Di principio serve un 'clic' per gli addebiti, ma non sempre è così. Un lettore: 'Costi per servizi osé proposti via sms, benché non avessi risposto'
Riceve un messaggio sul cellulare con l’invito a visitare siti osé e senza cliccare nulla si trova addebitato nella fattura di novembre l’importo di 26 franchi per il servizio. Costo ridotto a 14 in dicembre, quando tramite l’operatore mobile (Salt) riesce a bloccare l’abbonamento stipulato contro il suo volere. La sventura capita a un nostro lettore che ci assicura di non aver mosso un dito sugli sms ricevuti, ritenuti in un primo momento lo scherzo di qualche amico. Solo una volta accortosi che la fattura non quadra prende sul serio i messaggi e contatta la Salt. Altro che goliardata: l’importo va saldato. E i messaggi in arrivo dal numero in questione vanno bloccati. «Ma bisogna parlarne affinché non capiti ad altri, che rischiano anche che ci vada di mezzo il matrimonio...» dice alla ‘Regione’. Tanto per iniziare occorre capire se è effettivamente possibile incappare in fatturazioni sgradite senza compiere alcun ‘clic’. «Per quanto riguarda gli sms, è necessaria un’azione manuale da parte del cliente (invio di un sms, registrazione online)» ci risponde la portavoce dalla compagnia telefonica in questione. Ammettendo che «in alcuni rari casi, può verificarsi un errore da parte del fornitore di servizi (ad esempio, il numero di telefono è stato inserito in modo errato). Quando riceviamo un reclamo da parte di un cliente che dichiara che non c’è stata alcuna azione manuale, verifichiamo il riepilogo dettagliato dei suoi sms per identificare quando e come è stato ordinato il ‘servizio premium’. Se i costi sono stati addebitati senza il suo accordo, rimaniamo flessibili e provvediamo ad un accredito di questi ultimi». Che non si possa avere «totale certezza» sul fatto che è necessaria un’azione da parte dell’utente per sottoscrivere abbonamenti indesiderati lo sostiene la Polizia cantonale, da noi contattata sull’argomento. Anche se «di principio» è vero che per attivare un abbonamento è necessario un clic. Se capita quello sbagliato, e vengono addebitati costi indesiderati, è opportuno comunque segnalare il caso? «Dipende dal caso che va sempre valutato singolarmente: il fatto di vedersi addebitato un costo indesiderato non significa essere necessariamente di fronte a una truffa o a un reato – valuta la Polizia –. Vale comunque sempre la pena di fare un tentativo per disdire l’abbonamento. È naturale che a fronte di un palese inganno truffaldino è opportuno denunciare il fatto». «In generale – raccomanda dal canto suo la Salt – se un cliente vede sulla sua fattura costi aggiuntivi indesiderati, gli raccomandiamo di contattare il nostro servizio clienti e di spiegare la situazione».
Non ci sono solo i messaggi. Anzi, spesso e volentieri sui cellulari suonano numeri sconosciuti, e l’utente – ritenendosi persona gentile – risponde. O (addirittura) richiama. Buona educazione che può anche costare cara... “È uno dei casi più comuni – spiega alla ‘Regione’ la portavoce di Salt –: il cliente vede una chiamata persa sul suo telefono da un numero sconosciuto (spesso un numero internazionale) e richiama. Il numero che contatta è in realtà un numero ‘premium’», che implica la sottoscrizione di un abbonamento oppure tariffe proibitive. «Consigliamo ai nostri clienti di non richiamare numeri speciali sconosciuti – prosegue –. In parallelo, blocchiamo le chiamate in uscita verso questo tipo di numeri non appena vengono identificati, per essere sicuri che il problema non possa verificarsi per altri clienti». Chiediamo consiglio alla Polizia cantonale. Come bisogna comportarsi in caso di telefonate da numeri sospetti? «Di principio non bisogna rispondere a messaggi o telefonate provenienti da recapiti sospetti. Anzi, per quanto possibile, tutti dovrebbero evitare di rispondere a numeri sconosciuti o richiamarli, anche se non sospetti», mette in guardia la Polizia, che a precisa domanda spiega di non disporre di «dati per quantificare il fenomeno» dei ‘colpi’ messi a segno tramite sms o telefonate. «Ma truffe del genere sono una realtà – aggiungono i servizi della Polizia –. La più conosciuta e redditizia è quella denominata ‘Ceo Fraud’ (la truffa del capo) che consiste nell’usurpare l’identità di un responsabile di una società e poi, spacciandosi per lui, e facendo pressioni su un funzionario di un servizio finanziario dell’azienda, indurlo a eseguire bonifici bancari verso conti esteri. L’ingegneria sociale ha un ruolo determinante in questa tipologia di reato. Si tratta di un fenomeno parecchio marcato nella Svizzera romanda, ma che per ora ha toccato il Ticino solo marginalmente. In questi ultimi anni si sono registrati solo alcuni tentativi». Vi sono invece quelli più noti, che seguono sempre lo stesso stratagemma (ricordate i ‘falsi nipoti’?): come nel caso dei ‘falsi operatori Microsoft’, che chiamano spacciandosi per tecnici e si fanno così riferire password di accesso al computer. Svuotandolo.
Una volta bisognava fotocopiare, imbustare, spedire. Con una certa fatica, già allora le catene di Sant’Antonio riscontravano un discreto successo. Figuriamoci oggi, quando certi testi corrono via Whatsapp o sms, a costo zero e per il cui inoltro basta una manciata di secondi. Recentemente, e nel giro di pochi giorni, chi scrive ha ricevuto due messaggi di allarme di “truffe” in circolazione (vedi foto a lato). “Stanno arrivando chiamate a raffica da... se rispondi o richiami, ti parte automaticamente un abbonamento di 7 euro la settimana...”. “Oggi la radio parlava di WhatsApp Gold ed è vero... se ricevi un messaggio per aggiornarlo, non aprirlo... hanno [ma chi?!] appena annunciato che il virus è serio...”. Toni apocalittici che consolidano (semmai ce ne fosse bisogno...) la voglia di tenersi stretti quei quattro amici e incontrarli al bar. Altro che chat. Ma ragionandoci, suvvia: mica esiste WhatsApp Gold!
Vuoi vedere che questi messaggi sono loro stessi tentativi di – o veicolo di – potenziali truffe? Nel mettere in circolazione informazioni false, c’è qualcuno che ci guadagna? Giriamo la domanda alla polizia. «Messaggi di questo genere sono spesso inveritieri per cui, trattandoli per quello che valgono, andrebbero eliminati. I ‘social media’ sono zeppi di notizie fasulle. Tutto quanto ci bersaglia a livello di “informazione” (per modo di dire) va puntualmente verificato facendo delle ricerche mirate e confrontato con più fonti». Regola d’oro del nostro mestiere e che è bene condividere.
Con una riflessione in chiusura: perché mai le “chiamate a raffica” di chi ti truffa addebitandoti senza il tuo consenso l’abbonamento di 7 euro al mese arriverebbero da Paesi come la Tunisia, il Kosovo o la Moldavia? Anche se tutto è falso, ci viene il dubbio che uno scopo ci sia. E possa essere quello di far correre di cellulare in cellulare anche certi stereotipi. Perché la truffa, se truffa vuole davvero essere, può tranquillamente arrivare anche dal prefisso 0041.