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‘La variante sudafricana preoccupa: così elude le difese’

Il dott. Corti spiega i timori legati alle mutazioni, mentre dai 'suoi' laboratori Humabs a Bellinzona, nuova cura anti-Covid, forse già dall’estate

il dottor Davide Corti, direttore scientifico di Humabs BioMed e ricercatore molto conosciuto a livello internazionale
25 gennaio 2021
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Il Covid affila le armi, cambia come un camaleonte, le tenta tutte per contagiare più persone ed entrare più facilmente nel nostro corpo. Da quando ha fatto la sua comparsa sono state registrate migliaia di varianti. Alcune preoccupano la comunità scientifica: quella inglese, più contagiosa e probabilmente più letale, quelle sudafricana e brasiliana, più abili a scavalcare le difese del nostro corpo. Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi ce lo spiega il dottor Davide Corti, direttore scientifico di Humabs BioMed e ricercatore molto conosciuto a livello internazionale. Incubata presso l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, e nel 2017 acquisita dalla statunitense Vir Biotechnology (ma sede e laboratori sono rimasti in Ticino), la Humabs sta testando sui pazienti in America ed Europa una nuova cura, che si presume possa bloccare il Covid e darlo in pasto al sistema immunitario. A inizio estate potrebbe già essere sul mercato. È una corsa contro il tempo.

Che cosa è cambiato nel Covid che preoccupa tanto le autorità?

Da dicembre il virus è mutato, ora osserviamo per la prima volta la comparsa di molteplici mutazioni che appaiono contemporaneamente sulla proteina Spike (che permette al virus di entrare nelle cellule). Questa è una grossa novità. Le mutazioni sono comparse in modo indipendente una dall’altra nel Regno Unito, Sud Africa e Brasile.

Come nascono, si diffondono e si stabilizzano queste varianti?

Si ipotizza siano un risultato dell’evoluzione del virus, il suo obiettivo è diffondersi meglio soprattutto tramite soggetti asintomatici ed aumentare la sua capacità di interagire con il recettore umano Ace2 (per legarsi ancora meglio alle cellule umane). Più contagioso non significa necessariamente più letale. Abbiamo due ipotesi in campo. La prima è che queste mutazioni siano sorte in soggetti immuno compromessi che hanno avuto infezioni prolungate, dando così il tempo al virus di evolversi all’interno del paziente, e diventare quindi il veicolo per contagiare altri con una nuova variante. La seconda ipotesi è il salto di specie che questo virus camaleontico è in grado di compiere, in una sorta di ping pong tra diverse specie. L’abbiamo osservato in Danimarca, con l’infezione dei visoni a novembre, poi uccisi a milioni, per impedire che diventassero vettori di una forma mutata del Covid.

Che cosa sapete delle singole varianti, iniziamo da quella inglese?

L’evidenza epidemiologica (basata sull’osservazione) suggerisce che sia più contagiosa, si stima un +6% (almeno secondo uno studio inglese uscito lo scorso week-end). Sembra un aumento modesto, ma non va sottovalutato. Più contagiosità, significa che potenzialmente aumenteranno i casi, le ospedalizzazioni e i decessi. Purtroppo, è di venerdi la notizia che 3
analisi indipendenti nel Regno Unito mostrerebbero che questa variante sia anche associata con un aumentata mortalità. I numeri sono ancora preliminari e vanno presi con le pinze: per una persona di 60 anni la mortalità passerebbe da 1 su 1000 a 1.4 su 1000 con questa nuova variante. Aspettiamo di avere dati più consolidati. L’ipotesi è che la variante inglese possa diventare predominante anche da noi. Sappiamo ora - e questa è una buona notizia - che non si trasmette più facilmente nei bambini.

Che ci dice delle nuove varianti sudafricana, brasiliana e la recentissima californiana?

La sudafricana desta preoccupazione. Non abbiamo ancora evidenza scientifica che sia più contagiosa, ma lo presumiamo. Purtroppo ha sviluppato mutazioni in una regione chiave della proteina Spike (che interagisce col recettore delle cellule) che le permette di eludere, almeno in parte, il riconoscimento da parte degli anticorpi protettivi. La variante brasiliana, probabilmente responsabile dell’attuale focolaio a Manaus, condivide le stesse mutazioni di quella sudafricana, che le permettono anche in questo caso di ‘evadere’ la risposta immunitaria basata sugli anticorpi. Queste mutazioni sono un grosso problema, perché rendono meno efficaci alcuni nuovi farmaci a base di anticorpi monoclonali (alcuni erano stati dati anche dall’ex presidente USA Trump) aumentando il rischio di selezionare ulteriori nuove varianti. Per fortuna l’anticorpo a cui stiamo lavorando alla Humabs riconosce anche queste nuove mutazioni (vedi box). Infine la nuovissima variante californiana sembra presentare mutazioni ancora diverse, ma non ne sappiamo ancora abbastanza.

I vaccini attuali funzionano o dovremmo averne alla carte, uno per ogni variante?

Non abbiamo ancora dati solidi. Uno studio di Pfizer-Biontech (non ancora revisionato da esperti esterni) evidenzia che il loro vaccino funziona per la variante inglese. Un paio di lavori pubblicati proprio l’altro ieri da altri due gruppi accademici sembrano pero’ non confermare appieno questi dati. Nessuna evidenza per ora circa l’efficacia dei vaccini per le altre varianti. Detto ciò, questi primi risultati sembrano indicare che l’efficacia dei vaccini non sia completamente compromessa, ma semmai ridotta. Sia le ditte farmaceutiche sia le agenzie regolatorie sono però pronte ad intervenire rapidamente, ‘aggiustando’ i vaccini se necessario. Lo si fa già col vaccino influenzale. La buona notizia è che le nuove tecnologie usate per i vaccini anti-covid permettono un tempo di reazione ancora più rapido.

