Ticino

Marco Mona su Bosia Mirra: 'La solidarietà non è delitto'

Oggi l'appello per l'accusa di "incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale”. Intervista all'ex procuratore pubblico (1/2)

(TiPress)
10 settembre 2019
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Oggi a Locarno si terrà il processo in appello per il caso di Lisa Bosia Mirra, condannata in primo grado nel 2017 per “ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale”. Per un paio di settimane nel 2016 Bosia aveva aiutato 24 profughi eritrei e siriani verosimilmente minorenni a entrare in Svizzera, e ne aveva ospitati alcuni a casa sua. Molti di questi erano diretti in Germania.

Ne parliamo con Marco Mona, avvocato, già procuratore pubblico e giudice al Tribunale distrettuale di Zurigo, membro dell’Osservatorio giuridico che documenta e difende l’operato di Lisa Bosia Mirra.

Mona, in primo grado Lisa Bosia è stata giudicata colpevole di “ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale” per avere aiutato 24 profughi eritrei e siriani verosimilmente minorenni a entrare da Como in Svizzera. Non crede che chi viola le leggi debba essere sanzionato?

Ben venga un’assoluzione, ma io sarei già molto soddisfatto se si riconoscesse la sua azione come onorevole e comprensibile, e pertanto si rinunciasse quantomeno a una pena, ciò che è possibile secondo il Codice penale. Lisa Bosia ha soccorso minorenni ai quali veniva negata una vita dignitosa. Credo sia legittimo riconoscere che ci sono situazioni nelle quali la solidarietà va permessa anche se entra in contrasto con la legge.

“Uscire dalla legalità per rientrare nel diritto”, auspicava in altri contesti Romeo Manzoni. Tuttavia i giovani eritrei si trovavano in Italia, sia pure in un accampamento precario alla stazione di Como: qual era la situazione oggettiva di pericolo, in questo caso?

Numerosi testimoni hanno illustrato la situazione di difficoltà e di insicurezza in questi contesti. I giovani si trovavano nella più totale instabilità e incertezza circa quanto sarebbe loro successo. Non sapevano assolutamente quale sarebbe stato il loro avvenire, a breve e a lungo termine. Il rischio oggettivo era quello di subire un trattamento arbitrario e discriminatorio: sappiamo bene – perché i casi sono numerosi e documentati – che molti giovani venivano poi costretti a intraprendere una vita di clandestinità. Clandestinità che poi, inevitabilmente, crea enormi disagi sia a chi la vive che alla società nel suo complesso.

Ma riconoscendo queste ‘attenuanti’ e depenalizzando di fatto gesti come quello di Bosia, non si rischia di creare un precedente facilmente strumentalizzabile? Non si potrebbe insomma assistere a un moltiplicarsi di tentativi di fare entrare migranti in Svizzera senza permesso, appellandosi poi a giustificazioni aleatorie?

No. Nessuno viene comunque esentato dallo scrutinio della giustizia, e ognuno deve fornire gli elementi per dimostrare che si è trattato di situazioni veramente di emergenza, e tali da sottoporre anche l’imputato a uno stato di stress e angoscia.

In che senso?

Si metta nei panni dell’imputata. Nella misura in cui si è confrontati con la sorte di ragazzini che rischiano di essere abbandonati a loro stessi e di andare alla deriva, è normale che ci si trovi in uno stato di enorme stress e disagio psicologico, direi appunto di angoscia, che inevitabilmente finisce per incidere sulle proprie scelte e azioni.

C’è chi ritiene che si tratti di discorsi moralistici, che esentano certi individui dalle loro responsabilità – magari per motivi ideologici –, quando invece si è molto più severi con chi agisce senza condividere gli stessi valori di riferimento. Due pesi e due misure, insomma.

Io invece sono convinto che di fronte a certe situazioni non si tratti di doppiopesismo ideologico. La memoria corre a quanto successe durante la Seconda guerra mondiale, quando in numerosi casi, in ossequio alla legge, si è omesso di soccorrere alle frontiere persone in grave pericolo e difficoltà, abbandonandole al loro destino. Anche in quel caso sarebbe stato utile e necessario che qualcuno in più fosse pronto a violare la legge per permettere loro di salvarsi. In situazioni estreme com’è anche quella di certi migranti, non si può combattere contro la solidarietà. La solidarietà non può essere delitto.