere d’acquisto della popolazione ci si senta come una mosca bianca, perché parte subito il mantra che in momenti di crisi si debba stringere la cintura. No: queste sono scelte politiche. Se le discussioni dovessero continuare a vertere su un mese o due mesi di retroattività per misure importanti, necessarie e fondamentali per alcune persone come la Prestazione ponte Covid, ma secondarie per montante se confrontate con i veri capitali che andranno messi sul tavolo, saremo ulteriormente in ritardo e pagheranno i lavoratori. Siamo un paese molto ricco, possiamo permetterci di agire con misure strutturali importanti di sostegno economico. Se non lo facciamo oggi, quando lo faremo? Siamo appoggiati su montagne enormi di riserve, quelle monetarie accumulate nella Banca nazionale sono maggiori del Pil annuale. È un dato di fatto: se non si usano nel momento di maggiore difficoltà, quando intendono farlo? Bisogna aprire i forzieri e investire per aiutare la popolazione e i lavoratori. A oggi alcuni indipendenti ancora aspettano delle indennità, e altre categorie di lavoratori e soprattutto lavoratrici non hanno addirittura ricevuto nessun tipo di sostegno: è una vergogna assoluta. Altro che tirare la cinghia...