Caso ex funzionario Dss condannato per coazione sessuale, il Consiglio di Stato impugna la decisione della presidente della Corte d'appello e revisione penale
Il Consiglio di Stato non demorde e la scorsa settimana ha impugnato davanti al Tribunale federale la decisione della presidente della Corte d’appello e revisione penale, la giudice Giovanna Roggero–Will, che gli ha negato l’accesso alla sentenza di primo grado, e alle relative motivazioni scritte, con cui è stato giudicato colpevole di coazione sessuale il 59enne ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità. Il verdetto è stato emesso in gennaio alle Assise criminali di Lugano dal giudice Marco Villa, che ha condannato il già collaboratore del Dss a una pena pecuniaria di 120 aliquote, ciascuna da 60 franchi, sospesa condizionalmente. Verdetto che è poi approdato al secondo grado di giudizio, dopo che accusa e difese avevano annunciato appello. La Carp ha negato l’accesso agli atti e dunque la richiesta del governo di poter prendere visione della sentenza, affermando in sostanza che quest’ultima non è ancora definitiva.
Prima di entrare nel merito del ricorso, Mon Repos verificherà, come da procedura, la legittimità del Consiglio di Stato a contestare dinanzi al Tribunale federale la decisione della presidente della Carp. L’interesse del governo per le cento e passa pagine della sentenza deriva dai rilievi fatti dal giudice Villa al momento di pronunciare il dispositivo. Soprattutto quando ha detto che nel 2005 una delle vittime aveva chiesto aiuto “a un alto funzionario”, che però “non ha preso provvedimenti affinché l’imputato non potesse più ripetere certi comportamenti”. Parole come macigni. Che hanno destato il mondo politico, da cui sono partiti atti parlamentari, tuttora pendenti, all’attenzione del governo. La lettura del verdetto dovrebbe quindi fornire al Consiglio di Stato elementi utili ai fini degli accertamenti amministrativi da lui avviati.
Il verdetto di primo grado è stato impugnato dall’imputato, difeso dall’avvocato Niccolò Giovanettina, che al processo aveva sollecitato il proscioglimento dell’ex funzionario, licenziato dal governo alcuni giorni prima dell’apertura del dibattimento alle Criminali. Ma anche dall’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, che aveva rinviato il 59enne a giudizio anche per violenza carnale, e dall’avvocato Carlo Borradori, patrocinatore delle accusatrici private, per il quale tutti gli episodi non prescritti andrebbero riconosciuti come penalmente rilevanti. Tre le accusatrici private. Una era appena maggiorenne all’epoca dei fatti, avvenuti una quindicina di anni fa. Due di loro l’allora funzionario del Dss, che per lo Stato si occupava di politiche giovanili, le aveva conosciute nell’ambito di una piattaforma aperta ai giovani, della quale era coordinatore/segretario. Una era invece stagista nello stesso ufficio del dipartimento in cui lavorava l’imputato.
L’impossibilità finora di visionare la sentenza di primo grado e quindi di avere maggiori informazioni sulle eventuali responsabilità, in questa vicenda, dell’“alto funzionario”, al quale ha accennato in aula, senza farne il nome, il giudice Villa, ha impedito ieri in Gran Consiglio al presidente del governo Christian Vitta di rispondere compiutamente alle domande e ai rilievi dei deputati Boris Bignasca (Lega) e Fiorenzo Dadò (Ppd) in relazione alla presenza del nome di Ivan Pau-Lessi nell’elenco di nomi per il rinnovo dei membri del Consiglio d’amministrazione dell’Azienda cantonale dei rifiuti. Pau-Lessi, lo scorso febbraio, si è autosospeso da tutte le cariche pubbliche come conseguenza proprio della sentenza emessa nei confronti dell’ex funzionario del Dss. “Non un’ammissione di responsabilità”, ha scritto Pau-Lessi che ai tempi era anche lui funzionario del Dss, nel suo memoriale inviato al Consiglio di Stato lo scorso febbraio. In merito ai comportamenti del 59enne condannato, Pau-Lessi ha affermato: “Mi venne riferito di ‘avances’, ma non di qualcosa suscettibile di denuncia”.