A Chiasso istituzioni e parlamentari (in visita) si dicono preoccupati. E il Collettivo R-Esistiamo al campetto ribalta la prospettiva
La politica si è accorta (di nuovo) che esiste una ‘questione migranti’. Un ‘dossier’ che Chiasso e la realtà di frontiera conoscono da sempre, in carne e ossa. Inevitabile pensare che l’anno elettorale (per le Federali di ottobre) abbia un ruolo (e del resto nemmeno lo si nega). Il punto è che, una volta di più, il tema dell’asilo e dei flussi migratori spacca e non unisce i fronti politici e anche la società civile: da un lato chi, come a Destra, punta l’indice verso una politica d’asilo che ha delle falle da chiudere, dall’altro chi, come collettivi e movimenti, addita il “regime migratorio svizzero” come incapace di essere davvero accogliente. Così una delegazione del Plr nazionale in un sabato assolato di agosto ha varcato il Gottardo ed è scesa a sud, in testa il presidente Thierry Burkart, per toccare con mano la situazione.
Per qualche ora i riflettori si sono, quindi, accesi sulla cittadina. Nel farlo, però, il Plr ha preso le distanze dalla linea dell’Udc, rivendicando, di controcanto, l’impegno “per una politica migratoria severa, ma giusta, che tenga conto delle peculiarità locali, a Chiasso, come altrove in Svizzera”. La tematica è complessa, i confini labili. E la dialettica partitica rischia di fagocitare le vere problematiche. Tant’è che, a poche ore dalla visita liberale radicale, sui social un post del gruppo Lega-Udc di Chiasso ringraziava il Plr per essersi accorto di “un problema che da anni segnaliamo con interrogazioni e petizioni condivise da tutte e tutti i membri del nostro legislativo”.
Sta di fatto che le tappe della visita del Plr non sono state le peculiarità cittadine, bensì le strutture federali che accolgono i richiedenti l’asilo: prima il Centro d’asilo a Pasture, poi gli alloggi in via Motta e alla stazione ferroviaria. Il gruppo di deputati – con Burkart, il capogruppo e consigliere nazionale Damien Cottier, il consigliere agli Stati Damian Müller e la consigliera nazionale Jacqueline de Quattro, ad accompagnarli il presidente del partito cantonale Alessandro Speziali e la vicepresidente Alessandra Gianella – si è immerso, insomma, nella realtà dei flussi migratori in crescita nei numeri – nel comprensorio di recente si è oscillati fra le 550 e le 600 persone – e nella pressione sulle istituzioni comunali.
A Pasture ad aprire le porte del Centro sono stati la direttrice Micaela Crippa e Claudio Martelli, direttore supplente della Segreteria di Stato della migrazione (Sem). Una visita durata quasi due ore. Con quale immagine negli occhi avete lasciato l’edificio? «Abbiamo avuto l’impressione che nel Centro sottovalutino un po’ il problema della percezione che la popolazione di Chiasso ha della situazione – ci risponde la consigliera Jacqueline de Quattro –. Certo la struttura è gestita in modo professionale. Una volta lì ci hanno mostrato l’accoglienza dei minori, gli spazi per la scuola, i primi approcci alla lingua italiana, il modo di vivere insieme di tutte le diverse etnie. Come la cucina, dove possono prepararsi i pasti, anche se gli uomini di alcuni Paesi non vogliono cucinare; o come i dormitori e il dispensario medico. Ho scoperto che fin dal primo giorno i rifugiati hanno diritto a ricevere una assicurazione e una assistenza sanitaria, con una presa a carico completa; e questo è un bene. L’impressione che ho avuto, però, è che ci siano persone nella popolazione che non hanno accesso a tutto questo, in ogni caso non gratuitamente. E si può immaginare che ciò possa creare delle tensioni».