Per monitorare le varianti occorre sequenziare i virus dei tamponi. In Svizzera lo facciamo abbastanza?

La Svizzera sta contribuendo al monitoraggio ed è al quinto posto mondiale per numero di sequenze in rapporto alla popolazione. Certo si può fare di più, soprattutto per scovare le varianti non solo nelle grandi città ma in tutto il Paese. Questo permetterebbe di monitorare il virus col binocolo, identificando le varianti quando stanno arrivando e non quando sono già dietro l’angolo. La situazione dal punto di vista delle mutazioni evolverà perché il virus si troverà di fronte a persone immuni, e dovrà quindi continuare a mutare per aggirare la risposta immunitaria.

La campagna di vaccinazione potrebbe favorire il sorgere di varianti parzialmente resistenti ai vaccini? Se sì, c’è qualcosa a cui bisogna essere attenti?

La vaccinazione rallenta il virus perché riduce il bacino degli infetti e le sue chance di mutare. È importante, come sta avvenendo, vaccinare subito le categorie a rischio, anche per ridurre il rischio che i soggetti con infezioni prolungate possano diventare la fonte di nuove varianti. E continuare ad attuare tutte le misure che conosciamo. Non è finita, ci sarà da combattere ancora, ma abbiamo molte più armi adesso e conosciamo molto meglio il nostro nemico.

Ci dovremo abituare alle pandemie?

Il Covid può diventare endemico. Non sparire del tutto, neppure fra molti mesi. Dovremo abituarci a fare i conti a lungo con questa patologia. Il vaccino certo dovrebbe ridurne la pericolosità. Anche altri virus hanno purtroppo un potenziale pandemico, quello che più ci preoccupa è quello dell’influenza, perché circola in varie specie aviarie e specie intermedie (come i suini), che possono rappresentare un pericoloso serbatoio, dove i diversi virus influenzali si possono miscelare e creare così nuovi ceppi pericolosi per l’uomo.

La pandemia ci ha insegnato che si deve monitorare e identificare il problema con tempestività e quindi reagire rapidamente. I vaccini si possono ora fare più rapidamente ed è fondamentale avere delle cure in cantiere. Alla Humabs abbiamo trovato per esempio un anticorpo che riconosce tutti i virus influenzali umani e animali, lo stiamo sviluppando per averlo già pronto all’uso se dovesse apparire un nuovo ceppo influenzale con un potenziale pandemico.

Nuovo farmaco anti-Covid

‘A fine marzo finiamo il test sui pazienti’


Nei laboratori della Humabs si lavoro ad un nuovo farmaco giorno e notte. (Ti-Press)

Il team del dottor Davide Corti sta festeggiando perché nei laboratori Humabs BioMed (in collaborazione con IRB – affiliata all’USI) a Bellinzona è stato isolato un anticorpo monoclonale, che dopo verifiche e test nella Repubblica Democratica del Congo, è stato approvato di recente come farmaco contro l’ebola (il cui nome è Ebanga), ne riduce la mortalità. “Ne siamo fieri, è un importante passo avanti nella lotta contro questo virus letale e direi anche una pietra miliare nella cura delle malattie infettive. Ebola e’ diventata ora una malattia curabile”, spiega il dottor Davide Corti. Lo stesso traguardo, a breve - sarà una questione di qualche mese – si spera di raggiungerlo anche per il Covid. Lo scorso febbraio, la Humabs ha identificato un anticorpo monoclonale (l’anticorpo, lo ricordiamo, è una proteina) in tempi record, usando il sangue di un paziente che era guarito dalla SARS nel 2003. I virus della Sars e del Covid non sono la stessa cosa, ma sono simili al 76%. L’anticorpo isolato, spiega Corti, è diretto contro una “zona” che è conservata nei due tipi di virus e, almeno per ora, non intaccata dalle mutazioni delle nuove varianti Covid. È una parte del virus che non muta. “Siamo stati lungimiranti. L’obiettivo degli studi clinici in corso in America ed Europa su pazienti a rischio che si sono già contagiati è quello di verificare quanto il farmaco funzioni nel ridurre il tasso di ospedalizzazione e mortalità. A fine marzo potremmo avere i primi risultati”. Altri studi clinici sono in corso: “Uno, negli Stati Uniti, per verificare se il farmaco riduce il progredire della malattia anche in persone già ospedalizzate, l’altro, che partirà a breve, nel Regno Unito, testerà l’efficacia di due varianti dello stesso anticorpo nei soggetti a rischio. Se tutto va per il meglio a inizio estate potremmo avere il farmaco approvato. Tutto in tempi record. Al riguardo la casa madre a San Francisco ha già accordi con grandi aziende specializzate nella produzione del farmaco su larga scala”.

Una scommessa che potrà presto essere vinta. Corti ci spiega meglio come funziona questo medicamento: questo anticorpo monoclonale blocca il virus e lo “espone” al sistema immunitario, facilitando l’eliminazione delle cellule infette, e potenzialmente anche inducendo una risposta immunitaria simile a quella indotta dalla vaccinazione.