Le società di hockey commentano la misura anti-hooligan indicata da Gobbi
In sei anni la sicurezza è costata ai contribuenti qualcosa come 9,3 milioni di franchi. A tanto ammonta la somma spesa dalla Polizia cantonale per “impieghi per mantenimento dell’ordine” tra il 2011 e il 2016 in occasione di eventi sportivi (soprattutto calcio e hockey) potenzialmente a rischio. Il costo degli ‘hoolingans’ lo pagano anche i Club, che spendono milioni per i servizi delle agenzie private di sicurezza. Ma in fin dei conti ne fa le spese la collettività tutta, che non ha di certo bisogno di atti di violenza la domenica allo stadio.
Dopo i disordini scoppiati alla Valascia il 14 gennaio, il capo del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi ha annunciato ieri un altro giro di vite (vedi la ‘Regione’ a pagina 10): o le squadre identificano i tifosi che entrano nei loro stadi prima della partita, oppure il pubblico resta fuori. «Ho appreso dal vostro giornale di queste intenzioni: ufficialmente non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione su cosa realmente si vuole implementare – premette Jean-Jacques Aeschlimann, direttore generale dell’Hockey Club Lugano –. Per prima cosa quindi bisogna capire che cosa potrebbe essere richiesto: controllo facciale, controllo d’identità, biglietti nominativi?». L’intenzione del Dipartimento è di agire a titolo preventivo contro il tifo violento, “schedando” chi entra in pista e dissuadendo i più facinorosi a debordare... «Come Hcl condanniamo i fatti che sono successi recentemente alla Valascia e ci distanziamo dalla gente che fa queste cose perché per noi lo sport è colore, festa, emozioni positive – commenta Aeschlimann –. Benvengano quindi delle analisi su cosa si può fare per evitare che fatti del genere si ripetano». Le valutazioni però vanno condivise. «Come Hcl non ci opponiamo a queste discussioni ma per l’implementazione bisognerà sedersi al tavolo, invitando anche la Lega hockey. Una volta ottenute indicazioni più precise dal Dipartimento toccherà a noi Club, e sempre di concerto con la Lega, valutare cosa potremo implementare e cosa no. Posso anche immaginare che il tifoso “normale” che viene alla pista possa essere restìo a farsi identificare». Per il prossimo campionato, come sembra volere Gobbi, potreste essere pronti? «Dipende da cosa si vuole. Penso sia fattibile – valuta Aeschlimann –: in fondo si tratta di acquistare una macchina. Certo che bisognerà entrare nel merito dei costi. Anche sul piano interno al Club, per capire quanto possiamo concedere».
«In Consiglio di amministrazione non ne abbiamo ancora parlato». E quindi il presidente dei Ticino Rockets si esprime a titolo personale su quanto prospettato da Gobbi. «Non sono per nulla contrario: parto infatti dal presupposto che se uno non ha niente da nascondere non dovrebbe avere problemi nel fornire le proprie generalità, anche per assistere a una partita – dice l’avvocato Davide Mottis –. Per quanto riguarda il nostro sodalizio, bisognerebbe comunque vedere come implementare la misura». Ovvero: «Se dobbiamo spendere per esempio 50mila franchi in apparecchiature per l’identificazione, quando a Biasca abbiamo al momento 200/300 tifosi a partita, l’investimento mi sembra un po’ sproporzionato rispetto alle esigenze specifiche. Magari nel nostro caso si può raggiungere lo stesso obiettivo con altri mezzi, come il controllo manuale dell’identità». Alle società che non si adeguano il Dipartimento, ha dichiarato Gobbi, “revocherà la possibilità di giocare le partite in presenza di pubblico a partire dal prossimo campionato”. Osserva Mottis: «Da un punto di vista giuridico il Dipartimento può farlo. Anche se io confido in una certa flessibilità e nella disponibilità nel trovare misure proporzionate che ottengano il medesimo effetto».
La disponibilità sollecitata dai vertici delle due squadre sembra esserci. «Come Dipartimento – afferma Norman Gobbi – discuteremo con i club le modalità di attuazione della misura volta a identificare i tifosi. Si tratterà fra l’altro di vedere se varrà per tutto l’impianto oppure per alcuni settori. La misura mira anche a ridurre gli oneri delle società per l’ingaggio delle ditte private di sicurezza. Parliamo di una cifra che si aggira attorno al mezzo milione di franchi all’anno, somma che viene sottratta alla formazione dei giovani atleti e all’acquisto di giocatori». L’obbligo della verifica dell’identità del tifoso «verrà inserito nelle convenzioni tra club e Cantone: questa misura sarà una delle condizioni per svolgere le partite in presenza di pubblico». Dunque, la misura «sarà introdotta, su come attuarla discuteremo con i sodalizi».
«Sembrava un blitz antiterrorismo. Secondo me, è stato un intervento sproporzionato, eseguito a due mesi dai fatti durante i quali magistratura e polizia si presume abbiano comunque indagato. Insomma, una sceneggiata ad uso dell’opinione pubblica». Ci va giù duro l’avvocato Costantino Castelli, difensore della quindicina di aderenti alla Gioventù Biancoblù sotto inchiesta per i disordini del 14 gennaio alla Valascia, nel commentare l’operazione delle forze dell’ordine dell’altro ieri, con perquisizioni nelle abitazioni di tifosi ritenuti coinvolti nei fatti di Ambrì. «Per le modalità adottate – riprende il legale – mi è parsa un’azione più che altro dimostrativa per propagandare misure come la custodia di polizia che si vorrebbero introdurre» anche in Ticino.
«Anzitutto vorrei che fosse assolutamente chiara una cosa: io non do ordini né alla Polizia cantonale né alla magistratura – premette il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi –. Ricordo che la polizia è autonoma nel decidere le modalità di intervento e che in operazioni come quella di ieri (mercoledì, ndr.) agisce comunque su ordine della magistratura inquirente. Punto». Detto questo, Gobbi richiama l’attenzione «sugli sforzi, in termini di risorse umane e finanziarie, che l’ente pubblico deve fare per mantenere l’ordine in occasione di partite di hockey e di calcio: ogni volta dai cinquanta ai cento agenti per una manciata di esagitati che mettono però a repentaglio la sicurezza di migliaia di persone». I costi di questi dispositivi di polizia «ricadono su tutti noi contribuenti e non sono noccioline. Ogni anno sono somme a sei zeri che potrebbero essere investite altrove. E i numerosi agenti che assicurano l’ordine in quelle partite vengono sottratti ad altri compiti, di prevenzione e di repressione, sul territorio». Quanto alla custodia di polizia, una delle misure previste dal recente progetto di revisione della Legge cantonale sulla polizia, il capo del Dipartimento delle istituzioni rammenta che «questo strumento è già stato introdotto da altri Cantoni. Cantoni di uno Stato democratico, che agiscono in base ai medesimi codici, quello penale e quello di procedura penale».