La consigliera riconosce che da queste parti la cittadinanza è sempre stata molto aperta ed estremamente generosa nell’accoglienza. «Ma la tolleranza ha dei limiti – richiama la deputata da noi intervistata –. Lo vedo bene io stessa nel mio Canton Vaud, dove abbiamo molti stranieri e richiedenti l’asilo che arrivano da sempre più lontano, con culture vieppiù differenti dalle nostre e talvolta religioni che pongono dei problemi per la parità fra uomo e donna. Ebbene, lo spirito di tolleranza sta diminuendo. E si rischia, appunto, un principio di razzismo. Spero che a Chiasso non si produca lo stesso fenomeno. Ecco perché occorre vigilare e le presenze vanno ripartite, affinché la situazione non vada a detrimento della popolazione locale».
A fare il quadro di una giornata tipo a Chiasso ci hanno pensato poi il sindaco Bruno Arrigoni e la municipale Sonia Colombo Regazzoni ai tavolini del bar Indipendenza, con affaccio sulla piazza divenuta un punto di incontro per i richiedenti (e a volte teatro delle intemperanze di alcuni). I parlamentari giunti dalla Svizzera interna ascoltano con attenzione il racconto dei rappresentanti della municipalità chiassese. Parole che restituiscono perlopiù problemi di convivenza, impotenza, difficoltà della comunità a rapportarsi alle attuali cifre della migrazione. Parole che sembrano fare a pugni con la tradizione umanitaria della Svizzera e di questo avamposto al di qua della frontiera che da sempre (fin dai tempi dei profughi della Prima guerra mondiale) ha aperto le braccia a chi era costretto a lasciare la propria casa, vicina o lontana che fosse.
«Eppure – rende attenti il sindaco Arrigoni –, non bisogna sottovalutare la problematica. Al momento siamo confrontati con troppe persone. In più abbiamo l’impressione che la Confederazione, pur conoscendo da decenni la questione, non sia preparata. La Segreteria di Stato della migrazione pare non in grado, infatti, di gestire le cifre con cui si trova a misurarsi». Una percezione che sembra permeare pure la cittadinanza; in un paio di settimane sono 600 le firme che la petizione lanciata dall’ex sindaco di Chiasso Moreno Colombo ha raccolto con l’intento di attirare l’attenzione della politica cantonale e federale. Tant’è che la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia Elisabeth Baume-Schneider ha annunciato che sarà in Ticino l’autunno prossimo.
A capo del Dicastero sicurezza pubblica Colombo Regazzoni non usa perifrasi: «Non è accettabile che alcuni richiedenti si ubriachino, si azzuffino, commettano dei furti e poi tornino in piazza come niente fosse. È venuto il momento di mettere dei paletti». Anche al numero di posti letto: come dire che i 250 alloggi in più che la Sem ipotizza a Pasture (oltre ai 350 previsti e pattuiti) non vanno giù nemmeno alle autorità di Chiasso (oltre a quelle di Balerna e Novazzano). La municipale porta a sostegno le testimonianze di mamme timorose a frequentare come d’abitudine i parchi giochi e di gente che evita di venire a Chiasso. A ciò si aggiunge la voce della titolare del ritrovo: «Capita spesso di dover chiamare la polizia – dice –. Come succede che queste persone entrino nel bar a rubare». In effetti, da gennaio a oggi gli agenti della Comunale sono interventi oltre 400 volte per casi simili. Uno stato di cose ‘rischioso’, per il sindaco. «Davanti a questi episodi la cittadinanza potrebbe generalizzare. Esiste il pericolo di scivolare in forme di razzismo», ammette Arrigoni.
