Ticino

I cinque nomi Ppd si fanno a porte chiuse

Al Comitato cantonale di domani sera la stampa resta fuori. Invitati solo i membri. Il vicepresidente Fonio: 'Per evitare la pressione esterna'

20 novembre 2018
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A porte chiuse, “ossia aperto unicamente ai membri del Comitato cantonale”. E a Castione, alla sala Eventica, perché è attesa la folla delle grandi occasioni, e dunque serve più spazio. All’ordine del giorno del Comitato cantonale straordinario del Ppd domani sera, mercoledì, dalle 20 (ma con l’invito a presentarsi dalle 19.15, “al fine di agevolare la registrazione dei delegati aventi diritto di voto”), c’è la designazione dei candidati al Consiglio di Stato per le Cantonali 2019. Una pendenza di competenza del ‘parlamentino’ che solitamente viene evasa per acclamazione, senza troppi formalismi: da statuto infatti le designazioni “avvengono per voto segreto, anche se il numero di candidati non è superiore al numero di posti disponibili”. Solitamente va a finire che i candidati sono cinque e i posti disponibili altrettanti. E dunque scatta l’applauso e basta quello.

Non stavolta. Stavolta il voto si imporrà, perché i candidati saranno almeno sei. Oltre ai cinque individuati dalla Commissione cerca (Paolo Beltraminelli, Raffaele De Rosa, Michele Rossi, Elia Frapolli e Alessandra Zumthor), e preavvisati a maggioranza dalla Direttiva, sul tavolo ci sarà anche il nome di Fabio Bacchetta-Cattori, determinato ad andare fino in fondo e giocarsi le sue carte, forte del sostegno manifestatogli fra l’altro dai trecento che hanno sottoscritto l’appello a suo favore sul sito chiarezza.ch. Se compariranno altri nomi, per ora non è dato sapere. Ma tanto basta per dedurre che i delegati dovranno votare, ritrovandosi di fatto a svolgere l’esercizio delle primarie che la Direttiva, qualche mese fa, aveva escluso.

Il precedente lo avevamo già ricordato sull’edizione del 14 novembre. Anche nel 1999 gli otto della lista per il Consiglio nazionale vennero votati dal comitato cantonale, che escluse Gianmaria Mosca. E anche allora l’incontro si svolse a porte chiuse. A quasi vent’anni di distanza, con mutamenti abissali dal punto di vista della comunicazione, il vertice del partito ha optato per la stessa modalità. Porte chiuse, stampa fuori. «La scelta è stata della Direzione del partito», spiega Giorgio Fonio, vicepresidente del Ppd. Perché avete deciso di riunirvi a porte chiuse? «Come successo in altre situazioni, in questo momento il partito dovrà prendere delle decisioni importanti. Stiamo discutendo di una lista per il Consiglio di Stato e si è deciso di farlo a porte chiuse, per evitare la pressione esterna e la presenza della stampa. È per poter dialogare come già si fa sempre, serenamente. Per poter parlare al nostro interno».  

Strategia alla resa dei conti

Quando il gioco si fa duro... le porte si chiudono. I giornalisti restano fuori e con loro l’opinione pubblica, ergo gli elettori. In men che non si dica il positivo “fermento” (Fiorenzo Dadò dixit) si trasforma in dibattito tanto delicato da dover essere tenuto segreto. La base del partito, quella che fa numero, non è invitata. E anziché conoscere i motivi con cui il vertice giustifica la ‘top five’, si dovrà accontentare dei nomi, con annesso (ce lo auguriamo) il numero di preferenziali. Un paio di considerazioni sulla scelta. La prima: sebbene ci assomiglino, domani non sono primarie in cui i pretendenti potranno esporre i loro temi. In gioco c’è prima di tutto la strategia scelta dal vertice e il rischio di una bocciatura. Secondo elemento: con il via libera della Direttiva in tasca, perché la direzione del partito non ha colto l’occasione per difendere pubblicamente le proprie scelte? Forse che, dovessero emergere critiche sull’opportunità di inserire Paolo Beltraminelli nella rosa, costerebbe troppo all’Ufficio presidenziale assumersene pubblicamente la responsabilità? Se la direzione fatica a difendere apertamente l’uscente dal “fuoco amico”, figuriamoci da giovedì in avanti.

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