Al via le iniziative per sottolineare, all'interno dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, il mezzo secolo di vita del Club ’74
Proprio stasera, 10 maggio, cominciano formalmente le iniziative per la ricorrenza dei cinquant’anni del Club ’74. «Lo si fa – ci spiega Lorenzo Pezzoli, del Centro di psicologia applicata della Supsi – con una cena spettacolo incentrata sul tema della speranza, arricchita dalla presenza e dalla riflessione del professor Gian Piero Quaglino che, proprio sulla speranza, ha recentemente pubblicato un poderoso testo».
Serata sold-out con la presenza dei membri del Club, della direzione dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale e della direzione Supsi e tanti invitati vicini all’attività di questa comunità che, cenando, verranno coinvolti dalla compagnia Concreta teatro e da un gruppo di musiciste del Conservatorio su regia di Diego Willy Corna in una immersione di parole, dibattiti, musiche e poesia. Il tutto, ovviamente, con la collaborazione e la complicità del team delle cucine dell’Osc, per cui perfino il cibo seguirà con coerenza il tema della rappresentazione.
«Ma la speranza – evidenzia Pezzoli – non è solo il leitmotiv di questo evento di apertura, è anche il filo rosso che tesserà le iniziative dei prossimi mesi offrendo alla popolazione un avvicinamento originale e profondo ai temi della salute mentale e alle iniziative che in tanti anni il Club ’74 e la Socioterapia dell’Osc hanno costruito e offerto. Iniziative di integrazione e comunicazione sui temi delicati della sofferenza psichica e del rischio di emarginazione e solitudine che può gravare sulla persona che la patisce e sui suoi familiari».
Il calendario offre diverse occasioni: dalla musica al teatro fino alla pittura dove le collezioni di opere raccolte in anni di attività creative, laboratori e atelier, rappresentano un vero patrimonio di quella che viene definita Art brut. E così ci sarà l’appuntamento del primo giugno a teatro con la compagnia del Club ’74 e la regia di Diego Willy Corna con un Ceci n’est pas… (con malcelato riferimento alla pipa di Magritte), e poi la musica, coerentemente alle attività che da anni vengono valorizzate all’ombra della clinica, con un concerto il 30 novembre. E, infine, al Campus Suspi e alla Filanda di Mendrisio saranno esposte le opere della raccolta di Art Brut.
Dunque, cinquant’anni tutti da festeggiare e da sottolineare con lo stile partecipativo e coinvolgente che caratterizza questa realtà: «Gli auguri, al Club ’74, li potremmo fare richiamando l’articolo dal titolo “Non diventare troppo cinquantenni” apparso su Illustrazione ticinese il 20 luglio del 1957 a firma di Riccardo Forte – ricorda Pezzoli –. L’autore parlava dei cinquant’anni come di un’età “senza avvenire”, che “divora il suo domani”, un’età che aspira ancora al nuovo e al grande con gli stessi “aneliti” della gioventù, ma segnata in modo “tremendo” dalla “fine del nuovo” circondati come si è a quell’età, scrive ancora Forte, da oramai cose note e da limiti sempre più definiti. Una gran tristezza potremmo aggiungere a commento di questo evocato chiudersi di ogni attesa dove in fondo non ci sarebbe più nulla di nuovo con la constatazione di limiti sempre più stringenti. Il cinquantesimo del Club ’74, su queste premesse, finirebbe per diventare il suo funerale. L’articolo di Forte però, dopo l’inizio piuttosto deprimente, prende poi una piega interessante, vale certamente la lettura anche a distanza di molti anni, e chiude su un punto che invece occorre, qui e oggi, richiamare con una certa forza, soprattutto in relazione alla ricorrenza del Club ’74. Il titolo che ha dato al suo articolo, Non diventare troppo cinquantenni è, al tempo stesso, un invito e un monito che si estende a tutti coloro che, anche oggi e anche al Club ’74, hanno raggiunto tale traguardo anagrafico. Diventare troppo cinquantenni significa “meccanicizzare” la propria esistenza, diventare abitudinari, indifferenti verso la vita e le sue manifestazioni. Riccardo Forte trasforma addirittura il monito in preghiera, una preghiera per la conservazione della propria umanità».
Con le iniziative proposte, il Club ’74 e la Socioterapia dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, danno dunque un chiaro orientamento proprio nella direzione indicata «del non ripiegarsi sulla routine, sulle abitudini (confortanti ma potenzialmente mortifere) e sull’acquisito; stimolano, per dirla ancora con Forte – conclude Pezzoli – a non indulgere alla meccanicizzazione della propria esistenza o, in questo caso, alla burocratizzazione della cura, ma a mantenere l’orientamento alla scoperta, alla sperimentazione, alla creatività, all’incontro autentico dell’altro con il quale, attraverso la cura, si entra in contatto. Insomma, un’apertura alla vita, alla vita di tutti, anche a quella di coloro che fanno più fatica, dove i draghi del disagio e della sofferenza, come quello che troneggia nel parco di Casvegno, costruito alla fine degli anni Novanta, ancora soffiano le loro fiamme e ancora incutono paura. Non ancora resi domestici coprono con la loro mole possibili orizzonti di crescita e di benessere. Ma quel drago nel parco, con le sue piccole ali che pare lo facciano spostare per brevi tratti, ricorda che i draghi possono persino essere trasformati in risorse, in possibilità, occasioni, che i draghi possono essere integrati e accolti. Finché il drago di Casvegno (e il suo custode che è il Club ’74) abiterà il parco, ci sarà un guardiano alle minacce della meccanicizzazione della cura e ai rischi dell’indifferenza, non solo a quelle minacce che possono venire da fuori, ma anche a quelle non meno insidiose che, inevitabilmente, possono nascere da dentro».