Ticino

Ieri sferravano pugni, oggi sono cyberbulli e femmine

Come è mutato lo scenario della violenza fra gli adolescenti. Nostra intervista a Giancarlo Piffero, per tredici anni a capo del Gruppo Visione Giovani.

23 dicembre 2019
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«Sono entrato in Polizia 44 anni fa, nel 1975». Giancarlo Piffero, da una manciata di giorni ‘a riposo’ ne ha macinati di chilometri e di parole. Formatore, per inclinazione, già fra gli agenti ha trattato anche di comunicazione, gestione di conflitti, interculturalità, psicologia. Una preziosa base che l’ha accompagnato per 13 anni nella guida del Gruppo Visione Giovani della Polizia cantonale: «Era la primavera 2006 quando mi ha contattato l’ex consigliere di Stato Alex Pedrazzini. Essendo già impegnato in ambito sportivo giovanile, mi è stato chiesto dall’allora comandante Romano Piazzini se fossi interessato a fare un’attività con i giovani nell’ambito della prevenzione. Con il collega Marco Lehner abbiamo portato avanti questo progetto attivandolo il primo giugno dello stesso anno».

Da sporadici interventi, oggi il Gruppo Visione Giovani, che è composto da quattro specialisti che fungono da collaboratori regionali, collabora con più di 150 sedi scolastiche fra cui 95 di scuole elementari, 40 di scuola media (fra pubbliche e private) e una ventina di scuole professionali, speciali e licei , passando da 4’000 allievi all’anno raggiunti nella prevenzione a 12’000 ragazzi e circa mille fra adulti e docenti (con una proporzione di 800 adulti/genitori e 200 docenti/monitori). Statistiche importanti a cui va aggiunta la media annuale di 200-250 colloqui di mediazione, sia nelle scuole sia con i genitori: «Abbiamo sempre voluto instaurare un dialogo con i ragazzi, non una lezione frontale sfoderando superiorità e con fare giudicante, ma un passaggio chiaro di informazioni per il loro bene e il loro futuro».

Quali sono stati gli intenti del Gruppo Visione Giovani fin dagli albori?
Non ci presentiamo nelle scuole come poliziotti ma come formatori-informatori. Quali mediatori ci siamo posti fin da subito quale via di mezzo fra la scuola e il penale, ovvero l’inchiesta vera e propria. Attivandoci, su richiesta, insieme alla scuola e ai genitori, la maggior parte delle volte si riescono a trovare delle soluzioni così da non sfociare in una denuncia. Il nostro intervento è significativo in quanto le scuole apprezzano un apporto esterno, non perché le scuole non siano adeguate, hanno cioè tutti i mezzi per intervenire, ma per il fatto che nell’ambito penale possono fare poco se non rivolgersi a chi di competenza, ovvero la Polizia. Otto casi su dieci così li risolviamo. Siamo una sorta di ‘assistenti sociali’ della Polizia. Va ricordato, comunque, che qualora vi siano gli estremi per una denuncia il magistrato dei minorenni riceve una nostra segnalazione da considerare in caso di recidiva.

Come è cambiata la sua percezione dei giovani dal 2006 a oggi?
Gli adolescenti sono sempre stati adolescenti con i mezzi che hanno avuto in quel momento. La trasgressione fa parte della crescita. Io stesso sono stato un ragazzo ribelle... Sono invece cambiati, con la società, i modi di vivere. E poi è cambiata la tecnologia. Se una volta il bulletto di turno agiva fisicamente nei confronti di un altro ragazzo, adesso può agire tranquillamente da casa e per il tramite di un mezzo informatico può ‘distruggere’ un altro giovane facendo dei danni rilevanti. Se il bullo di una volta si identificava in quello grande e grosso, adesso invece può essere anche quello piccolino, magrolino, spaventato, che dietro a un computer diventa un ‘leone’, e quindi ne combina di tutti i colori perché si sente protetto e nascosto; non dovendo affrontare nessuno, agisce sulla distanza, sotto ‘copertura’ utilizzando per esempio dei nickname o false identità, difficilmente identificabili.

