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Plr, sprint finale tra Ferrara, Martinenghi e Speziali

I tre candidati alla successione di Caprara discutono di contenuti, visioni e programmi descrivendo il partito che vogliono per i prossimi anni

Ti-Press
18 novembre 2020
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Domenica il Partito liberale radicale avrà una nuova guida. Il congresso, che si svolgerà in modalità virtuale, con i suoi 800 delegati sceglierà il successore del presidente uscente Bixio Caprara. A contendersi la presidenza la granconsigliera Natalia Ferrara, l'ex sindaco di Cureglia Emilio Martinenghi e il granconsigliere Alessandro Speziali. A pochi giorni dalla scelta finale, nella sede de ‘laRegione’ hanno lanciato il loro sprint.

Una delle richieste della commissione cerca era la disponibilità a impegnarsi per più anni, dopo tre presidenti che si sono succeduti nell’arco di un decennio. Più anni significa anche più progettualità. Qual è il progetto che avete in mente se eletti alla testa del Plr?

Emilio Martinenghi: È un processo che andrà formandosi mano a mano, ma detto questo per me le priorità sia per il Plr sia per il Paese sono chiare: politica economica e politica sociale. Tutto il resto sarà collaterale e funzionale, di supporto a questo indirizzo. Ad esempio la formazione, o pensando all’attualità la politica sanitaria. Ma tutto parte da queste due priorità: la politica economica è quella che determina le condizioni ideali nel Paese perché si producano prosperità e ricchezza, che sono i mezzi necessari per poter fare socialità. Sul tema, posso aggiungere che oggi c’è una socialità che è diventata esagerata, la macchina si è ingrossata e si è perso il focus sugli obiettivi della vera socialità. Occorre creare i mezzi per dare allo Stato la possibilità di aiutare chi ha bisogno.

Natalia Ferrara: Negli ultimi anni è vero che il partito ha cambiato molti presidenti, ma non ha cambiato il vizio di giudicare tanto e spronare poco. Non si è dato modo, tempo e spazio per far sì che non solo la presidenza, ma il partito potesse fare un buon lavoro. Si è sempre messo un cerotto per arrivare all’appuntamento elettorale seguente. Quindi, a mio avviso, ci deve essere non solo da parte nostra, ma anche dalla base la disponibilità a lavorare insieme.

Chiarito questo, una delle mie priorità è legata alle riforme: riformare il partito per riformare il Paese. Credo che rimanere in carica per un medio o lungo periodo non significhi solo lanciare idee, ma contribuire a realizzare progetti costruendo quella spinta liberale che permetterà di riformare la scuola, la sanità, la giustizia e di avere una riforma fiscale vera, non un compromesso, un inizio o un primo passo. E ho detto riforma fiscale perché noi nel 2019 abbiamo votato l’ultima, nel 2020 abbiamo avuto i primi cambiamenti, e si andrà avanti a piccoli passi fino al 2024/2025. Siamo al maquillage.

Io, invece, quando parlo di riforma fiscale dico che non si può fare astrazione dalla situazione attuale: c’è lo Stato che sta pagando il lavoro ridotto a tutte le aziende che fanno richiesta e ne hanno diritto, ma che non si interroga su chi in realtà domani darà un lavoro. Si spende moltissimo per coprire le perdite anche di chi avrebbe chiuso ieri al di là del Covid, e dall’altra parte qualcuno chiede di alzare di nuovo le aliquote per chi si spera genererà utili. Noi abbiamo una socialità problematica, e qui dissento da Martinenghi, perché la maggior parte di chi riceve sussidi sono quelle persone che guadagnano troppo poco, che pur lavorando non tengono testa alle spese correnti: il ragionamento deve essere come creare lavoro ma ben retribuito, sennò avremo un’economia di Stato mascherata.

Alessandro Speziali: Il mio progetto è preparare e portare il partito nelle sfide dei prossimi 20 anni, su mercato del lavoro, formazione, ambiente e assicurazioni sociali. Dobbiamo capire che stiamo entrando in un mondo nuovo e che ci portiamo dietro linguaggi, strutture, modi di fare e di essere molto novecenteschi. Il 2020 è un punto di partenza per questo processo, abbiamo strutture, temi, un linguaggio da rivedere. Cominciando con il chiamare le cose col loro nome e identificare i problemi.

