Alla 'Giustizia e diritti' i procuratori preavvisati negativamente dal Consiglio della magistratura hanno anche consegnato documenti e fornito dati
Sono stati sentiti ieri a Lugano, in un’aula del Palazzo di giustizia. Sono stati sentiti separatamente: le audizioni sono cominciate la mattina e si sono protratte fino al primo pomeriggio.
È arrivato così anche il loro turno, quello dei cinque procuratori pubblici la cui rielezione è stata preavvisata negativamente dal Consiglio della magistratura (Cdm) con dure valutazioni, anche sul piano personale, pur non essendo stati raggiunti in passato da richiami formali o ammonimenti. La commissione parlamentare li ha ascoltati dopo aver deciso lunedì 28 settembre di incontrarli, come avevano chiesto. Per settimane non hanno parlato, lo hanno fatto ieri davanti a quelli che sono in questo momento i loro interlocutori istituzionali: i deputati della ‘Giustizia e diritti’. Davanti a una commissione molto attenta, i cinque pp hanno espresso il loro punto di vista, consegnando documenti, fornendo dati. Hanno potuto insomma prendere posizione sui duri pareri del Consiglio della magistratura. Anche se non hanno avuto la possibilità di visionare gli atti sulla base dei quali avrebbero preso forma i preavvisi confezionati dal Cdm. Per la semplice ragione che l’accesso a questi atti è stato negato dal Consiglio della magistratura: prima ai procuratori interessati, poi alla commissione parlamentare, chiamata a formulare a sua volta le proposte di elezione al plenum del Gran Consiglio.
È stata una giornata lunga e intensa per la commissione presieduta dal popolare democratico Luca Pagani. Nel pomeriggio, sempre al Palazzo di giustizia, ha sentito pure, per la seconda volta, il presidente del Consiglio della magistratura Werner Walser e il procuratore generale Andrea Pagani. Bocche cucite sul contenuto delle audizioni di Walser, Pagani e dei cinque pp.
Intanto ieri mattina, intervenendo alla trasmissione ‘Millevoci’ della Rsi, l’avvocato e già membro del Cdm Mario Postizzi ha affermato che il Consiglio della magistratura “ha il dovere di mettere a disposizione delle persone toccate tutti gli atti. In caso contrario, è impossibile delineare un efficace diritto di essere sentiti”. Parole che l’avvocato Renzo Galfetti condivide: da noi interpellato definisce «sconcertante» che il Consiglio della magistratura abbia deciso di non trasmettere alla commissione ‘Giustizia e diritti’ gli atti sui cinque pp preavvisati negativamente. Rincara Galfetti: «Mi chiedo fino a che punto la commissione possa considerare questi preavvisi, in assenza di motivazioni e di confronto con i diretti interessati. Più che preavvisi sembrano proclami». Sulla stessa lunghezza d’onda un altro avvocato: Filippo Gianoni. «Adesso tutto è nelle mani della commissione e se effettivamente non dispone delle motivazioni di quei preavvisi, potrebbe legittimamente non considerarli. Come si fa a verificare la fondatezza di un parere, se non si hanno elementi per farlo? Un preavviso che non è motivato - prosegue Gianoni, che è pure docente di diritto amministrativo all’Università dell’Insubria - è come se non esistesse».
A pensarla così è pure Galfetti: «A livello procedurale la commissione potrebbe ritenere inutilizzabili i preavvisi del Cdm perché non motivati e perché chiamata a formulare le proprie proposte al plenum tenendo conto dei pareri del Cdm: mancando le motivazioni di questi, può dire di non potersi pronunciare». Quindi, prosegue, «se la ‘Giustizia e diritti’ arrivasse a una conclusione dando i propri preavvisi sbaglierebbe, dati le circostanze e il contesto». Insomma, occorre scindere il livello procedurale da quello politico, con il secondo che entra in campo con forza nel caso prospettato da Galfetti, quello della decisione commissionale di non procedere con un proprio preavviso. Decisione che «implicherebbe immediatamente una decisione politica, con due possibili vie d’uscita». La prima, annota, «è che la situazione viene considerata talmente urgente a causa della scadenza delle nomine che si procede comunque: questa per me sarebbe una scelta bizzarra». Per contro, «il discorso politico può invece portare a dire che i problemi sul tavolo non concernono solo le nomine dei ventuno procuratori ma finalmente la riforma del Ministero pubblico e, altrettanto finalmente, il potenziamento dello stesso. Procedere subito alle nomine vuol dire procrastinare di dieci anni perlomeno la riforma, vuol dire insabbiare».
Una strada potrebbe essere quella della proroga di un anno, quindi. L’ex pp Luciano Giudici intervistato dalla ‘Regione’ (cfr. edizione di ieri) ha definito questa una proposta “incostituzionale”, che “genererebbe ricorsi e sarebbe imbarazzante anche per i pp preavvisati negativamente”. No, replica Galfetti: «A mio avviso la proroga di un anno degli attuali ventuno procuratori è perfettamente costituzionale. La Costituzione dice che il periodo di nomina è di dieci anni, ma lo spirito della norma è di renderli indipendenti per un lungo periodo di tempo. E se questo è lo spirito - rileva - nove anni di carica sarebbero incostituzionali, undici aumenterebbero l’indipendenza che la Costituzione garantisce». Perché, conclude Galfetti, «al termine della proroga il rinnovo sarebbe comunque decennale: ecco perché la costituzionalità è data».
La separazione dei poteri invocata dal Cdm per negare alla commissione ‘Giustizia e diritti' l‘accesso agli atti, riprende Gianoni, «è inconcepibile: la separazione dei poteri, secondo me, in questo caso non c’entra, se si pensa anche a quello che scriveva il Consiglio di Stato nel messaggio che ha portato all’introduzione nella legge della disposizione che attribuisce al Consiglio della magistratura anche il compito di preavvisare all’indirizzo del parlamento, cui compete l’elezione di procuratori e giudici, i preavvisi sulle candidature dei magistrati a un nuovo mandato nella medesima funzione». Scriveva il governo: “In questo modo, al Gran Consiglio viene fornita un’indicazione supplementare riguardo ai magistrati. Il preavviso deve considerare l’attività svolta dal magistrato, tenendo conto anche della qualità e della quantità del lavoro svolto. È però chiaro che esso non deve consistere in un giudizio sul merito delle sentenze”.