Molto sembrano fare oggi, nei linguaggi definiti violenti, anche le chat. È così?
Se i problemi che c’erano una volta erano legati al bullismo ‘tradizionale’ (danneggiamenti, trasgressione della legge sulla circolazione, stupefacenti, seppur non in modo così importante come adesso), ed erano più facilmente identificabili perché gli autori dovevano esporsi per commettere un reato e perché potevano essere identificati in ogni momento, oggi, se sono diminuite certe tematiche o certi tipi di reati, sono diversamente in aumento altri reati che non sono facilmente riconosciuti come tali. Soprattutto quelli commessi tramite l’informatica. Spesso i giovani non si rendono conto che scrivendo determinati commenti o inviando minacce online a dei coetanei commettono dei reati. Il fatto di insultarne uno sul marciapiede o insultarlo tramite i social non cambia, c’è sempre un insulto, una lesione dell’onore, un’ingiuria. Reati che se una volta potevano contare su dei testimoni in carne ed ossa, oggi vi è meno facilità ma più prove in quanto questi soggetti, nell’inviare scritti online, lasciano sempre una traccia. Attività svolte anche in chat e dunque in gruppo. E proprio per questo spesso devastanti per la vittima.

In quanto vittima, è giusto dire che faceva meno male (non solo nel senso fisico) il pugno sferrato anziché la violenza verbale e psicologica messa in pratica online?
Il pugno era un male forte e immediato che passava velocemente. Uno per ‘sfuggire’ riusciva però a organizzarsi, evitava l’autore e quindi il problema. Al giorno d’oggi certi ragazzi vengono attaccati ma non sanno da chi, sono disarmati. Minacce che li portano ad avere paura e a non uscire da casa. Sono attacchi proferiti da una sola persona o da un gruppo che portano la vittima all’esclusione e all’impossibilità di difendersi. Molte volte le vittime credono di essere la causa stessa dei loro problemi. E se non si confidano con qualcuno è difficile uscirne. Sono spesso reati che si protraggono nel tempo e di cui gli adulti non sono nella maggior parte dei casi a conoscenza. Se una volta, infatti, il genitore vedeva arrivare a casa il figlio con l’astuccio rotto, con qualcosa che gli mancava, con un livido o la bici danneggiata, cominciava a chiedergli il perché e il per come. Se all’inizio il figlio riusciva a mascherare la situazione, la seconda volta il genitore interveniva esigendo delle spiegazioni. Adesso i ragazzi subiscono spesso passivamente e nel silenzio. E a lungo andare queste azioni sono più logoranti e più devastanti perché minano la fiducia e l’autostima. Oggi peraltro ci mettono di più a chiedere aiuto procrastinando la soluzione. Si crea così un effetto di instabilità personale. Per questo le nostre prevenzioni puntano anche sul far conoscere i tipi di reato, i comportamenti inadeguati perseguiti dalla legge, sia d’ufficio sia su denuncia. Ai ragazzi abbiamo sempre detto “se non li denunciate, continuerete a subire e nessuno potrà fare qualcosa per aiutarvi”. Gli spieghiamo che hanno la possibilità di rivolgersi a qualcuno come il poliziotto, il genitore, il docente o il Telefono Azzurro. Purtroppo la maggior parte delle segnalazioni che riceviamo vengono però ancora non dai ragazzi, ma dalle scuole o da alcuni genitori preoccupati.