Prendiamo la questione del mercato del lavoro, ai tempi si parlava genericamente di difficoltà o di percezioni. Il fatto è che poi il tutto si è tradotto nell’accorgersi che ci sono problemi come sostituzione di manodopera o precarizzazione dei contratti. O sull’ambiente: invece che relativizzare, bisogna dire che sì, c’è un grosso problema. Come liberali possiamo affrontarlo con innovazione economica e di materiali. Un partito che dice le cose come stanno ha già un linguaggio diverso da chi traccia una realtà che non esiste e porta gli elettori a chiedersi se viviamo nello stesso mondo.

Come intendete affrontare il tema della comunicazione del partito? Più sulla carta o più presenza online? E il settimanale Opinione liberale ha ancora senso di esistere?

Speziali: La base del Plr vuole una comunicazione più profilata, ma questo vuol dire che non possiamo essere un eterno ponte tra sinistra e destra o rispettare sempre le sensibilità, importanti, di tutte le anime del partito. Sennò sarebbe un continuo limare, mettere il condizionale invece dell’indicativo, smussare gli angoli. Aggiungendo così tanta acqua al vino che non è più neanche un rosé. Noi dobbiamo unirci attraverso un’identità di partito chiara: da una parte c’è un movimento politico generale che va verso l’invadenza dello Stato o il nazionalismo, dall’altra parte mancano punti di riferimento liberali. Noi dobbiamo essere la capitale di quel mondo che si oppone alla deriva che stiamo vivendo.

Opinione liberale dobbiamo mantenerla e cartacea, magari con meno pagine. Mi piace l’idea di un giornale dove aboliamo gli articoli autoreferenziali, alziamo la qualità e facciamo un prodotto interessante da leggere fuori. Una persona quando apre Opinione liberale deve sentire il profumo della freschezza.

Ferrara: Dobbiamo partire da un presupposto quando si parla di comunicazione e stampa di partito: il Mattino non è un giornale, Popolo e libertà nemmeno. Sono manganelli, anche se stampati su carta. Fare informazione, anche di partito, significa preoccuparsi di separare fatti e opinioni: chiunque pubblica qualcosa, anche una segreteria di partito, ha responsabilità sui contenuti editoriali. Prima di parlare del numero di pagine come fa Speziali, dico che bisogna discutere su quanti ci leggono.

Da presidente mi impegnerò a usare bene i media, con più opinioni, più spunti di cronaca parlamentare o dei comuni e farli finire su veicoli come la carta stampata, che oggi vive una grande crisi. Significa uscire dalla dimensione del cantarsela e suonarsela da soli. Sicuramente qualcuno lo vuole tenere Opinione liberale, e ci è affezionato. Ma si può cambiare, si può decidere di distribuire volantini alle stazioni, oppure si decide di fare un inserto negli altri giornali.

Martinenghi: Ho la buona abitudine, quando arrivo in un posto, di non dire che è tutto sbagliato. Chiedo, mi informo, mi consiglio con chi conosce più di me certi temi e poi decido. Penso però che prima di dire come, dobbiamo decidere cosa comunicare. Però ho la sensazione che siamo ipermediatizzati, c’è un annacquamento dell’informazione politica che porta al disinteresse generale. L’immagine va usata con il contagocce, sennò perde valore. Nella politica ci sono troppe partecipazioni sui media. 

Vista la pandemia, considerato il profilarsi all’orizzonte di importanti difficoltà economiche, in casa Plr l’indebitamento nei conti pubblici è ancora un tabù?

Ferrara: Pochi anni fa sono tate risanate le finanze cantonali con notevole sforzo da parte del governo e grandi compromessi in Gran Consiglio. Cosa che ha però consentito, quando c’è stata la prima ondata pandemica, di intervenire subito, senza grandi patemi, a sostegno dell’intero tessuto economico e sociale del nostro cantone. Poi cos’è successo? Come si stava profilando la seconda ondata, c’è chi ha cominciato a parlare non di indebitamento ma di aumento delle imposte. Il dibattito si è quindi concentrato su questo tema. Ora ci preoccupiamo tanto di destra e sinistra, ma a me preoccupa lo stare ferma. Qui non si va né a destra e né a sinistra, così non si va da nessuna parte.  Così non si riesce più a far politica. E si finisce per non affrontare le difficoltà strutturali, che questa pandemia ha evidenziato.

