Il 12 febbraio 1951 due valanghe provocarono morte e distruzione in Leventina e in Valle Verzasca. Quindici le persone che persero la vita.
“Un militare mi portava in braccio. Una mantellina, una bambola e il magone mi accompagnavano alla stazione”. Bastano queste righe, estratte dalla poesia di Franca Da Rin, per capire lo stato d’animo di un’intera comunità durante quella sciagurata domenica dell’inverno 1951. Nella notte tra l'11 e il 12 febbraio, la campana della chiesa di Airolo suona a martello. Poco prima dell'una, un’immensa massa di neve si fa strada nell'oscurità attraverso il riale della Vallascia, andando a travolgere la parte di abitato più vicina alla montagna, all’altezza dell’ex hotel Motta (attuale casa Grassi), e ostruendo tutta la via San Gottardo. Drammatico il bilancio: dieci vittime e quasi metà villaggio da ricostruire. Undici le case distrutte (asilo compreso), a cui si sommarono danni ingenti per il bestiame e per oltre 100 ettari di terreni agricoli. La stessa notte, il medesimo beffardo destino toccò anche la Valle Verzasca, dove la comunità di Frasco pianse la morte di cinque persone. Le valanghe del febbraio 1951 furono l’incubo ad occhi aperti di un inverno passato col fiato sospeso nelle valli ticinesi (una grande testimonianza è il libro ’L'anno della Valanga’ di Giovanni Orelli). Già nel mese dicembre, ad Airolo si registravano oltre 4 metri di neve, che diventarono 11 in febbraio e 13 e mezzo in marzo.
«La popolazione conosceva bene la forza della natura, e c’era quindi il timore che qualcosa potesse accadere», afferma Renzo Tonella, abitante di Airolo che di quella tragedia, nonostante avesse sei anni, conserva preziosi ricordi a cui ha dato sfogo realizzando alcuni contribuiti per il locale Patriziato. Fortunatamente la famiglia Tonella risiedeva «in zona sicura», vicino al Municipio, verso la Valle Bedretto. «Non fui svegliato quella notte, ma solo la mattina successiva. Mi dissero che bisognava partire subito per Faido. Nelle settimane successive – continua Tonella – il contributo dell’esercito e del Cantone (il capo del Dipartimento delle costruzioni e militare era il leventinese Nello Celio) fu davvero importante. Furono tantissimi anche i volontari che parteciparono alle operazioni di soccorso e di sgombero della neve. Ricordo che tra le autorità c’era preoccupazione per la possibilità che un’altra valanga potesse staccarsi dallo stesso punto, e la discussione verteva quindi sulla necessità o meno d’intervenire utilizzando delle mine. Fortunatamente non fu il caso e il pericolo passò». Gli abitanti della zona rimasta sotto pericolo furono ospitati da parenti oppure negli alberghi della stazione, in particolare all’Hôtel des Alpes.
Solo dopo Pasqua, a circa un mese e mezzo dal tragico accaduto, la popolazione poté fare ritorno alle proprie abitazioni. «Ricordo che una volta tornati ad Airolo, noi bambini ci buttavamo in strada dalla finestra del primo piano. Era ancora impressionate la quantità di neve, che si sciolse solo in estate». In settembre riaprì la scuola, e pian piano il paese tornò a vivere cercando di lasciarsi alle spalle quella notte da incubo. Tra il 1952 e il 1953 si ricostruì gran parte delle abitazioni andate demolite.
Purtroppo non mancarono altri momenti di paura, come durante l’inverno del 1984, quando una valanga ’fredda’ (polverosa) scesa sempre dal riale della Vallascia andò a sommergere alcune case (una valanga simile si verificò anche nel 1923). «Nel 1984 scese in pieno giorno, verso l’una di pomeriggio. Fortunatamente non ci fu nessuna vittima. Ma che grande spavento». Altre serie minacce per l’abitato si presentarono nel 1975 e nel 1986.
