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Sul Pozzo Prà Tiro a Chiasso cala la prescrizione

La Procura firma un decreto d'abbandono. Per l'inquinamento da Pfos non c'è un responsabile

Ci si attendeva un altro epilogo
(Ti-Press/Archivio)
8 ottobre 2024
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Per le istituzioni e le cittadine e i cittadini del Mendrisiotto è un triste ‘déjà-vu’. Per l’inquinamento da Pfos, il perfluoroottansulfonato, del Pozzo Prà Tiro a Chiasso, oggi non c’è un responsabile. A quattro anni dalla contaminazione – era la primavera inoltrata del 2020 – il caso è stato chiuso senza venire a capo dell’origine dell’infiltrazione nella falda idrica della sostanza della famiglia Pfas, un gruppo di diverse migliaia di prodotti chimici industriali sintetici utilizzati dall’inizio degli anni Settanta. A inizio ottobre la Procura ha, infatti, firmato un decreto d’abbandono sull’inchiesta contro ignoti aperta per inquinamento di acque potabili e infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque.

Per la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, titolare del dossier, sulla base delle risultanze di fatto e di diritto non si poteva, insomma, che chiudere l’istruzione penale. Anche perché sui reati contestati è calata la prescrizione. Un epilogo che non può non richiamare alla memoria la vicenda del Pozzo Polenta, archiviata sul piano penale proprio per l’avvenuta prescrizione. Pure qui il tempo non ha lavorato a favore della verità giudiziaria.

Presentate quattro denunce

Per il Distretto, dunque, è un altro colpo al cuore. Da subito le speranze degli enti che fra il giugno e il luglio del 2020 avevano depositato una denuncia – oltre alla Sezione protezione aria, acqua e suolo (Spaas), l’allora Azienda Prà Tiro Chiasso e i Comuni di Chiasso e Balerna – non erano molte. Ma rivolgersi alla giustizia era stato sentito come un atto dovuto: lasciar perdere non era certo possibile. Sullo sfondo l’ipotesi che la possibile causa fosse da ricondurre all’uso delle schiume antincendio (poi messe al bando) in particolare nel corso delle esercitazioni effettuate per decenni nella zona del Pian Faloppia, in particolare sui terreni della vicina area ferroviaria.

Del resto, a sostegno di questo scenario si sono portate delle risultanze che mostravano la presenza in falda delle sostanze smaltite all’Azienda cantonale dei rifiuti. Nonostante tutto ciò si è dovuta incassare la delusione di non essere riusciti a venire a capo di un inquinamento che, a differenza del Pozzo Polenta, non ha messo fuori uso una fonte preziosa d’acqua, ma ha rischiato comunque di porre in seria difficoltà la capacità di approvvigionamento idrico della regione.

Un mese per presentare altre prove

La situazione, in effetti, resta sotto controllo. Ma per continuare ad attingere dal Prà Tiro si sono dovuti investire un milione e mezzo di franchi, al fine di attivare, dopo le misure di emergenza, un impianto di filtrazione utile ad abbattere lo Pfos e a permettere l’utilizzo della falda a vantaggio dei due Comuni di riferimento, Chiasso e Balerna appunto. Abbandonato il caso, poter contare su un indennizzo (anche davanti a un foro civile) appare assai arduo. Solo presentando eventuali nuove istanze probatorie entro il 4 novembre prossimo, ovvero nello spazio di un mese dalla chiusura dell’istruzione, sarà possibile riaprire l’incarto. In caso contrario, la decisione della Procura non potrà essere impugnata.

Il primo caso in Svizzera

È chiaro che le autorità locali si attendevano una conclusione diversa. Tant’è che per corroborare le indagini in questi anni hanno fornito dati, documenti e rapporti idrogeologici sullo stato del pozzo e le conseguenze della contaminazione. L’attenzione delle istituzioni, non a caso, è sempre stata elevata. Un mese fa circa lo stesso Servizio idrico Basso Mendrisiotto (Sibm), che ha ricevuto in ‘eredità’ il Pozzo Prà Tiro da Chiasso e Balerna, aveva bussato alla porta della Sezione Spaas per informarsi sullo stato dell’inchiesta, consapevole dell’importanza che questa fonte di approvvigionamento ha ancora per il comprensorio, pur essendo destinata a essere dismessa nell’ambito della strategia dell’Acquedotto regionale del Mendrisiotto e Basso Ceresio.

Una ‘sorgente’ che ha dovuto fare i conti con un inquinamento esteso quanto accertato da Pfos, passando alle cronache come il primo caso registrato in Svizzera e l’unico iscritto nella mappa federale delle contaminazioni da Pfas con valori superiori ai limiti di legge di 0,3 microgrammi per litro. Tanto è vero che solo la presenza di filtri, poi potenziati, ha dato modo di poter continuare a distribuire l’acqua potabile. Certo tanto le opere straordinarie, tanto la prassi adottata hanno comportato costi supplementari, stimati in centinaia di migliaia di franchi l’anno, a carico dell’utenza del Servizio, quindi della cittadinanza.

Si sperava in una soluzione

Motivi più che sufficienti per motivare la necessità di essere aggiornati sull’inchiesta e sul suo esito. Richiesta rimasta, però, non soddisfatta. A tal punto da interrogarsi pure sulla eventuale esigenza di procedere a ulteriori accertamenti (come l’analisi del terreno circostante il Pozzo) e altresì sulle ragioni della loro mancata esecuzione sul campo. In quel momento, si confidava ancora in una soluzione tanto sul piano penale che civile.

Speranze che si sono infrante sul decreto d’abbandono, dopo aver manifestato stupore e amarezza per quanto avvenuto in questi ultimi quattro anni. Sentimenti amplificati una volta appreso che altrove – a Sigirino e a Sant’Antonino a seguito della costruzione della galleria di base del Ceneri – si è riusciti a individuare le responsabilità e a ottenere delle garanzie sull’indennizzo.

Il Mendrisiotto sembra, invece, conoscere un destino diverso rispetto al resto del cantone come testimoniano i casi del Pozzo Polenta – riemerso nel luglio del 2008 – e ancora prima della ex raffineria Miranco a Stabio, del 2002. Lista alla quale adesso occorre aggiungere anche il Pozzo Prà Tiro.

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