Il governo ticinese si esprime sulla 'Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030' proposta e messa in consultazione dal Consiglio federale
“La crisi sanitaria attuale ha reso visibili le disuguaglianze esistenti in Svizzera e ha messo in luce il rischio che le conseguenze della pandemia compromettano importanti risultati fino a oggi raggiunti in materia di parità di genere. Le donne ne sono particolarmente colpite, sia sul piano economico-professionale, sia su quello sociale”. A sottolinearlo è il Consiglio di Stato nell’articolata presa di posizione sul progetto di ’Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030' elaborato dal Consiglio federale e da quest’ultimo posto in consultazione lo scorso novembre sino al 18 febbraio. ’Pari opportunità’ nonché ’Clima, energia e biodiversità’ e ’Consumo e produzione sostenibili’ sono i tre “ambiti prioritari” stabiliti dal governo nazionale, spiegava una nota dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale. Con la sua ’Strategia’ il Consiglio federale, proseguiva l’Are, “illustra come intende attuare nei prossimi dieci anni l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile”. E gli obiettivi delll’Agenda dell’Onu sono stati fatti propri anche dal governo ticinese con il Programma di legislatura 2019/2023 pubblicato a metà gennaio dello scorso anno, poco prima dell’arrivo del coronavirus.
Tornando alla presa di posizione indirizzata in questi giorni a Berna e in particolare al tema dell’uguaglianza tra donna e uomo, il Consiglio di Stato rileva come a livello professionale “le nuove disposizioni relative al principio di parità salariale sancito nella Costituzione federale dalla legge federale sulla parità dei sessi, entrate in vigore nel luglio 2020, siano ancora troppo poco incisive”. E “difficilmente permetteranno di porre fine alle disparità salariali tra uomo e donna”. Recenti analisi della “giurisprudenza cantonale e federale”, svolte su incarico dell’Ufficio federale per l’uguaglianza tra uomo e donna, aggiunge Bellinzona, “evidenziano una scarsa conoscenza delle specificità procedurali di questa legge da parte di autorità e tribunali”. Da qui “la necessità di una maggiore conoscenza della legge da parte sia di datori di lavoro sia delle autorità giudiziarie”, ma anche “la necessità di inserire l’argomento nei programmi di studio di diritto e nei corsi di formazione continua degli attori coinvolti”.
Secondo il Consiglio di Stato, “la conciliazione tra vita professionale e vita privata presenta notevoli margini di miglioramento, offerti dalla promozione del lavoro a tempo parziale per gli uomini e da un maggiore ricorso al ’job sharing’ per posizioni dirigenti”. L’impiego a tempo parziale “si conferma infatti una caratteristica dell’occupazione femminile: oltre alle ripercussioni in termini di prospettiva professionale, esso contribuisce ad accentuare le disuguaglianze nella ripartizione dei compiti domestici e determina conseguenze importanti per la previdenza professionale delle donne”. In tal senso "è evidente la necessità di revisione di alcune disposizioni nel campo delle assicurazioni sociali”, disposizioni che oggi, “rifacendosi a un modello stereotipato, causano disparità di genere accentuando il divario pensionistico tra uomo e donna”. L’Esecutivo cantonale cita quali esempi “il diritto alla rendita di vedovanza, basato sul sesso, o l’assicurazione contro la disoccupazione nel caso in cui il/la coniuge lavori nella ditta del/la partner, per cui viene meno il diritto alla Ipg (indennità di perdita di guadagno, ndr)".
Il Consiglio di Stato si sofferma pure sul fenomeno della violenza domestica. "L’assistenza a tutte le persone vittime di violenza domestica e abusi va rafforzata e migliorata grazie a un approccio collaborativo e integrato delle autorità competenti: particolare attenzione andrà data ai bambini esposti a violenza domestica, alla formazione di professionisti nei settori d’interesse e a una migliore tutela dal rischio di allontanamento per le donne straniere vittime di violenza domestica”. Non solo: il governo ticinese ritiene "opportuno" introdurre “una definizione giuridica precisa di molestia sessuale che ad oggi, secondo il diritto svizzero vigente, non è considerata reato e prevede disposizioni penali solo per le accezioni più violente”.