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Sorgenti Caressaa, ‘si è deciso senza cognizione di causa’

La Lista civica e un gruppo di cittadini impugnano la risoluzione del Consiglio comunale sulla riduzione delle zone di protezione

L’area sotto i riflettori
(Ti-Press)
11 ottobre 2024
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Sulla storia delle sorgenti Caressaa a Rancate non è ancora stata scritta la parola fine. Il via libera (a maggioranza) del Consiglio comunale di Mendrisio, il marzo scorso, a restringere la zona di tutela e ampliare, quindi, l’area edificabile non è proprio andata giù agli esponenti della Lista civica – Tiziano Fontana e Antonia Bremer, già contrari alla proposta del Municipio – e a un gruppo di cittadini. Impugnata la risoluzione consiliare, hanno infatti rimesso il dossier sul tavolo del Consiglio di Stato, invocando l’annullamento della decisione. Il legislativo, motivano i ricorrenti, non si è espresso con “la necessaria cognizione di causa, oggettività e disponendo di verifiche tecniche non di parte”. In fondo, fanno notare, si ha pur sempre a che fare con un bene vitale e prezioso come l’acqua, “che necessita di massima protezione”.

La prima volta

La modifica dei perimetri di salvaguardia della falda in prima battuta, nel 2017, non aveva fatto breccia né convinto i consiglieri comunali, i quali l’avevano bocciata. All’epoca, infatti, fanno memoria gli stessi firmatari del ricorso al governo, erano emersi con chiarezza cristallina timori e dubbi sull’opportunità di autorizzare il restringimento della cosiddetta zona di protezione S2 – dove è vietato edificare – sulla base di una perizia tecnica commissionata dalla proprietaria di allora (la banca Raffeisen) dell’ex villa Gerosa. Istituto di credito che si era così appellato al Cantone (che aveva respinto l’istanza) e portato di seguito il dossier davanti al Tribunale cantonale amministrativo. E i giudici avevano rimesso l’incarto nelle mani del governo, che si è pronunciato nell’agosto del 2022.

‘Carenza di informazioni’

Del resto, lamentano i ricorrenti, il legislativo della Città non è mai stato messo al corrente delle varie fasi e verdetti. Salvo poi ritrovarsi, sedici mesi dopo (nel gennaio scorso), con un nuovo messaggio municipale tra le mani, che rilanciava la revisione delle zone di protezione. Sullo sfondo un progetto e una domanda di costruzione – promotore il nuovo proprietario – per la costruzione di un padiglione espositivo. Un edificio, si ricorda, “per metà posizionato sulla ancora vigente zona di protezione S2, che si indicava già come destinata a essere declassata in zona di protezione S3”. In altre parole, si annota nel ricorso, “il messaggio municipale che ha condotto il Consiglio comunale a prendere la decisione qui avversata, è stato licenziato dopo/in concomitanza con la conclusione della pubblicazione della domanda di costruzione”. Il che ai contrari non sembra rispettare l’obbligo di trasparenza dovuto per legge al Consiglio comunale.

‘Violate le leggi’

E proprio qui sta il punto. In effetti, i ricorrenti “ritengono che l’informazione sia stata lacunosa e fornita parzialmente, solo su richiesta di singoli consiglieri comunali”. Tant’è, si ripercorre, che “la Commissione ha licenziato un rapporto stringato e privo di qualsiasi riferimento alla storia del messaggio del 2017, senza inoltre fornire alcuna risposta ai quesiti e ai dubbi sollevati dalla stessa Commissione delle petizioni nel suo rapporto dell’epoca”. Come dire un documento “inadeguato e carente”. Di conseguenza, si rimarca, ce n’è a sufficienza per evocare una violazione delle disposizioni della Loc, la Legge organica comunale; ovvero la necessità di poter contare su “un esame approfondito delle tematiche anche da parte delle commissioni preposte al rilascio dei rapporti da presentare al legislativo prima della decisione”.

Serviva cognizione di causa

La conclusione per i consiglieri della Lista civica e per il gruppo di cinque cittadini è presto tirata: la decisione del legislativo, il marzo scorso, è stata presa “in violazione della Loc, della Ledp (Legge sull’esercizio dei diritti politici) e della Costituzione”. Prima di pronunciarsi, si ribadisce nel ricorso, occorreva poter contare su elementi il più possibile completi per decidere “con piena cognizione di causa”. Invece, il Consiglio comunale “non è mai stato informato direttamente e spontaneamente dal Municipio dell’esistenza della procedura di contenzioso, né è stato messo nella possibilità di conoscere l’esito dei vari ricorsi” e le motivazioni di Cantone e Tribunale. E questo nonostante le sollecitazioni tradotte in atti parlamentari.

Il nodo della perizia

Un altro nodo sollevato dai ricorrenti è la mancanza di una controperizia neutra (peraltro indicata dal Cantone nel 2022), utile a una verifica critica del dossier. A distanza di anni, invece, ci si è appoggiati allo stesso esperto consultato nel 2016 dall’allora proprietario dei terreni. Ecco che per i ricorrenti il legislativo “è venuto meno ai propri obblighi di verifica e di informazione a causa della mancata delucidazione degli errori commessi nel 2017”.

Insomma, si conclude, “è manifesto che il Consiglio comunale ha deliberato senza aver soppesato le possibilità che aveva alla luce delle motivazioni della decisione del Consiglio di Stato del 2022 e fondandosi su un rapporto commissionale superficiale e incompleto, basato inoltre solo su pareri tecnici forniti dal perito di parte, incaricato dalla proprietaria di svolgere i sondaggi”.

Convinto che la riduzione delle zone di protezione non avrebbe compromesso la situazione idrica, definendo la revisione fattibile e anche opportuna, l’esecutivo ha replicato, dal canto suo, che in tutta questa vicenda “lo Stato di diritto è stato rispettato”. Al Cantone ora dire la sua sulle sorgenti Caressaa.

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