Frequenza scaglionata e mantenimento delle lezioni a distanza per le scuole Medie. È scontro con Lugano. Bertoli: 'Non possiamo accettare quel modello'
L’11 maggio si torna a scuola, ma a piccoli passi. Due giorni per alunno alla settimana – o quattro mattinate – alle scuole elementari e dell’infanzia, almeno un giorno alle medie (dove un eventuale sforzo aggiuntivo è a discrezione degli istituti e l’insegnamento a distanza resta attivo). Di volta in volta, in classe dovrà essere presente non più della metà degli allievi – 12 al massimo – per garantire il rispetto delle distanze sociali. Sarà facoltativa la frequenza per le scuole d’infanzia. È questo il risultato del negoziato tra il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs) e i Comuni, per combinare il diritto allo studio nelle scuole obbligatorie alle oggettive difficoltà logistiche segnalate sul territorio.
Il direttore del Decs Manuele Bertoli l’ha descritta come «la scelta più prudente di tutta la Svizzera». Eppure le difficoltà non mancano: con i genitori che tornano progressivamente al lavoro, aumenterà anche la pressione sui servizi di accudimento. I Comuni che avessero difficoltà nel reperire le necessarie risorse, o che riscontrassero problemi di natura logistica, potranno rendere facoltativa la frequenza anche per la prima e la seconda elementare. Chi è ancora più in difficoltà, infine, potrà aprire una settimana dopo.
L’insegnamento a distanza termina per le elementari, mentre rimane la spina dorsale alle scuole medie, alle quali è richiesto di garantire almeno un giorno in presenza a settimana (o due mezze giornate), eventualmente di più: «Confidiamo di poter arrivare fino a due giornate e mezza», ha notato Bertoli.
Si darà la precedenza alle materie giudicate più importanti dal punto di vista curricolare. La priorità è data alla matematica e alle principali materie scientifiche ed umanistiche. Escluse per motivi igienici le materie che prevedono contatti corporei o coi materiali, come educazione fisica e musicale e arti plastiche.
L'entrata e l'uscita da tutti gli istituti sarà da programmare in maniera scaglionata, onde evitare al massimo i contatti tra allievi, docenti e genitori. Le ricreazioni devono avvenire in sottogruppi e l'uso dei servizi igienici in modo organizzato, per ridurre i contatti. Allievi e docenti a rischio non andranno a scuola, mentre agli altri sarà concesso un momento per riprendere la naturalezza della scuola relazionale ed elaborare un periodo disorientante anche per loro.
L’impressione, insomma, è che Decs e Comuni si siano venuti incontro. Andrea Pellegrinelli, Vicepresidente dell’Associazione comuni ticinesi e sindaco di Capriasca, ha ammesso che «tra classi e accudimento, ci aspetta un lavoro gigantesco», ma ha anche sottolineato «la consapevolezza da parte della maggioranza dei Comuni del fatto che il bambino ha il diritto di andare a scuola», e che «se non agiamo adesso, a settembre saremo di nuovo ai piedi della scala».
Non che tutti i comuni siano d’accordo: Locarno e Lugano hanno subito contestato le decisioni del Decs, ritenendole di difficile applicazione e richiedendo il rientro solo per le ultime classi della scuola d’infanzia e delle elementari. Una proposta che Bertoli ha respinto: applicando la loro proposta «non si tratterebbe di una vera riapertura. Non credo che Lugano e Locarno abbiano mezzi inferiori ad altri comuni che si sono detti pronti a riaprire. Dire solo 'non ce la facciamo' non è accettabile». Il rischio è quello che si riproponga la contrapposizione tra il Cantone e le due città vista quando le scuole si trattava di chiuderle (l’autorità in materia spetta al Decs, ma all’epoca la chiusura ebbe il sapore di una capitolazione alle pressioni municipali).
Ma la conferenza stampa di oggi è servita anche a rassicurare le famiglie. Il medico cantonale Giorgio Merlani ha ribadito che i bambini trovati positivi finora sono stati solo 12 nella fascia di età fino ai 9 anni, 62 tra 10 e 19. È vero che su quell’età sono stati effettuati meno tamponi, ma si tratterebbe comunque di un tasso di contagio estremamente basso – lo 0.3% tra i bambini – con decorsi generalmente assai lievi.
Lisa Kottanattu, capo servizio dell’Ente ospedaliero cantonale, ha aggiunto che mentre all’inizio dell’epidemia si temeva che i bambini potessero costituire un grave veicolo di contagio per adulti e categorie a rischio, ora quel timore si è ridimensionato: allo stato attuale delle conoscenze mediche «i dati pubblicati supportano l’ipotesi che i bambini non giocano un ruolo importante nella diffusione del virus. Inoltre vi sono forti indizi sul fatto che non siano loro i primi a infettarsi: spesso contraggono il virus dai genitori. È comunque importante ricordare che ogni anno, nella stagione invernale, siamo confrontati con altri virus che nei bimbi possono portare a decorsi ben più gravi».
La specialista in pediatria e malattie infettive ha infine tranquillizzato chi ricordava come in alcuni casi di bambini positivi al Covid-19 si sia sviluppata la sindrome di Kawasaki, una pericolosa infiammazione delle arterie – in particolare di quelle coronariche – che può avere gravi conseguenze a lungo termine sulla salute cardiaca. In Ticino si è riscontrato un solo caso di questo tipo, mentre la stessa sindrome è nota e si sviluppa anche in bambini non contagiati: «Allo stato attuale della conoscenza scientifica, è impossibile stabilire se vi sia un nesso causale» tra Covid-19 e sindrome.
Il medico cantonale, da parte sua, pare più preoccupato dai tempi ristretti tra le due fasi di riapertura, il 27 aprile e l’11 maggio: i tempi di incubazione rendono difficile valutare le conseguenze dei primi allentamenti prima di procedere ulteriormente. «Personalmente avrei preferito avere un po’ più di tempo e agio per valutare gli effetti delle misure messe in atto e comprendere quali siano le più efficaci in un’ottica di lungo periodo», ha detto Merlani. Per il quale ora la priorità va data a tutte le forme di controllo e tracciamento dei contatti.
Tanto che sono appena partite le lettere per proporre a 1'500 ticinesi dai 5 anni in su – un campione statisticamente rappresentativo dell’intera popolazione – la partecipazione a una grande mappatura tramite test sierologico: una ‘punturina’ sul dito simile a quelle che si fanno per misurare la glicemia, che però potrebbe permettere di identificare più chiaramente chi il virus l’ha già avuto, in modo da valutare l’esposizione della popolazione e lo sviluppo degli anticorpi, dei quali peraltro non è ancora chiara la durata. Il test, naturalmente, è facoltativo. Intanto, il caveat è sempre lo stesso: «Più aumenteranno le possibilità di contatto, più importanti diverranno le misure igieniche» che vanno rispettate non solo dalle imprese, ma anzitutto dai singoli individui.
Per quanto riguarda i trasporti, Bertoli ha fatto notare come sul totale degli allievi delle medie, solo la metà (ovvero 6'000) impieghino quelli pubblici per recarsi a scuola. «Di questi, 4'500 dispongono di un abbonamento Arcobaleno, per cui si spostano con il trasporto di linea. Su questi mezzi non è comunque data un’indicazione vincolante di distanze, anche se la frequenza ridotta permetterà di lasciare più spazi vuoti. Gli altri 1'500 allievi si spostano su bus appositi. Anche in questo caso la frequenza ridotta permetterà più distanza».