È emersa la fragilità strutturale di alcune aziende in alcuni settori e in particolare per quel che riguarda l’impiego femminile: nel corso di questa pandemia le donne sono state le più colpite dai licenziamenti e le meno pagate. Quello he dico è che adesso bisogna investire, prendendo le risorse dove ci sono.

Martinenghi: La pandemia è un aspetto contingente, non è un tema della politica finanziaria da qui a dieci anni. Nel frattempo il Paese deve andare avanti e allora i soldi vanno dati subito, anche a fondo perduto, senza aver paura di sforare di cinquanta, cento milioni. In particolare per quanto riguarda la socialità gli interventi, per i motivi che ho indicato prima, devono essere mirati. Ma ripeto: il debito pubblico deve aumentare. Anche e soprattutto per investire strutturalmente. In tal modo lasceremo non debiti alle prossime generazioni, bensì infrastrutture e un Paese che funziona.

Pertanto mi chiedo, ad esempio, per quale motivo la Confederazione non abbia ancora prolungato AlpTransit a sud di Lugano. Perché ancora non si è proceduto alla digitalizzazione nelle amministrazioni comunali. Questo rinviare, questo aspettare della politica non lo capisco. Io interpreto la politica finanziaria come una politica delle infrastrutture per il Paese. 

Speziali: Non è che l’austerità sia fine a se stessa o che i liberali siano per definizione i poliziotti delle finanze. Dobbiamo comunque renderci conto che non possiamo investire in tutte le direzioni o aiutare tutti, intervenendo ‘a pioggia’ su tutto. Perché poi la dimensione del debito diventa colossale e non conosco un Paese che abbia costruito le sue fortune grazie alla perdita di controllo del debito. La storia del nostro cantone ci insegna che rientrare dal debito è possibile ma che non è per nulla facile, dovendo ricorrere a misure di risparmio. Il debito ha senso se quando si spende un franco si sa o si prevede che quel franco generi un franco e mezzo o due.

Di conseguenza, e a fronte pure delle molte richieste pendenti in Gran Consiglio, occorre fissare delle priorità anche per quel che concerne gli investimenti. Ciò premesso, dove investire? Nella formazione, nelle infrastrutture, nelle aziende, soprattutto in quelle che si rinnovano. Come emerso infatti dalla pandemia, le ditte maggiormente fragili sono quelle che non si sono rinnovate in termini di digitalizzazione e che si sono così trovate spiazzate per esempio con il telelavoro.

Al Tribunale federale sono pendenti dei ricorsi contro la legge ticinese sul salario minimo. Sulla misura i liberali erano molto tiepidi. Confidate in un accoglimento dei ricorsi? 

Speziali: Più che tiepidi, eravamo assolutamente scettici. E io lo sono tuttora. Alle urne la popolazione ticinese ha però deciso che il salario minimo va introdotto. E in generale non spero di vincere una battaglia politica attraverso le vie giudiziarie. I cittadini si sono espressi. Bene, allora testiamo il salario minimo.

Ferrara: Ero contraria al salario minimo fissato per legge, essendo sempre stata a favore di salari negoziati per settore. Sono favorevole ai contratti collettivi per non svilire il partenariato sociale, che è fondamentale, anche perché non tutti gli ambiti economici, lavorativi sono uguali. Detto questo, non vorrei mai, e lo dico anche come cittadina, che qualcuno venisse pagato meno di venti franchi all’ora. In parlamento il nostro partito, pur essendo contrario al principio, aveva proposto degli emendamenti che fra l’altro avrebbero aumentato la forchetta del salario minimo.

Ci sono però contratti collettivi sotto i venti franchi l’ora…

Ferrara: Io non li avrei firmati e non li firmerei mai. Meno di venti franchi non è un salario, è assistenzialismo. 

Martinenghi: Affermo solo che vanno riconosciuti stipendi adeguati. Non voglio indicare dei parametri. Ripeto: stipendi adeguati. 

Parlare di liberali e radicali, cioè delle due anime storiche del partito, ha ancora senso?

