Il granconsigliere Maurizio Canetta gira una serie di dubbi al governo e interroga sull'eventuale ruolo di BancaStato
Si affollano gli interrogativi attorno al futuro di Sintetica, storica azienda farmaceutica di Mendrisio e la più antica del cantone. Il passaggio di mano, nel 2019, della proprietà a un fondo di private equity francese, Ardian, per una cifra sconosciuta; i tagli sul personale effettuati alla fine del 2023 e all’inizio di quest’anno – oltre una quarantina in tutto a fronte di una realtà da 300 collaboratori, suddivisi tra Mendrisio e Neuchâtel –; le multe (per oltre mezzo miliardo di euro, in totale) calate dalla Commissione europea a carico di due società – Teva e Cephalon – dirette in periodi successivi dal manager ora alla testa dell’industria di casa, Hubert Puech d’Alissac: messi in fila, questi fatti hanno acceso i riflettori sul destino della ditta. E a porsi più di una domanda – e a girarle al Consiglio di Stato – è oggi il granconsigliere Maurizio Canetta (Ps-Fa-Giso).
Al momento, richiama il deputato nella sua interrogazione, “la situazione in Sintetica si è fatta pesante, come testimoniano i cambiamenti a livello di management (il Ceo è stato sostituito ed è arrivato il francese Hubert Puech d’Alissac), i licenziamenti (una dozzina a fine 2023 per un “riorientamento strategico”, un’altra trentina nei primi mesi del 2024) per i quali c’è stato un intervento sindacale, l’arrivo di un gruppo di consulenti italiani specializzato in ristrutturazioni aziendali, che significa di solito riduzione del personale”. Del resto, annota ancora, quanto accaduto dentro e fuori i nostri confini tocca “direttamente il nostro tessuto sociale ed economico” e solleva “molti dubbi e interrogativi”.
Ad attirare l’attenzione è, infatti, pure l’azione condotta per l’acquisizione dell’azienda, effettuata tramite un pool di banche. Non solo, il “meccanismo costruito per l’operazione ha probabilmente contemplato l’attivazione di un ‘leveraged buyout’, strumento finanziario altamente aggressivo e rischioso, che di fatto scarica direttamente sull’azienda una significativa parte dei costi della compravendita”. Canetta lo desume dagli annunci pubblici del medesimo fondo Ardian, “che si vanta pubblicamente della propria miliardaria disponibilità a operare attraverso simili leve”.
Ora, rilancia il granconsigliere, “è presumibile che tra i creditori di Sintetica figuri BancaStato, che ottempera al suo mandato di sostegno alle aziende locali, soprattutto se hanno un’importanza sistemica come Sintetica. Inoltre, l’uso di un sistema di acquisto aggressivo come il ‘leveraged buyout’ può avere conseguenze devastanti su un territorio piccolo come il nostro, perché l’obiettivo è il guadagno a corto termine e spesso queste operazioni si concludono con lo ‘spacchettamento’ e la vendita di singole parti delle aziende, con conseguente perdita di valore e di produttività, oltre che di posti di lavoro”.
Ed è qui che si innestano i quesiti di Canetta al governo. Insomma, BancaStato è tra i creditori di Sintetica? E se è così, “quali garanzie ha rispetto alla propria esposizione?”. E in particolare, “se nell’ambito dell’acquisizione di Sintetica è stato fatto uso dello strumento del ‘leveraged buyout’, Banca Stato ne era al corrente?”.
Di conseguenza, viene da chiedersi se Sintetica beneficia di aiuti statali. In caso di risposta affermativa, “come intende tutelarsi il governo rispetto a questi importi, viste le difficoltà manifestate da Sintetica?”.
Il Consiglio di Stato, poi, “è consapevole dell’importanza di Sintetica come azienda farmaceutica nel mercato ticinese e svizzero e delle conseguenze che un suo indebolimento potrebbe avere per la sanità ticinese e dell’alto grado di rischio che comporterebbe per l’intero tessuto imprenditoriale ticinese l’adozione diffusa di strumenti finanziari aggressivi quali il ‘leveraged buyout’?”.
Infine, che “misure immagina di poter adottare per proteggere una porzione così importante dell’attività economica cantonale?”.
Tre società farmaceutiche – Teva, Cephalon e Sintetica –, tre realtà in apparenza lontane (anche geograficamente) fra loro; eppure un denominatore comune c’è. Ai vertici di tutte e tre, negli anni, vi è stato (e vi è) Hubert Puech d’Alissac, oggi Ceo dell’azienda di Mendrisio, una industria con alle spalle una storia pluricentenaria. Volendo ‘inseguire’ questo manager di alto livello attraverso la sua carriera, passata da una società all’altra, però, ci si imbatte in vertenze e multe da centinaia e centinaia di milioni di euro. Vicende che lasciano in sospeso non pochi interrogativi, soprattutto ora che ha preso le redini di Sintetica. Non solo, nel giugno scorso Hubert Puech d’Alissac è entrato a far parte, quale nuovo membro, anche del Comitato di Farma industria Ticino, portando “la sua solida esperienza internazionale”, parole dell’associazione di categoria.
