Antonio Perugini ha rassegnato le dimissioni con effetto dal prossimo 1° febbraio
In Procura avrebbe potuto restare, per legge, fino a 70 anni. Avrebbe potuto, perché Antonio Perugini, il decano dei magistrati inquirenti in carica, al prossimo rinnovo dei mandati in seno al Ministero pubblico ticinese – cioè nel 2020 – non ci sarà. Classe 1954, sostituto procuratore generale sino a qualche mese fa quando a dirigere l’ufficio giudiziario era John Noseda, Perugini ha rassegnato le dimissioni con effetto dal 1° febbraio 2019. Le ha comunicate all’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio, autorità di nomina di giudici e pp, con lettera datata 31 luglio, secondo i termini di disdetta previsti per i magistrati (sei mesi). Solo ora però si è appreso della notizia, anticipata ieri pomeriggio sul sito della ‘Regione’.
Alla fine del prossimo mese di gennaio Perugini lascerà dunque la Procura, dopo avervi operato per ben ventinove anni. Lascerà gli uffici dell’antenna di Bellinzona del Ministero pubblico. Quell’antenna a cui era particolarmente attaccato e dove ha sempre lavorato. Inchieste, processi, gruppi di lavoro: è stata (ed è) particolarmente intensa l’attività di Perugini. Una partenza di peso la sua. La partenza di un magistrato di lungo corso. I quasi trent’anni di carriera di Perugini in seno alla magistratura inquirente sono stati contraddistinti da importanti riforme organizzative e normative. Tra le prime l’unificazione delle Procure sopracenerina e sottocenerina, che ha portato all’istituzione del Ministero pubblico con giurisdizione su tutto il territorio cantonale. Fra le seconde la revisione del Codice di procedura penale ticinese e l’introduzione nel 2011 della procedura unificata sul piano federale. Perugini ha lavorato con cinque pg: Piergiorgio Mordasini (scomparso nel 1997), Luca Marcellini, Bruno Balestra, Noseda e (dal 1° luglio) Andrea Pagani.
Pagani è stato eletto dal Gran Consiglio alla direzione del Ministero pubblico lo scorso febbraio. Fra i quattro candidati alla successione di Noseda c’era anche lui, Perugini, area Ppd. Perugini e Pagani, entrambi allora sost pg. Tutti e quattro i candidati erano stati ritenuti dalla Commissione di esperti “idonei” a ricoprire la carica. Perugini “particolarmente idoneo”. Per finire il parlamento ha optato per Pagani, area Plr. Le dimissioni di Perugini sono da mettere in relazione alla sua mancata nomina a procuratore generale? Ieri l’interessato non ha rilasciato dichiarazioni. Al Ministero pubblico assicurano comunque che Perugini «ha preso la decisione serenamente» ed «è in ottimi rapporti con tutti i magistrati» della Procura. Una scelta, la sua, «legata a questioni anagrafiche: nel 2019 compirà 65 anni», l’età della pensione. Insomma, nessuno screzio con gli attuali vertici dell’ufficio. Il nuovo pg Pagani ha sempre definito Perugini “un gran signore”.
Sostituto procuratore pubblico dal 1990 e procuratore pubblico dal 1992, Antonio Perugini è il ‘decano’ della magistratura. Classe 1954, originario di Bellinzona, si laurea in diritto all’Università di Friborgo nel 1978 con diploma alla facoltà internazionale di diritto comparato a Strasburgo nel 1981. Il brevetto di avvocato nel 1982, mentre lavora alla Sezione della circolazione: prima come sostituto capo dell’Ufficio giuridico, poi come capo a tutti gli effetti. In seguito diventa direttore dell’intera Sezione, che conduce tra il 1986 e il 1990. Entra quindi in Procura subentrando a Luigi Mattei e riveste la carica di procuratore generale aggiunto fino al 2006, quando inoltra le dimissioni in segno di protesta contro l’unificazione logistica del Ministero pubblico a Lugano. Gli succede Rosa Item, mentre Perugini riesce a mantenere il suo ufficio a Bellinzona. Già sostituto procuratore generale, si candida alla successione di John Noseda. Il parlamento a febbraio gli preferisce Andrea Pagani. Di area popolare democratica, Perugini è stato consigliere comunale a Camorino in rappresentanza del Ppd. Si è occupato anche di alcune pubblicazioni, tra cui una relativa agli incendi di mezzi pesanti nei tunnel. Sua l’inchiesta sull’incidente del 2001 nella galleria del San Gottardo.
Numerosi i casi penali finiti sotto la lente di Antonio Perugini nei quasi trent’anni di attività in veste di magistrato inquirente. Il suo nome è legato in particolare a tre grosse inchieste. La prima era scattata nel 2003 e riguardava le coltivazioni abusive di canapa e relativo commercio. Perquisizioni, sequestri, fermi. Era l’operazione antidroga battezzata ‘Indoor’, che non risparmiò neppure la rete di società, gestite anche da persone con ruoli pubblici, che da quel commercio traevano importanti profitti. Allora erano decine e decine in Ticino i punti vendita di canapa con un tenore di Thc particolarmente elevato. La seconda grande inchiesta cui è legato il nome di Perugini è quella sul tragico incendio nel 2001 nel tunnel autostradale del San Gottardo (undici morti). Un’inchiesta complessa, anche per i non pochi aspetti di carattere tecnico da esaminare. Gli insegnamenti ricavati da quell’indagine e da altri episodi analoghi hanno portato Perugini e il professor Jean-Claude Martin, uno dei massimi esperti scientifici al mondo in materia di roghi, a scrivere un libro, pubblicato nel 2015, su origine e dinamica degli incendi dei veicoli pesanti nelle principali gallerie a una sola canna bidirezionale dell’arco alpino. La terza grossa inchiesta coordinata da Perugini è quella sul giro di permessi taroccati, alimentato da mazzette, che ha coinvolto anche alcuni collaboratori dell’Ufficio cantonale della migrazione.
«Con l’inchiesta sul tragico rogo nel tunnel del San Gottardo Perugini ha messo a disposizione della comunità internazionale scientifica la sua esperienza e le sue conoscenze – sottolinea il capo del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi –. Con le sue dimissioni, la Procura perde un magistrato di valore. Uno dei miei auspici è che al Ministero pubblico entrino anche persone che hanno già maturato esperienze giuridiche in altri settori, come è stato proprio il caso di Perugini». Commenta Maurizio Agustoni, capogruppo Ppd in parlamento: «Perugini è stato un pilastro del Ministero pubblico e quindi rivolgo un pensiero di riconoscenza nei suoi confronti. Ha saputo assumere posizioni anche molto profilate su dossier non facili, come quello della canapa. Andando oltre i risvolti penali, impegnandosi in campagne di sensibilizzazione non per forza popolari». Ma come partito non avete nulla da rimproverarvi, considerato che per la nomina a pg il Gran Consiglio gli ha preferito Pagani? Non è stato un po’ ‘bruciato’? «Non ci sono rimproveri, potrebbe esserci casomai un rammarico. Noseda andava in pensione e Perugini aveva tutte le carte in regola per subentrargli. È stato il candidato ritenuto più idoneo dalla commissione d’esperti. Ora però il pg è Pagani e a lui vanno dati tutta la fiducia e il sostegno possibili».