Le ipotesi di reato: truffa, riciclaggio di denaro, falsità in documenti e violazione dell’ordinanza federale sulle fideiussioni legate al coronavirus
“Otto segnalazioni di presunte irregolarità legate ai crediti Covid-19”. Il Ministero pubblico ticinese, da noi interpellato, ha indicato che “le verifiche e gli accertamenti sono in corso”. A livello nazionale sono 582 i casi di sospetti abusi in quest’ambito in fase di chiarimento. Tuttavia, stando ai dati statistici della Confederazione, finora non è stata sporta alcuna denuncia.
Dal 26 marzo le aziende elvetiche con problemi di liquidità a causa della crisi innescata dalla pandemia di coronavirus, possono chiedere alle loro banche crediti garantiti dalla Confederazione. Il ‘ministro’ delle finanze Ueli Maurer, a suo tempo, aveva sottolineato come le procedure per ottenere questi soldi (o, meglio, prestiti) debbano essere snelle e quindi poco burocratiche, cosicché le imprese possano beneficiare in modo rapido dei cosiddetti crediti transitori Covid-19. Berna ha quindi deciso di garantire, attraverso fideiussioni, un massimo di 40 miliardi di franchi. E, stando ai dati aggiornati a ieri, ne sono stati concessi poco più di 15 miliardi a oltre 128mila aziende. Solo in Ticino, alla fine di maggio, le banche ne hanno concessi per un totale di circa 1,2 miliardi a quasi 10mila imprese. Stando all’Associazione bancaria ticinese, considerando la quota sul Pil nazionale, il Ticino è il cantone con la percentuale più alta di crediti concessi.
Resta il fatto che sin da quando sono stati presentati questi aiuti, Maurer aveva da un lato minimizzato i potenziali abusi, dicendosi convinto che chi investe nella propria azienda non cerca di imbrogliare lo Stato. Dall’altro non li aveva nemmeno esclusi, vista la semplicità con la quale si possono ottenere, assicurando che vi sarebbe stato un controllo sistematico dei crediti concessi. Infatti, il 15 maggio scorso, la Segreteria di Stato dell’economia (Seco) ha presentato un piano contenente misure volte a combattere il rischio di abusi: un ruolo centrale lo svolgono le organizzazioni che concedono fideiussioni, alle quali spetta avviare e dirigere i procedimenti penali e civili nel caso di sospetti imbrogli (come la compilazione incompleta del modulo di domanda o la falsificazione delle cifre sul fatturato). Queste organizzazioni fanno inoltre regolarmente rapporto alla Seco.
In Ticino il Ministero pubblico sta verificando otto casi sospetti, riguardanti “undici crediti Covid-19”. Ciò significa che una delle segnalazioni ricevute riguarda più richieste di aiuto finanziario. Tuttavia, i soldi in gioco sono minori rispetto al canton Vaud: si tratta “di cifre varianti da alcune migliaia a qualche decina di migliaia di franchi”, ha precisato la procura a ‘laRegione’, aggiungendo che “per ragioni istruttorie, ma anche alla luce dell’eterogeneità dei casi, non ci è possibile fornire maggiori dettagli”.
Le ipotesi di reato in merito agli otto casi sospetti in Ticino sono quelle di truffa, riciclaggio di denaro e falsità in documenti, nonché violazione dell’ordinanza concernente la concessione di crediti e fideiussioni solidali in seguito al coronavirus. Recentemente in una edizione speciale della rivista ‘Novità fiscali’, promossa dal Centro competenze tributarie della Supsi, gli avvocati Matteo Quadranti e Roberta Mantegazzi hanno esposto dettagliatamente le possibile infrazioni penali nelle quali si potrebbe incappare in questo periodo particolare caratterizzato dall’emergenza coronavirus. Ad esempio, il reato di truffa “presuppone un inganno astuto, ciò che (...) impone non solo un’energia criminale ben orchestrata, ma pure che la vittima non sia stata ingenua e superficiale”, si legge. Quindi, in riferimento a un ottenimento illecito di indennità per lavoro ridotto o di perdita di guadagno, una condanna in questo senso “presuppone che tali indennità siano state ottenute con inganno astuto”. Lo stesso dovrebbe dunque valere per i crediti transitori Covid-19. La pena massima può variare dai 5 anni di carcere, fino ai 10 anni nel caso in cui la truffa sia stata “perpetrata per mestiere”. È inoltre prevista, per gli stranieri, un’eventuale espulsione dalla Svizzera. Quadranti e Mantegazzi nel loro articolo descrivono anche il reato di falsità in documenti: può trattarsi di un “falsificazione”, ma anche di un “falso contenuto” per “procacciare a sé o altri un indebito profitto”. Nel caso dei crediti transitori si tratterebbe dunque di presentare informazioni che non corrispondono alla realtà (come cifre inesatte sul fatturato). La pena massima è di cinque anni.
Ricordiamo infine che la procura ticinese a metà maggio ci aveva indicato di aver ricevuto tre segnalazioni per sospette irregolarità legate alle indennità per lavoro ridotto.