Il pretore penale Siro Quadri conferma a carico della donna le imputazioni di esercizio abusivo della professione di avvocato e di concorrenza sleale
Si è opposta al decreto d’accusa, ma senza successo. Il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha infatti confermato le imputazioni formulate dal procuratore pubblico Andrea Gianini a carico della titolare dello studio ’Lex e Iustitia’, con sede a Cadenazzo. Riconoscendola colpevole di esercizio abusivo della professione di avvocato e di violazione della Legge federale contro la concorrenza sleale, ha condannato la donna a una pena pecuniaria, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, e a una multa di 400 franchi. Il dibattimento si è svolto venerdì scorso a Rivera, al centro cantonale della Protezione civile. Assente l’imputata, dispensata dal pretore dopo che la 35enne aveva inoltrato un certificato medico. Presenti invece il difensore (d’ufficio), l’avvocato Felice Dafond, che aveva chiesto il proscioglimento della propria assistita e il pp Gianini, contrario all’assoluzione. Al processo ha preso parte anche l’avvocato Ivan Paparelli, patrocinatore di uno dei due accusatori privati, ovvero l’Ordine ticinese degli avvocati, che aveva sporto denuncia nei confronti della donna per esercizio abusivo e concorrenza sleale in relazione a fatti avvenuti nel 2018, denuncia sfociata nel decreto d’accusa stilato dal Ministero pubblico in seguito agli approfondimenti del caso.
Al centro anche di un atto parlamentare, la responsabile di ’Lex et Iustitia’ è cittadina italiana: nata e cresciuta in Svizzera, si è laureata in giurisprudenza all’Università di Bari. In Ticino, e meglio a Cadenazzo, ha aperto la ditta, senza però limitarsi, secondo pubblica accusa e giudice, alla consulenza in ambito giuridico o alla rappresentanza legale nei casi in cui è consentito. In almeno un’occasione avrebbe assunto il patrocinio in ambito civile, per l'iscrizione di un’ipoteca legale: patrocinio che avrebbe dovuto assumere un avvocato. Che la 35enne non era e non è. Non è iscritta nell’apposito registro cantonale, non avendo in Svizzera effettuato il biennio di praticantato né sostenuto l’esame per l’ottenimento del relativo brevetto. E non è neppure iscritta all’albo degli avvocati degli Stati membri dell’Ue o dell’Aels, non avendo fatto pratica in Italia, che pertanto non l’ha abilitata al patrocinio.
Dal giudice Quadri la titolare dello studio ’Lex et Iustitia’ di Cadenazzo è stata riconosciuta colpevole anche di concorrenza sleale. Per il pretore, la donna usava «una strategia di marketing da supermercato», tipo «paghi due porti via tre». E questo facendo uso anche di volantini, in cui asseriva di offrire gratuitamente la prima consulenza e di praticare costi inferiori a quelli degli avvocati. Una pubblicità, secondo il giudice, aggressiva e sleale, non dovendo l’imputata far fronte agli oneri di uno studio legale vero e proprio (Rc, tariffe e altri costi). Ma in quei volantini, soprattutto, vantava un'esperienza che però non possedeva, come rilevato dal pretore, traendo così in inganno i potenziali clienti sulle sue reali conoscenze e capacità di prestare consulenza alla stregua di un avvocato. «L’impressione - ha sostenuto il giudice Quadri - è che l’imputata privilegi la pubblicità, la notorietà, piuttosto che la qualità», ossia l'esperienza e le conoscenze giuridiche per tutelare i cittadini che a lei si rivolgono.
La difesa ha intanto annunciato la dichiarazione di appello, riservandosi di ricorrere alla Corte di appello e revisione penale una volta ricevute e lette le motivazioni del verdetto. Non è quindi da escludere che altri giudici siano chiamati a esaminare il caso e a pronunciarsi con una sentenza.