Le istituzioni locali chiedono, dunque, meno richiedenti l’asilo (e da ripartire geograficamente in modo diverso), maggiori risorse finanziarie per gestire la situazione, e basi legali per adottare misure nei confronti dei più problematici. Dentro le aule parlamentari, la politica come risponderà? «Dovremo prestare attenzione – ci dice De Quattro –. Oggi la Svizzera ha circa nove milioni di abitanti, e la parte di stranieri aumenta. Ed è un bene, visto il bisogno di manodopera; che deve corrispondere anche alle necessità dell’economia. Persone che, però, si integrano e che hanno voglia di imparare le nostre lingue e conformarsi alle nostre leggi e ai nostri costumi e che accettano i nostri valori; e non che vi si oppongono. Da tempo l’integrazione funziona e il mercato del lavoro è equilibrato. Del resto, integrazione è arricchimento. Ma in certi casi – tiene a precisare –, come a Chiasso, si è passato il segno: mi ha colpito il racconto di chi vive e lavora nel centro di Chiasso. Alcuni di questi richiedenti si considerano degli ospiti; ebbene io da un ospite mi attendo rispetto. In ogni caso le leggi ci sono, vanno applicate, come le regole; quindi bisogna vegliare su determinate situazioni. Non è pensabile che alcune città o villaggi debbano fare uno sforzo immenso e gli altri no».
Eppure Chiasso non è solo il racconto di migranti ubriachi e molesti. A farne memoria è il direttore dell’Istituto scolastico Carlo Formenti, che prende le distanze dalla piega che stanno prendendo le cose, pure in politica. La sua linea, da uomo di scuola, è diversa. «La mia visione – chiarisce Formenti – è educativa e non repressiva. E la cittadina è stata la prima a mettere in campo un progetto e a divenire un po’ modello nell’integrazione, riuscita, degli alunni stranieri in questi anni», sottolinea. Lui di problemi non ne ha conosciuti. Anche il prossimo anno scolastico, infatti, all’Istituto scolastico comunale si accoglieranno una sessantina di alunni ‘venuti da fuori’ (inclusi i bambini ucraini). «D’altro canto, il nostro Comune ha mostrato molta sensibilità su questo fronte», rimarca.
E l’istituzione scolastica ha saputo far passare il messaggio ai livelli superiori, riuscendo a gestire una realtà scolastica davvero variegata. Ricorda bene quando nel 2016-2017, tra scuola dell’infanzia ed Elementari erano giunti in classe più di settanta allievi stranieri. Il cammino comune non ha coinvolto, però, solo gli scolari, ma pure gli adulti. A fare da gancio le tre linee di Pedibus che danno modo ai bambini di andare a scuola a piedi e il servizio pattugliatori ai passaggi pedonali. «Con il supporto dei Servizi sociali della città – ci spiega il direttore – siamo riusciti a destinare dei programmi occupazionali di pubblica utilità in gran parte a stranieri che vivono sul territorio e non hanno un lavoro. E l’esperienza ha funzionato bene, facendo nascere una reciproca fiducia fra genitori e accompagnatori. E permettendo a questi ultimi di interagire con la nostra realtà e farli sentire utili». Tutto merito di una paletta e una linea di Pedibus.
Sono contro, ma il sistema d’asilo in Svizzera. E anche loro hanno scelto Chiasso, ma per far sentire un’altra voce e dire che esiste una narrazione diversa rispetto a quella, in particolare di una certa parte politica, che sta alzando l’attenzione e la tensione attorno al tema della migrazione. Così nella quiete domenicale e a due passi da una piazza solitaria, il Collettivo R-Esistiamo ha organizzato un ‘Pomeriggio solidale’ al campetto di via Bossi, tra due tiri di pallone e un concerto rap, senza confini. Più di tante parole dicono tutto gli striscioni stesi lungo la recinzione. Al primo si affida un pensiero che vale una speranza: ‘Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini’. Il secondo restituisce quasi una dichiarazione programmatica, per resistere, si legge, alle frontiere; perché, si rilancia, ‘chiudere un bunker non è abbastanza’.
Ecco che alla denuncia per la presenza di richiedenti l’asilo (comunque una dichiarata minoranza) che non rispettano le regole – all’origine di missive, petizioni e visite di delegazioni partitiche –, il Collettivo contrappone, come si legge sul volantino, la denuncia delle “violenze sistematiche del sistema migratorio svizzero” e delle condizioni di vita all’interno delle strutture federali, tra sovraffollamento e isolamento. Una cittadina, per due narrazioni.