Mendrisiotto

‘Ingiustamente etichettato come l’uomo della mafia in Ticino’

Secondo giorno di processo per l’ex fiduciario. Era stato condannato e poi assolto dall’accusa di riciclaggio aggravato. Ora in aula per reati minori

(Ti-Press)

Proscioglimento dell’imputato e, in caso venisse dichiarato colpevole di uno o più capi d’accusa, l’esenzione dalla pena. È questa la richiesta della difesa, rappresentata dall’avvocato Mario Postizzi, che riguarda l’ex fiduciario chiassese a processo da ieri al Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona. L’uomo era stato in passato condannato e poi in seconda battuta assolto dal Tribunale federale (Tf) per il reato di riciclaggio aggravato. Ora, l’ex fiduciario si è dovuto presentare davanti alla Corte per rispondere di reati minori: carente diligenza in operazioni finanziarie e diritto di comunicazione, falsità in documenti e infrazione alla legge federale sugli stranieri, e infine inganno nei confronti delle autorità. Ieri l’accusa, rappresentata dai procuratori federali Stefano Herold e Davide Francesconi, aveva chiesto una pena di 12 mesi sospesi con la condizionale.

‘Un procedimento con conseguenze devastanti per il mio assistito’

Una pena che, al netto dei fatti, sarebbe già stata ‘scontata’. Durante l’arringa, Postizzi ha infatti messo l’accento sul lungo tempo trascorso dai fatti (avvenuti tra il 2012 e il 2014), tempo che «ha avuto conseguenze devastanti sul mio assistito». In particolare, il difensore ha deprecato l’attenzione mediatica attorno alla vicenda: «Per troppo tempo è stato ingiustamente classificato come uomo di mafia, con importanti conseguenze familiari, sociali, professionali ed economiche». Secondo l’accusa che aveva promosso l’imputazione di riciclaggio aggravato, l’ex fiduciario avrebbe infatti fatto da intermediario finanziario in Ticino per un’organizzazione ’ndranghetista. Ipotesi poi smentita a inizio 2022 dai giudici di Mon Repos. Riguardo al denaro gestito dall’imputato, è stato dunque stabilito che l’uomo non sapesse nulla dell’origine criminale. Secondo l’avvocato Postizzi, per i capi d’accusa correnti non bisogna dunque più tenere in considerazione tutto ciò che è legato all’accusa di riciclaggio aggravato. Punto sul quale il procuratore federale Herold non si è trovato d’accordo: «Non si possono cancellare i fatti posti alla base dei singoli capi d’accusa. Fare ciò renderebbe tutto il procedimento astratto», ha affermato durante l’intervento di replica. Herold è dunque restato fedele alla sua richiesta di pena e ha negato la presenza di violazione dei principi accusatori.

‘Mi sono trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato’

In conclusione del processo è stata data l’ultima parola all’imputato che, davanti alla Corte presieduta da Fiorenza Bergomi (a latere Monica Galliker e Alberto Fabbri), ha espresso la sofferenza che gli ha causato tutto il procedimento penale: «Ho dovuto combattere per avere giustizia e la lotta contro l’accusa di riciclaggio aggravato ha avuto conseguenze dolorose per me e la mia famiglia. Mia moglie e i miei figli hanno subito le conseguenze di un accanimento giudiziario e mediatico. Il tutto in barba alla presunzione d’innocenza». E ha aggiunto: «La mia è la storia di un professionista che si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato». L’uomo ha sostenuto di aver sì fatto degli errori e commesso leggerezze, ma di aver ammesso tutto e cercato di porre rimedio ancora prima di essere indagato.

Sentenza il 19 aprile

La Corte penale dovrà ora esaminare se, come indicato sul sito del Tpf, l’ex fiduciario "agendo a titolo professionale abbia accettato, preso in custodia, aiutato a collocare o a trasferire valori patrimoniali altrui", che erano stati inizialmente depositati su una relazione bancaria, "senza accertarsi, con la diligenza richiesta dalle circostanze, dell’identità dell’avente economicamente diritto". I giudici dovranno inoltre verificare se l’imputato sia colpevole o meno del reato di falsità in documenti in relazione a un formulario. Infine la Corte dovrà accertare se l’ex fiduciario abbia commesso il reato di complicità in inganno nei confronti delle autorità per quanto riguarda il permesso di soggiorno di un uomo di fiducia del clan Martino. La lettura della sentenza è prevista per il prossimo 19 aprile.

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