La prima volta i riflettori su Puech si sono accesi quando la Commissione europea ha ‘staccato’ una sanzione da oltre 60 milioni di euro nei confronti tanto di Teva che di Cephalon (che in seguito diverrà una filiale, quindi una controllata, di Teva), ree fra il dicembre del 2005 e l’ottobre del 2011 di aver ritardato di svariati anni l’ingresso sul mercato di un farmaco generico (quindi meno caro, sarebbe costato la metà) per i disturbi del sonno (narcolessia inclusa). Una pratica che, di fatto, ha violato le norme antitrust dell’Ue, procurando “danni sostanziali” a pazienti e sistemi sanitari. In buona sostanza, in nome del profitto si è ‘comprata’ la concorrenza. Il legame tra le due realtà farmaceutiche, poi, si è pure rinsaldato e proprio nel 2011, quando la multinazionale israeliana ha acquisito l’americana Cephalon.
Cosa era successo? In buona sostanza, come riferivano le cronache della stampa specializzata nel 2020, l’accordo aveva indotto Teva a non commercializzare il generico (già promosso all’epoca nel Regno Unito), in cambio di una serie di benefit e di alcuni pagamenti in contanti. Ecco che fra il luglio del 2006 e l’ottobre del 2011 a rivestire la carica di ‘vice-presidente Europe’ di Cephalon troviamo appunto Puech, come recita peraltro il suo stesso curriculum. Quello stesso manager che, intervistato nell’aprile del 2022 nelle vesti di amministratore delegato della base italiana di Teva (carica che assume nel 2013), rivendicava l’impatto positivo dei medicinali generici nella sostenibilità economica della sanità pubblica e vantava risparmi per un miliardo ogni anno a vantaggio del sistema italiano.
A prima vista appare, dunque, arduo conciliare fatti e parole. Tanto più che Teva poi ci è ricascata, di nuovo. È dei giorni scorsi, infatti, la conferma che la Commissione europea, sempre lei, ha multato il colosso farmaceutico. Questa volta però tanto la sanzione che la vicenda sono assai più pesanti. Per la prima si parla di quasi mezzo miliardo di euro (per la precisione 462 milioni). Per la seconda si fa riferimento a un’accusa precisa: la società ha ostacolato la concorrenza pur di difendere, a tutti i costi, il suo farmaco di punta per il trattamento della sclerosi multipla. Un medicinale di cui deteneva un brevetto sino al 2015 e che in quel momento valeva il 20 per cento del fatturato del gruppo.
Concretamente per la Commissione si è agito al fine di delegittimare il prodotto della rivale Synthon, ritardando così l’accesso al mercato europeo. Da un lato, infatti, si è abusato della protezione del brevetto, dall’altro si sono “sistematicamente diffuse informazioni fuorvianti” sulla ‘rivale’. Gli abusi commessi agli occhi dell’ente europeo hanno dunque costituito “una violazione unica e continuata dell’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che vieta l’abuso di posizione dominante”. Di fatto è la prima volta che viene inflitta un’ammenda in relazione a questi due tipi di pratiche.
Del resto, la Commissione ha evidenziato chiaramente gli atteggiamenti anticompetitivi di Teva, protratti nell’arco di almeno sette anni. Come rilevato dall’organo europeo stesso in una nota ufficiale, questo comportamento “potrebbe aver impedito la diminuzione dei prezzi di listino, con un impatto negativo sui bilanci della sanità pubblica. Ciò è confermato dal fatto che, una volta entrato in commercio il prodotto rivale, i prezzi di listino sono diminuiti fino all’80 per cento, con conseguenti risparmi significativi per i sistemi sanitari”. E una volta di più a guidare la società vi è Puech, fra l’ottobre 2011 e il novembre 2012 in qualità di ‘managing director’ della Teva central eastern Europe e dalle fine del 2012 quale ‘general manager’ della Teva Italy cluster.
Dal canto suo Margrethe Vestager, vicepresidente esecutivo responsabile della politica di concorrenza, non ha fatto sconti: “La decisione odierna di imporre un’ammenda antitrust a Teva per denigrazione e abuso del sistema dei brevetti riafferma l’impegno della Commissione nell’applicazione della concorrenza nel settore farmaceutico. Con la decisione odierna, la Commissione contribuisce a mantenere i farmaci a prezzi accessibili, a preservare la scelta terapeutica e a promuovere l’innovazione, a beneficio dei pazienti dell’Ue e dei sistemi sanitari nazionali”.
Tutto in questo caso è venuto alla luce a partire dal 2019, quando, a sorpresa, le autorità ispezionano le sedi di diverse filiali di Teva. Preludio all’apertura di un procedimento nel marzo del 2021, che si è concluso, come detto, con una decisione sfavorevole alla società farmaceutica.
È su questa scia che Puech a gennaio approda, quindi, a Sintetica, realtà fondata nel 1921 a Chiasso, trasferita nel 1982 a Mendrisio (dove conosce il suo maggiore sviluppo) e passata nel 2019 nelle mani del fondo di private equity francese Ardian. Gruppo che, come recita il portale web dell’industria, conferma “un piano di investimenti da sessanta milioni di franchi in quattro anni”. La storia recente parla, invece, di riorganizzazioni e licenziamenti. E ancora non è finita. Per conoscere la situazione dalle stesse parole dell’amministratore delegato abbiamo cercato di raggiungere Puech per porre un paio di domande, alle quali siamo in attesa di una risposta.