Amarezza: è il sentimento del sindacato Unia Regione Ticino e Moesa dopo la decisione odierna del Consiglio Federale di non garantire in Ticino i salari minimi di 3'600 franchi mensili previsti dal Contratto collettivo di lavoro per i dipendenti delle stazioni di servizio che entrerà in vigore il 1° febbraio 2018. L'entrata in vigore di un Ccl nazionale che preveda un’eccezione di questo tipo è una primizia assoluta, e dimostra quanto il Ticino sia oramai considerato una zona franca salariale dal resto del paese, scrive il sindacato che prosegue: "Che il Consiglio Federale decida di derogare in questo modo a degli accordi presi dai partner sociali nazionali è un fatto di una gravità estrema e la nostra regione denuncia una decisione inaccettabile sotto ogni punto di vista".
Agli occhi di Unia, "non c'è nessuna giustificazione plausibile a tale condotta. I margini di profitto dei gestori delle stazioni di servizio sono assolutamente in linea con quelli nazionali e il costo della vita dei dipendenti in Ticino è certamente paragonabile al resto del paese. Far credere che in Ticino si possa vivere con un reddito inferiore di 400 franchi rispetto a Canton Giura, Neuchâtel, Grigioni o Glarona (solo per citarne alcuni), è offensivo nei confronti della popolazione ticinese. La grave decisione odierna del Consiglio Federale di escludere i dipendenti ticinesi dal salario minimo di 3'600 franchi è dunque vergognosa e fuori dalla realtà.
Le responsabilità di questo deplorevole fatto sono molteplici e devono essere oggi chiaramente identificate. Secondo il sindacato, in primis, l'Associazione Ticinese Stazioni di Servizio, il cui presidente Matteo Centonze aveva definito un salario lordo da 3'600 franchi "fuori dalla realtà", portando avanti negli ultimi mesi una campagna oggi risultata purtroppo vincente. In secondo luogo, i firmatari del Ccl del Commercio al dettaglio ticinese, che viene oggi preso come referenza dal Consiglio Federale. Quando Unia Ticino e Moesa si rifiutò di firmare questo contratto, denunciò il rischio che i salari previsti dal Ccl (3'200 franchi il minimo) sarebbero diventati referenza anche per altri settori. Oggi abbiamo la prova del fatto che fummo purtroppo facili profeti!
Infine, impossibile sottacere le responsabilità del Consiglio di Stato e in particolare della direzione del Dipartimento delle finanze e dell'economia, che oltre a garantire la copertura politica all'accordo sul Ccl Cantonale della vendita, continua a spendersi per difendere l'immagine di un Ticino come "realtà a parte" del mercato del lavoro svizzero. Era stato lo stesso Cconsigliere di Stato Christian Vitta a indicare la via di fuga ai gestori delle stazioni di servizio dall’obbligo del Ccl nazionale, dicendosi possibilista sulla loro richiesta di adesione al Ccl cantonale della vendita che, ricordiamo, propone salari minimi di 400 franchi inferiori a quello nazionale del ramo. Senza dei salari minimi degni il mercato del lavoro ticinese non ha futuro e il territorio non si risolleverà. Le future discussioni parlamentari sul Salario Minimo Cantonale rivestono ora più che mai un’importanza cruciale: che non si perda questa ulteriore occasione per dare le risposte necessarie. Nel frattempo, i dipendenti delle Stazioni di servizio continueranno a lavorare senza salari minimi degni, contrariamente ai loro colleghi impiegati negli altri cantoni. Che sappiano almeno chi ringraziare per questo regalo di Natale anticipato!