I bulli di oggi sono o possono sembrare più vigliacchi nascondendosi dietro a uno schermo, incoscienti sui veri effetti?
Non è proprio così... già in passato il bullo sceglieva le sue vittime e difficilmente le sceglieva fra chi aveva più carisma o era più grosso di lui. Faceva già delle scelte. Non per niente le raffigurazioni che vi sono sempre state è il bullo grande e grosso e la vittima piccolina, non solo sotto l’aspetto morfologico, ma anche psicologico. I giovani di una volta facevano dunque dei danni ‘consapevoli’, ciò per essere considerati più forti, più pericolosi, e gestire il gruppo con la paura e la sottomissione. Certo il bullo ‘tradizionale’ non è sparito, episodi di violenza fisica ve ne sono ancora. Seppur non in crescita, sono diminuiti certi tipi di reato che si facevano fuori da casa, come i vandalismi. Adesso, invece, quando i ragazzi non sono a scuola o a svolgere un’attività sportiva sono a casa con il computer. Un ambito nel quale sono convinto che tanti commettano reati nei confronti dei loro pari senza esserne coscienti. In parte anche perché i genitori, senza diventare degli esperti informatici, dovrebbero essere più attenti e seguirli maggiormente. Non dobbiamo limitarci a chieder loro dove vanno, con chi sono, ma mantenere un controllo su quegli apparecchi che hanno sotto le mani continuamente. Non è concepibile che un dodicenne possegga uno smartphone e il genitore non conosca la password! Il genitore ha il dovere, oltre al diritto, di potervi accedere regolarmente. Fondamentali sono i vari dispositivi di controllo, perché oltre a commettere magari qualche reato gli adolescenti finiscono per spendere delle cifre.

Vi è un aumento delle ragazze fra i ‘carnefici’ nonché fra i dispensatori di odio e cattiverie online?
I reati commessi fra i giovani (lo scorso anno sono stati 1’200 quelli trattati dalla Magistratura) vedono protagonisti i maschi per l’80%, il 20% le femmine. Se si guarda però ai reati di tipo informatico la percentuale è molto più vicina, non è più 80-20, potrebbe essere un 60-40. Non solo per la maggior facilità ma per i tipi di reati che commettono. Le ragazze insultano, minacciano anche se posseggono o producono meno video di tipo violento. Le ragazze però pubblicano di più materiale di tipo personale, foto intime per esempio. È necessario evidenziare che non sono molti i reati che proporzionalmente vengono denunciati spontaneamente nell’ambito informatico. Forse perché il linguaggio dei giovani è già di per sé un linguaggio ‘scurrile’, i vari figlio di..., ti ammazzo, ti spacco la testa, spesso purtroppo sono la normalità. E a preoccupare sono anche le ‘giustificazioni’ dei genitori, il dire ‘non è poi così grave..’.. Ciò è pericoloso: quando si comincia a minimizzare il turpiloquio il ragazzo, oltre a non rendersi conto della gravità dei suoi atti, finisce per ritenere che sia normale.

Fra i tipi di reato dove vi è stato un aumento fra i giovani?
Negli ultimi anni soprattutto nei reati inerenti al consumo di canapa. Nel 2018 si sono avuti circa 460 interventi. La pericolosità è tuttora sottovalutata anche perché c’è già una confusione fra gli adulti (fra il libero consumo e l’inizio di un’escalation di dipendenza). Se una volta il tenore del Thc era del 3%, oggi la canapa ha un tenore di tetraedro cannabinolo che raggiunge il 25-30%. Quindi in proporzione fumare una canna oggi è come fumarne simultaneamente dieci di quelle di una volta. Essendo prodotte con il sistema indoor, ovvero con una produzione accelerata, sono potenziate e contengono anche sostanze chimiche, concimi particolari, metalli pesanti. Sostanze tossiche presenti anche nelle svapo utilizzate molto dai giovani. In molti casi di risse o di violenza in generale evidenziamo sempre più il concorso dell’alcol e/o della canapa.

Possiamo parlare di giovani recidivi?
Coloro che ci ricascano li abbiamo sempre avuti. Se su quanti sono stati denunciati una prima volta vi è un 20% di recidiva, su questo 20% il 4% recidiva più di una volta.

C’è un caso che più le è rimasto impresso?
Fra i casi che mi hanno disturbato e che mi rattristano vi è quello di un paio di ragazze veramente violente e che ancora oggi passano da un foyer a un riformatorio. Casi difficilmente recuperabili. Oppure ragazzi che alle medie erano stati ‘recuperati’ e poi sono finiti male... Devo purtroppo constatare che dietro a questi casi non c’è mai una grande collaborazione da parte dei genitori, è raro che vi sia una famiglia solida, con genitori veramente presenti.