Nel bilancio di fine anno scolastico del Decs anche 47 milioni per la digitalizzazione. Interesse per la lotta al burnout dei docenti
«Se il popolo a settembre darà il suo avallo al credito per la sperimentazione della ‘Scuola che verrà’, vogliamo mettere in pratica quanto è stato deciso dal parlamento: un modello di riforma con due varianti. Lo faremo in modo trasparente, delle scuole sperimenteranno la prima variante, altre faranno la stessa cosa con la seconda». È netto Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento educazione, cultura e sport, nel replicare all’invito, giuntogli dal comitato cantonale del Plr tenutosi giovedì sera, di fare chiarezza sul tema. «Non voteremo solo il progetto del Decs, ma anche quello proposto da noi liberali radicali – ha detto davanti al proprio parlamentino Bixio Caprara, presidente del Plr – Bertoli faccia chiarezza, perché la nostra non è una cambiale in bianco». Chiarezza che sembra essere arrivata «e che non è mai stata in discussione. Capisco – continua Bertoli – che nel quadro della discussione pubblica ci sia chi voglia mettere l’accento su una cosa o sull’altra». Ma al centro del dibattito, per il direttore del Decs, «deve essere messo il fatto che, assieme, si vuol proporre una riforma per la scuola dell’obbligo che ha bisogno di essere sostenuta con maggiori investimenti e una vicinanza maggiore agli allievi. Non c’è nessuna volontà di disconoscere il contributo del Plr alla discussione e al progetto». Una riforma che – come ricorda Emanuele Berger, capo della Divisione della scuola, durante il bilancio dell’anno scolastico tracciato ieri in conferenza stampa – «laddove ha ricevuto critiche e proposte di correzioni, soprattutto provenienti dal mondo della scuola, è stata corretta, ampliata cercando di andare incontro alle esigenze dei docenti». I momenti d’incontro non sono mancati nel corso del 2017, «ho incontrato tutti i plenum, ci siamo confrontati, abbiamo ottenuto il via libera del Gran Consiglio e ora toccherà al popolo decidere se partire con la sperimentazione».
Ma non di sola ‘Scuola che verrà’ si è parlato, perché per l’immediato futuro di progetti in campo ce ne sono. A partire dai 47 milioni che, nei prossimi cinque anni, verranno messi a disposizione dal governo (una decisione ufficiale in merito è prevista a breve) per la digitalizzazione, un settore «nel quale dobbiamo investire perché il passaggio dall’analogico al digitale nella scuola sta avvenendo più lentamente rispetto ad altri settori».
Oltre al raddoppio del numero di allievi che saranno ammessi al corso passerella (si passerà dagli attuali 25 a 50), al Liceo e alla Scuola cantonale di commercio è prevista l’istituzione della figura del docente-mediatore. «Una figura – nota Berger – presente già alle professionali e alle scuole medie, che potrà aiutare gli studenti nel caso abbiano qualsiasi tipo di problema: personale, di rendimento, familiare». Il docente-mediatore sarà «un insegnante già attivo nella scuola, che riceverà una formazione specifica e uno sgravio orario per questa nuova funzione». L’intenzione del Dipartimento è che ce ne sia uno in ogni scuola. Capitolo campagna di collocamento a tirocinio 2018, infine. «Al 5 giugno, dei 3’160 posti di tirocinio offerti ne erano già occupati 598, il 19 per cento – spiega Paolo Colombo, direttore della Divisione della formazione professionale –, mentre il 59 per cento era oggetto di trattativa e il 22 per cento restante era ancora libero». Il consiglio ai giovani interessati è di «attivarsi e prendere contatto al più presto».
E poi ci sono loro, i docenti. Quelli che la scuola la fanno da mattina a sera (e a volte di notte e nel weekend). Alcuni di loro, come rilevato da uno studio del Centro innovazione e ricerca dei sistemi educativi (Cirse) su mandato del Decs, vivono una situazione piuttosto problematica sul posto di lavoro. Il 20 per cento degli insegnanti che ha partecipato allo studio ha mostrato ‘‘sfinimento, sensazione di non essere in grado di affrontare la giornata lavorativa, sensazione che ogni ora di lavoro sia estremamente stancante’’. L’8 per cento, addirittura, ha presentato ‘‘sintomi di gravità media o elevata di burnout’’. L’esito patologico di una situazione di stress costante, detta meglio. Un ruolo fondamentale in questo discorso, rileva da noi interpellato Emanuele Berger, capo della Divisione della scuola, l’ha «la percezione del sovraccarico di lavoro. Se un certo lavoro viene ritenuto al di fuori dei propri compiti, questo può creare disagio». Che sia oggettivo o no, purtroppo cambia poco. Con conseguenze che possono uscire anche dallo stretto ambito del lavoro. «Non è un problema solo di quantità ma anche di qualità di questo sovraccarico – riprende Berger –. Se io faccio qualcosa che non percepisco essere attinente al mio lavoro o alla mia professionalità, si possono verificare casi in cui la misura si colma e iniziano i problemi». Per contro, «uno dei fattori molto forti di prevenzione o anche cura, in un certo senso, del burnout è la relazione con i colleghi. Il discorso di team, di vicinanza emotiva con chi condivide una parte importante della giornata. Quando abbiamo progettato ‘La scuola che verrà’ non è stata una nostra fisima studiare modalità che portassero i docenti a lavorare di più insieme. Oltre al fatto che c’è una maggiore efficacia nel lavoro c’è anche molto sostegno che si danno l’un l’altro». Il Decs, comunque, è a conoscenza del problema e ha messo in campo anche alcuni progetti per prevenire e affrontare la questione tra cui «la formazione e il sostegno individuale al docente. Chi è in difficoltà può rivolgersi a uno sportello, in forma anonima e assolutamente confidenziale, che gli dà consulenza, lo ascolta e lo aiuta. Non è una terapia evidentemente, ma una forma di sostegno», conclude Berger.