Militanti e attivisti locali dei due partiti storici per ora non chiedono le dimissioni dei loro rispettivi presidenti cantonali
Nonostante la batosta elettorale di domenica al secondo turno delle ‘federali’ 2019 (la clamorosa mancata riconferma di Filippo Lombardi agli Stati), il presidente cantonale del Ppd Fiorenzo Dadò tira dritto: dimissioni? «Assolutamente no», ha dichiarato l’altro ieri sera alla ‘Regione’. Eppure nei due partiti di centro – quello popolare democratico e quello liberale radicale, alleati (congiunti) in questa corsa al Palazzo federale ed entrambi usciti malconci dalle urne – quello delle rispettive presidenze è uno dei temi del dopo voto.
Partiamo dal Ppd. «A caldo ritengo che Dadò sia ancora al suo posto – afferma Marco Rizza, presidente del Distretto popolare democratico del Mendrisiotto –. Condivido, anche in prospettiva, la sua visione, che purtroppo non tutti nel Ppd e nel Plr hanno capito. Eppure, l’alleanza al centro è l’unica soluzione per evitare ciò che purtroppo è accaduto in questo ballottaggio per il Consiglio degli Stati, cioè finire stritolati dai poli. Indubbiamente il tempo non ci ha aiutati: la congiunzione andava forse decisa diversi mesi prima e spiegata bene agli elettori dei due partiti. Spero che il discorso non venga archiviato e che in occasione delle elezioni comunali si possa tornare a parlare, se non di un’alleanza al centro, di una collaborazione su temi condivisi, cercando di convincere l’elettorato di centro che senza questa visione comune i due partiti rischiano di restare senza ossigeno». Stiamo al presente. Al risultato di domenica e alle sue eventuali conseguenze per la dirigenza ‘azzurra’. «Prima di trarre ogni tipo di conclusione – sottolinea Michele Tamagni, presidente distrettuale del Bellinzonese – occorre avviare in tempi brevi al nostro interno un’analisi e una valutazione approfondite sul responso delle urne. Operazione che dovrà essere fatta in prima battuta dall’Ufficio presidenziale e nella quale andrà poi coinvolta la direttiva, che ha avallato le decisioni strategiche. La discussione dovrà in seguito coinvolgere pure il Comitato cantonale, ovviamente».
Marco Calzascia, presidente distrettuale del Locarnese, non ascrive la sconfitta agli errori del suo presidente: «Forse Dadò sarebbe potuto essere più presente nel corso della campagna – come ieri ha notato qualcuno –, ma è anche vero che al ballottaggio il confronto diventa qualcosa di più personale. Comunque resto convinto dal suo progetto di unità di centro». A punire sia Lombardi che Merlini, semmai, sarebbe stato «il fatto di essere fin troppo preparati: al punto da non riuscire a comunicare con quella semplicità e immediatezza che paga di più oggi. Ad esempio su temi quali l’Europa e la socialità, dove gli estremi hanno distorto il messaggio moderato». Calzascia dà anche voce a un rammarico personale: «Nel Locarnese verosimilmente qualche sezione non ha aderito al ticket al 100%. Ed è un vero peccato, visto il numero di schede aggiuntive che sarebbe bastato per vincere».
Per Giovanni Bruschetti, sindaco di Massagno, il problema che «si trascina da un po’ di tempo» è anzitutto uno: «manca una comunicazione ottimale fra le due dimensioni del partito, quella cantonale e quella delle significative rappresentanze comunali presenti sul territorio. Si è spesso interrotta la cinghia di trasmissione che univa le istanze superiori – del partito stesso e del suo gruppo in Gran Consiglio – a chi, grazie alla presenza capillare sul territorio, costituisce uno dei suoi punti di forza». Per questo «la dirigenza dovrebbe essere maggiormente orientata verso le numerose realtà comunali in forza al Partito, vuoi con suoi rappresentanti nei gremi deputati o dando loro maggiore ascolto e voce». Bruschetti però rifiuta categoricamente di puntare il dito contro il singolo Dadò: «Non compete a me dare certi giudizi». E precisa: «Ieri il pezzo da novanta lo ha perso tutto il Ticino. Lombardi è stato fondamentale per gli interessi ticinesi a Berna, indipendentemente dalla casacca politica».
«Una congiunzione affrettata e raffazzonata che non teneva conto della storia e delle differenze culturali tra i due partiti». È netto Gabriele Gendotti, già consigliere di Stato ed esponente del radicalismo ticinese, a proposito dell’esito del voto di domenica scorsa che ha visto esclusi dal Consiglio degli Stati Filippo Lombardi (Ppd) e Giovanni Merlini (Plr). «Agli Stati vige il sistema maggioritario e questa volta al secondo turno c’erano quattro candidati eleggibili con legittime ambizioni. È mancata la reciprocità del sostegno ai due candidati. In poche parole il ticket Lombardi-Merlini non ha funzionato anche per la diversa costellazione politica attuale rispetto a quattro anni fa e ognuno si è sentito libero di votare un solo candidato al di fuori della proposta figlia delle diverse congiunzioni. E l’aiuto della sinistra che andava a beneficio del candidato del Plr è venuto a mancare» commenta Gendotti.