Martinenghi: Sono categorie che esistono: nel Plr ci sono ancora persone che si identificano in quella radicale e altre in quella liberale. È però chiaro che il mondo sta viaggiando in un’altra direzione, che trascende queste due categorie.

Ferrara: Anzitutto i termini liberale e radicale non sono dei confini. Rappresentano un concetto: nessun individuo esiste senza la società. I liberali radicali riconoscono a ogni individuo delle possibilità, anche quella di diventare più ricco di un altro, nella consapevolezza, tuttavia, che la coesione, la solidarietà e la solidità di una società permettono alle persone che faticano e a quelle che eccellono di vivere insieme. La nuova presidenza del Plr avrà il compito, non facile, di ricordare non solo ai liberali radicali ma a tutti i cittadini che liberale e radicale sono non delle etichette ma dei valori. E quando riusciamo a orientare la nostra azione politica verso quei valori lo facciamo nell’interesse di tutti.

Speziali: Nel partito sensibilità varie e dialettica sono fondamentali. L’importante è che queste sensibilità non si trasformino in personalismi e regionalismi. Dopodiché è importante tener conto anche di un’altra corrente interna, quella diciamo di mezzo, che sulle questioni economiche e su quelle sociali chiede la sintesi delle visioni. Tutte queste sensibilità vanno in ogni caso adeguate ai tempi. E questo anche per poter rispondere a quesiti del tipo: un liberale come si pone davanti alla crisi climatica? Un radicale come si pone davanti alla questione della digitalizzazione o della robotizzazione?

Non sempre potremo fare la sintesi, ma perlomeno potremo discutere e trovare una posizione condivisa, o ampiamente condivisa, sui temi. Quando poi parliamo di cultura liberale parliamo di un metodo e di un sistema di pensiero che variano nel tempo. Il liberalismo di oggi non è quello di ieri o dell’altro ieri. Alcune pagine vanno riscritte adattandole ai tempi che si stanno vivendo.

Una formazione politica non vive di sole idee. Campa anche di fondi. Se eletti presidenti, come garantirete il finanziamento del partito?

Speziali: Non so quanta creatività possa esserci al riguardo. Alla fine i canali sono sempre gli stessi: contributi, donazioni, servizi messi a disposizione da amici. È chiaro che un partito vive se ha sempre più iscritti. Parliamo però non solo di risorse finanziarie, ma anche umane e appunto di servizi, di prestazioni. Da questo punto di vista la grande sfida è riuscire a convincere l’elettorato: se il partito sarà in grado di proporre progetti, iniziative, idee, sono convinto che ci saranno persone disposte a sostenerlo finanziariamente.

Ferrara: Dobbiamo per prima cosa staccarci da un passato molto vicino, che ha visto il partito dipendere molto, finanziariamente, da poche persone. È rischioso per almeno due motivi: perché magari queste persone a un dato momento si allontanano dal partito e quindi vengono a mancare i fondi, e perché magari hanno l’esigenza di avere un partito che non fa politica ma che fa la loro politica. Bisogna allora pensare a ‘costruire’ un’ampia base di finanziamento, affinché questo sia anche sicuro nel tempo. In altre parole, preferirei che vi fossero tantissimi ticinesi che versano anche solo cinque, venti o trenta franchi, perché condividono determinate battaglie. Dipendere da poche persone, che hanno fatto moltissimo per il partito ma che hanno anche preteso moltissimo, dettando pure parte dell’agenda politica, ci ha staccati un po’ dal mondo reale. Chi ha delle grandi disponibilità finanziarie difficilmente riesce a mettersi nei panni di tutte le ticinesi e di tutti i ticinesi che noi vogliamo rappresentare. 

Condivide Martinenghi?

Martinenghi: No. Quello che dice Natalia sarebbe l’ideale, ma i conti devono tornare e i soldi devono esserci affinché il partito possa finanziare tutta una serie di attività. Due, cinque, dieci franchi… alla fine però, ripeto, i soldi devono esserci. Quando mi è stato chiesto, ho raccolto per il partito dei fondi. L’importante è che il partito e i suoi organi mantengano sempre la loro assoluta indipendenza, la loro autonomia decisionale, anche a fronte di contributi finanziariamente rilevanti. Non deve esserci alcun condizionamento.