Proprio nel 1986 si decise d'insistere sulla prevenzione. Dopo i ponti da neve permanenti (realizzati in alluminio, cemento armato precompresso, ferro-legno) installati dopo la tragedia del 1951, nel 1989 venne avviato il Progetto di premunizione valangaria e rimboschimento sopra Airolo sotto l’egida del Consorzio ripari e premunizioni. Dopo tre fasi di lavori e un investimento complessivo di 60 milioni (finanziati da Cantone e Confederazione nella misura dell'85%), nel 2012 si conclusero gli interventi per proteggere Airolo dalle calamità naturali. Venne così completata la muraglia di 17 chilometri issata in alta quota con moderni ponti da neve in alluminio e cemento armato, tre terrapieni di sbarramento e programmi di rimboschimento. Ancora oggi, soprattutto d’inverno, nei luoghi di ritrovo di Airolo si parla della notte del febbraio del 1951. Una tragedia che, come in occasione di quel 4 marzo 1951 in cui una folla ammutolita accompagnò le dieci vittime al cimitero, ha unito la comunità nel rispetto, nella solidarietà e nella consapevolezza delle insidie della montagna.
È uno degli episodi più remoti e tragici del quale si ha memoria in Valle Verzasca: la valanga caduta a Frasco nella notte tra domenica 11 e lunedì 12 febbraio 1951, che si portò via 5 vite, 4 delle quali appartenenti allo stesso nucleo famigliare: Florino Bernardasci e Ida, Giannetto, Guido e Luigina Badasci. Gente del paese, conosciuta e apprezzata, che la massa nevosa seppellì dopo aver sfondato le pareti delle loro abitazioni, sommergendole totalmente.
Tutta colpa delle nevicate abbondanti e violente delle settimane precedenti, con cumuli di coltre bianca alti parecchi metri staccatisi dal Monte Pampined e piombati all’improvviso a valle, travolgendo e abbattendo tutto. Una massa bianca preceduta dall’aria che fece volar via ogni ostacolo davanti al fronte della slavina. Un sibilo sinistro. Il paese, dormiente, ignaro del pericolo, finì sventrato. Un terribile boato poi il silenzio assordante. I più riuscirono a salvarsi e a organizzare i primi soccorsi. I corpi senza vita di 5 abitanti vennero invece estratti dai detriti e recuperati nelle ore successive. Attonita e sconvolta la piccola comunità alto verzaschese cercò di trarre in salvo tutto ciò che le rimaneva, scavando con pale, zappe e mani al lume di lampade, lanterne e candele. Senza neppure riuscire a capire bene dove fossero le case scomparse, perché un evento così tragico e improvviso ti toglie ogni prospettiva, ogni punto di riferimento, ogni certezza.
Una situazione infernale causata da questa massa ovattata e compatta venuta giù senza freni naturali, capace di cancellare in pochi secondi ogni opera dell’uomo precedentemente edificata. Sofferenza, angoscia e disperazione durate ore, giorni, settimane. Nei limiti delle comunicazioni e dei macchinari di quel periodo arrivarono poi i soccorsi e la solidarietà di tutto un cantone, per la ricostruzione del villaggio e delle opere di premunizione che seguirono la tragedia. I danni furono ingentissimi. Le salme, trasportate dal piccolo corteo di parenti e amici tra la neve, furono seppellite nel cimitero di Frasco (dove la chiesa si era miracolosamente salvata e dove l’altezza della neve aveva raggiunto quasi quella della torre campanaria). La vicenda suscitò naturalmente un’ondata di commozione e paura nel villaggio e in tutte le valli, dove molti abitanti vissero per giorni isolati dal momento che i collegamenti stradali erano interrotti. Su ordine del Consiglio di Stato, il 16 febbraio di quell’anno venne decretato giorno di lutto in tutto il Ticino.
Toccò poi alle istituzioni dentro e fuori valle l’opera di ricostruzione e di approfondimento sui fenomeni valanghivi, con conseguente insegnamento e monito. Oggi a Frasco, grazie soprattutto all’evoluzione tecnologica, i rischi di valanga sono monitorati efficacemente con il sistema automatico di allerta entrato in funzione nel 2007. A settant’anni di distanza, in giorni come questi in cui guarda a caso il pericolo valanghe è molto alto e invitata alla prudenza e alla riflessione, la comunità verzaschese si appresta dunque a rendere omaggio ai defunti di quella drammatica pagina di storia.
Un momento di commemorazione è previsto sabato prossimo, 13 febbraio, alle 17, quando verrà celebrata una messa in ricordo delle vittime della slavina. Viste le attuali situazioni sanitarie, si raccomanda il rispetto delle direttive in vigore. Anche la Parrocchia di Airolo renderà omaggio alle vittime in occasione della celebrazione della messa di domenica 13 febbraio.