Rimprovera quindi qualcosa al presidente Bixio Caprara? «È chiaro che la congiunzione è stata sottovalutata e messa in piedi in poche settimane senza un discorso serio ai militanti. Si è deciso il 1° di agosto in un comitato con i soldatini del partito senza veramente coinvolgere la base. Una riflessione interna si impone», continua Gabriele Gendotti, il quale precisa che storicamente la dialettica tra le due correnti di pensiero del Plr – liberali e radicali – ha sempre aiutato il consenso. «Ora il partito sta pagando il fatto che ha snobbato per otto anni la parte radicale appiattendosi su posizioni troppo vicine alle imprese e alla finanza, dimenticandosi della sua vocazione interclassista sensibile anche ai principi di laicità, solidarietà e socialità», conclude Gendotti.
Fulvio Pelli, già consigliere nazionale e presidente del partito, è di tutt’altro avviso. Secondo lui «l’ala radicale è probabilmente meno importante di quanto si pensi. C’è, ma deve essere pronta a capire che in una società della comunicazione bisogna profilarsi, non si può essere contemporaneamente sia di destra che di sinistra». Per Pelli sarebbe bello superare certe categorie; purtroppo però profilarsi si deve, e allora bisognerebbe seguire l’esempio “del partito nazionale, che si è posizionato relativamente bene alla destra del centro, ma come favorevole alla cooperazione internazionale, allo sviluppo economico, alla ricerca”.
Anche sulla congiunzione l’errore, per Pelli, è stato anzitutto di comunicazione: «Se ne sarebbero dovute misurare meglio le conseguenze, che invece si sono rivelate incontenibili. Per i media, la congiunzione fra Plr e Ppd era così sorprendente che automaticamente
l’hanno presentata come un progetto politico duraturo, mentre si trattava di un’alleanza elettorale». Si è fatto tutto «un po’ tardi e senza la giusta preparazione», ma non si può crocifiggere il solo Caprara: «Ha fatto quello che poteva in un periodo difficile, non si è certo inventato l’iniziativa del ticket e per di più questa è stata condivisa ampiamente all’interno del comitato cantonale».
«La speranza è che nel partito ci sia un nuovo clima, e che tutte le opinioni abbiano cittadinanza». Nuovo corso fa rima con nuova presidenza, però. «Se qualcuno vorrà aprirsi la mente, io sarò a disposizione». Il deputato radicale Matteo Quadranti, che domenica ci ha messo 12 minuti di orologio dall’ufficializzazione dei risultati a chiedere le dimissioni in blocco e immediate dell’Ufficio presidenziale del Plr, il giorno dopo rincara la dose: «Si deve cambiare metodo – dice alla ‘Regione’ – al di là della presidenza mia o non mia, non è questo il tema». Anche se la disponibilità parrebbe esserci. Ciò detto, dopo il fallimento della ‘congiunzione tecnica’ con il Ppd, per Quadranti «se non cogliamo questa occasione rischiamo di spaccarci. Il partito deve farsi un esame di coscienza, non è sempre colpa dei radicali quando le cose vanno male e merito dei liberali quando vanno bene». Da dove ripartire? «Risanando le finanze dello Stato, ma non dobbiamo dimenticare le fasce deboli. Ed è imperativo cercare soluzioni per il ceto medio e sui premi di cassa malati». Critico sin dall’inizio sulla congiunzione con il Ppd, l’ex presidente della Sezione Plr di Lugano Giorgio Grandini non usa giri di parole: «È stato un disastro e Merlini non lo meritava. La congiunzione delle liste alle ‘federali’ è crollata su tutta la linea. Questa alleanza non ha funzionato. Mi sarei allora aspettato che già domenica sera l’attuale dirigenza del partito preannunciasse un passo indietro: ‘Abbiamo sbagliato, dopo le elezioni comunali lasceremo perché il partito va rigenerato’». Un passo indietro dopo il rinnovo, il prossimo 5 aprile, di municipi e legislativi locali «perché farlo adesso non sarebbe opportuno visto che alle ‘comunali’ mancano pochi mesi e la campagna è già cominciata». E in vista di queste ‘comunali’ cosa dovrebbe fare il Plr per evitare un’altra sconfitta? «Bisogna iniziare subito a profilare il partito, chiedendosi anzitutto se il nostro è un partito liberale o no. Chi ha vinto queste elezioni federali? Chi ha saputo profilarsi con dei progetti chiari. Vediamo quindi di rispolverare i nostri valori laici e illuministici alla base della filosofia liberale». Alleanze con il Ppd a livello locale? «Se si vuol continuare a credere a Gesù bambino...».
«Non mi associo a chi chiede le dimissioni di Bixio Caprara che continua ad avere la mia fiducia. La sconfitta agli Stati fa male, ma il luogo deputato per la discussione sull’esito del voto in seno al partito è il comitato cantonale». Così Marco Nobile, presidente della sezione Plr di Bellinzona. Sulla stessa linea anche Alberto Valli, presidente distrettuale del Plr del Mendrisiotto. «Giovedì sera faremo la nostra assemblea distrettuale e lì discuteremo dei risultati. Ero critico nei confronti della congiunzione, ma Caprara non è in discussione», afferma Valli.