La sentenza sul caso Consonni riapre la discussione sul contrasto agli abusi salariali. Pp e agenti di polizia specializzati, i sindacati rilanciano
“Ancora una volta è stato solo grazie al coraggio dei lavoratori coinvolti che abusi dei diritti, dumping sui salari e altre pratiche illegali sono stati denunciati; lavoratori che, di fronte a sentenze come quella odierna (lunedì 21 ottobre, ndr), rischiano di sentirsi scoraggiati”. Scriveva così il Movimento per il Socialismo in una nota a caldo dopo che era stata resa nota la sentenza della Corte delle assise criminali con la quale, di fatto, sono stati assolti i sette imputati del caso Consonni Contract, compreso il titolare. L’accusa era di usura praticata nei confronti di alcuni dipendenti frontalieri. Settimane lavorative di 54 ore, straordinari non conteggiati e restituzione di ‘eccedenze’ salariali. Insomma, una storia di ‘malaedilizia’ portata alla luce dal sindacato Ocst ed esauritasi per probabili inghippi tecnico-giuridici. Saranno le motivazioni del giudice Mauro Ermani a chiarire come mai non si sia potuti giungere a un verdetto diverso.
Ma al di là della vicenda Consonni, è il messaggio che esce da questa sentenza a sconcertare il mondo sindacale. «Se dovesse essere accettata la tesi difensiva della mancanza del requisito dello stato di bisogno degli operai taglieggiati, siamo al ‘liberi tutti’. I contratti collettivi di lavoro sarebbero sostanzialmente carta straccia. Non ci sarebbe più la possibilità di arginare il fenomeno», afferma Dario Cadenazzi, responsabile edilizia del sindacato Unia. «La situazione è veramente drammatica. Rischiamo di farci molto male, se una tesi del genere dovesse essere accettata. Convincere un lavoratore vessato che ha già fatto uno sforzo incredibile a venire nei nostri uffici e poi fargli varcare la porta del Ministero pubblico per denunciare pratiche scorrette, diventerebbe quasi impossibile», continua Cadenazzi che comunque precisa di non conoscere nel dettaglio il caso Consonni Contract. «Ma i casi di ‘malaedilizia’ e di sfruttamento sfociati in procedimenti penali e condanne non sono mancati negli ultimi anni. Se percentualmente gli imprenditori disonesti sono in minoranza, questo non vuol dire che non inquinino il mercato del lavoro locale che sta diventando una giungla, soprattutto nel settore dell’artigianato edile. Bastano pochi soggetti per creare pressioni al ribasso sia per i lavoratori, sia per le imprese corrette che devono far fronte a una concorrenza sleale e guerra dei prezzi», continua ancora Cadenazzi.
«Regolarmente come sindacato siamo confrontati con lavoratori che ci mettono al corrente di pratiche salariali che violano contratti collettivi e altre norme. Le abbiamo anche denunciate pubblicamente negli anni scorsi tanto che nell’edilizia principale è stato siglato un protocollo aggiuntivo al contratto collettivo cantonale con la controparte imprenditoriale per regolamentare il lavoro parziale e quello a prestito. È qui che si annidano le possibilità di abuso che toccano spesso i lavoratori distaccati», aggiunge ancora il sindacalista.
Come contrastare, allora, questi fenomeni? «Potenziando per esempio polizia e magistratura. Ribadiamo la richiesta di una sezione del Ministero pubblico apposita. Crediamo che i reati legati al mondo del lavoro meritino un sforzo particolare da parte delle istituzioni e del Cantone. Assistiamo a episodi preoccupanti», conclude Cadenazzi.
Il governo ha già preso posizione, dicendosi contrario alla proposta, con l’invito quindi al parlamento a respingerla. Il Gran Consiglio deve ancora esprimersi. La proposta è quella dei deputati popolari democratici Giorgio Fonio e Lorenzo Jelmini: con una mozione, depositata nel novembre 2017, i due sindacalisti dell’Ocst sollecitano l’istituzione di “una Sezione del lavoro all’interno della magistratura” e di “una Brigata del lavoro all’interno della Polizia cantonale”. Secondo Fonio e Jelmini servirebbero insomma team di inquirenti e investigatori specializzati nel perseguimento degli illeciti nel mondo del lavoro. Allo Stato, scrivono, la situazione “richiede un maggior impegno tramite una diversa organizzazione”. Ma con quella attuale, obietta il Consiglio di Stato nel rapporto sull’atto parlamentare, “si riesce a far fronte al fenomeno”, per esempio quello della malaedilizia. “Come per altre tipologie di reati legati a settori specifici, il Ministero pubblico ha da tempo indicato delle procuratrici o dei procuratori di riferimento, in modo da garantire il giusto approfondimento tecnico della materia”, aggiunge l’Esecutivo, per il quale “la settorializzazione danneggia l’operatività, mentre il disporre di procuratori pubblici di riferimento risulta essere la soluzione da preferire nelle materie specifiche”. Nel rapporto, stilato nel settembre 2018, il governo ricorda poi non solo di aver deciso l’introduzione della figura del “Perito contabile” (designato di recente) per arginare i fallimenti fraudolenti o pilotati, ma anche quanto fa la Gendarmeria: controlli nonché collaborazioni, presenti e future, con uffici cantonali: “La lotta agli abusi e allo sfruttamento sarà sicuramente più incisiva ed efficace”. Ergo, mozione da considerare “evasa”.
Non la pensano così Fonio e Jelmini. Quella del Consiglio di Stato è una presa di posizione «burocratica, che non condividiamo», dichiara Jelmini alla ‘Regione’. Gli illeciti nel campo del lavoro «sono, dal nostro osservatorio, aumentati negli anni e ciò danneggia anche gli imprenditori che agiscono correttamente. Bisogna allora che lo Stato dia una risposta forte destinando alla polizia e alla magistratura risorse ad hoc che sappiano cogliere determinati segnali e individuare così in tempi rapidi le mele marce». Risorse che «non sarebbero ovviamente a costo zero, ma grazie a un’azione di contrasto maggiormente performante lo Stato risparmierebbe sui costi derivanti dalle conseguenze, come quelle a livello di assicurazioni sociali, di certi reati».
La mozione è al vaglio della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’. «Ed è auspicabile – dice Fonio – che la evada celermente, affinché sulla proposta il plenum del Gran Consiglio possa decidere al più presto, perché i meccanismi per aggirare le leggi vengono continuamente affinati dagli imprenditori senza scrupoli. E l’attualità lo conferma». Sulla mozione, spiega il presidente della commissione, il socialista Carlo Lepori, «sentiremo il procuratore generale Andrea Pagani, con il quale abbiamo fissato un’audizione per il mese prossimo».
Sul fronte giustizia e lavoro si è invece chiuso il capitolo Tribunale del lavoro. In marzo il Gran Consiglio ha bocciato la proposta, avanzata nel 2017 da Massimiliano Ay (Pc) e dagli allora deputati Jacques Ducry (Ps-Indipendente) e Michela Delcò Petralli dei Verdi, di dar vita in Ticino a un tribunale che deliberasse nelle cause in materia di lavoro. Il parlamento si era allineato con il governo (“le Preture operano già in maniera efficiente”). Osserva Ay: «Pur restando convinti che un Tribunale del lavoro si giustifica, come comunisti appoggeremo la proposta di Fonio e Jelmini. Sarebbe comunque un passo avanti».