Il sindacato lamenta il mancato rispetto delle norme igieniche e di riduzione del lavoro, e chiede la tutela dei lavoratori. Ocst scrive alle imprese momò
“Fermare la produzione!” Questa la richiesta di Unia al Consiglio di Stato: un veto definitivo a tutte le attività non essenziali data la situazione di emergenza sanitaria, qualcosa in più delle semplici raccomandazioni che finora, stando al sindacato, sono state ripetutamente disattese: “Nella maggior parte dei posti di lavoro non vengono o non è possibile garantire le misure di protezione della salute e di sicurezza adeguate. Che senso ha vietare le manifestazioni con più di 50 persone quando nelle mense delle fabbriche in centinaia condividono gli stessi spazi?”, si legge in un comunicato; “Che senso ha parlare di distanze di sicurezza in una fabbrica di abbigliamento? Che senso ha invitare a non frequentare gli spazi pubblici quando nelle baracche di cantiere si condividono gli stessi spogliatoi e si mangia a decine in spazi ridotti?”
Unia chiede dunque che a restare aperti siano solo ospedali, ambulatori medici, farmacie, supermercati e negozi di generi alimentari. E che ai lavoratori – inclusi gli interinali – vengano garantite le indennità da lavoro ridotto e il divieto assoluto di licenziamenti fino al ritorno alla normalità.Una richiesta condivisa anche dal sindacato Ocst, che oltre a chiedere la tutela del lavoro temporaneo e a ore ha mandato un preciso messaggio a tutte le industrie del Mendrisiotto: dato che “lavoratrici e lavoratori ci riferiscono che stanno vivendo, comprensibilmente, la propria presenza sui luoghi di lavoro con grande preoccupazione e paura”, “vi esortiamo a interrompere con effetto immediato le attività della vostra azienda a eccezione di quelle necessarie per far fronte ai bisogni primari della popolazione".
Il presidente dell'Associazione industrie ticinesi (Aiti) e consigliere nazionale Fabio Regazzi però replica: "Se ci sono situazioni nelle quali non si rispettano le regole, si portino le prove e sarà giusto intervenire con severità. Lo stesso d'altronde vale per altre situazioni di rischio, come gli assembramenti nei luoghi pubblici, dato che non tutti hanno capito quali regole sociali occorre rispettare per limitare il contagio”. Quella di fermare tutto in ogni caso “è una richiesta unica in tutta la Svizzera, neppure in Italia si arriva a chiedere tanto. Ora gli inviti del Consiglio di Stato necessitano di precisazioni: dev'essere la politica a dirci se si può andare avanti a produrre quel che è necessario, naturalmente sempre nel rispetto delle disposizioni sanitarie. Già ora, nessuna azienda produce solo per il gusto di farlo: si tratta di soddisfare ordini ed esigenze urgenti, in un contesto economico comunque molto rallentato”. Il blocco totale, tuttavia, “rischia di mettere definitivamente in ginocchio l’economia ticinese”.
Intanto le confederazioni sindacali italiane Cgil, Cisl e Uil frontalieri hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte denunciando ''imprese che, attraverso un diffuso ricorso ad affitti di camere di hotel, ove non addirittura all'interno delle stesse fabbriche, costringono i frontalieri alla permanenza forzosa per il timore di una possibile chiusura delle frontiere, ma con il ricatto di fatto del mantenimento del posto di lavoro. Misure come la chiusura delle dogane o il blocco del rilascio dei permessi sono, allo stato attuale, puramente propagandistiche''