Aperto il cantiere della ristrutturazione, il patrimonio sulla civiltà contadina è stato ‘inscatolato’ in un maxicontenitore. Lo abbiamo visitato
Riporre in una scatola i ricordi di famiglia, le testimonianze, i frammenti di vita è, di per sé, una vera impresa, sempre. Se poi a dover inscatolare la propria storia (e la propria identità), fatta di reperti e documenti, è un museo, la missione può apparire (quasi) impossibile. Al Museo della civiltà contadina di Stabio ce l’hanno fatta. Sono riusciti a traslocare l’intero patrimonio di circa 20mila oggetti dentro un grande contenitore di mille metri quadrati poco fuori il ‘cuore’ del paese. Trasformando così un deposito del Comune in un imponente archivio, dove ogni pezzo della collezione ha trovato il suo posto, dopo essere stato pulito, numerato e catalogato. Una soluzione temporanea, certo, almeno per i tanti utensili della quotidianità d’un tempo, i grandi carri e le vestigia della nostra memoria rurale che, negli anni, hanno fatto vivere il Museo, oggi un cantiere aperto in vista degli interventi di ristrutturazione che daranno modo di abbattere ogni barriera architettonica.
Con i lavori in corso dentro casa (sino alla fine di ottobre del 2023), svuotare l’edificio rimaneva l’unica soluzione possibile. A quel punto chiudere il portone e il Museo ai più sarebbe sembrata la sola cosa da fare. Non però a Monica Rusconi, curatrice e responsabile culturale del Comune, che non se l’è sentita di tagliare, nemmeno per un giorno, il cordone ombelicale che lega lo spazio museale di Stabio ai suoi visitatori, oggi quasi 7mila in tutto. Così con i suoi collaboratori e l’appoggio dell’ente pubblico si è inventata una alternativa, che vale un progetto: aprire (su prenotazione) il deposito al pubblico e alle scolaresche. L’iniziativa, ribattezzata ‘Siamo (s)chiusi’, spalanca, di fatto, la porta a un modo originale di fruire una realtà museale. Tutto ciò, ci fa notare Monica Rusconi, senza interrompere un racconto che dura da decenni.
Lasciamo, quindi, gli operai all’opera tra le sale del Museo (alcune già rinfrescate) e avventuriamoci su una strada poco battuta. Raggiunto il deposito comunale – lì al civico 3 di via Rognago, sulla via per Genestrerio – ci si para subito davanti un mondo. Una Alice appassionata del nostro passato contadino – quindi anche un po’ di ciò che noi siamo – si troverebbe, di sicuro, nel suo Paese delle meraviglie. Oltre la soglia, al piano terra, dove trovano alloggio i beni più voluminosi, si è pensato di allestire una vera e propria aula: è la prima tappa di alcuni percorsi didattici a tema disegnati tra due binari gialli sui due piani dello stabile. La parola d’ordine? Sperimentare, mettendosi nei panni degli stessi conservatori museali. Come degli esploratori ci addentriamo, così, tra lunghe file di scaffali ordinati con il massimo rigore. «Un oggetto mal riposto – ci fa notare la curatrice –, è un oggetto perso». E allora viene da pensare che aver allineato con attenzione ciascuna delle testimonianze del Museo – dalle scatole di latta agli aratri – sia stata davvero una operazione quasi ciclopica.
Ogni oggetto, in effetti, parla di sé e restituisce un pezzetto dell’universo e delle esistenze a cui è appartenuto. Avvicinandosi, ci vengono narrate storie e racconti; come le carrozzine che, di volta in volta, hanno accolto le nuove vite che venivano alla luce in famiglia o il seggiolone a rotelle che si converte in un tavolino intagliato da abili mani artigiane. E poi file di caffettiere che ancora vorrebbero borbottare sul fuoco, e un po’ più in là una saliera del 1865, come si legge nell’iscrizione. Sembra di naufragare in un mare di oggetti, alcuni dei quali mai visti prima.
«Va detto – spiega ancora a ‘laRegione’ Monica Rusconi, che ci fa da guida – che ogni anno, grazie alle mostre permanenti – con i 1’500 oggetti esposti, ndr – e temporanee si movimenta qualche migliaio di pezzi. La maggior parte del patrimonio resta in deposito». Ecco che con quest’ultimo progetto, nato dalle contingenze di cantiere, si solleva un velo sui ‘tesori’ che un Museo custodisce tra le sue mura e le sue ’cantine’. Sino a ora, infatti, il deposito apriva solo un giorno all’anno, in occasione delle porte aperte.
Nel nostro girovagare curioso superiamo bauli e valigie, sistemati in una pila geometrica, e ci imbattiamo in una testimonianza inattesa, almeno dal profilo geografico: un vecchio banco scolastico proveniente dalla Valle Verzasca che, a quanto pare, non interessava a nessuno e rischiava di finire nell’oblio. «Come Museo della civiltà contadina abbiamo ritenuto fosse una acquisizione interessante – ci spiega la curatrice –. Se una testimonianza è importante, è rara o è presente in pochi esemplari nella nostra collezione, decidiamo di acquistarla. Altre volte rinunciamo, perché possediamo già parecchi esemplari di un particolare oggetto».
D’altro canto, un Museo, ci rende attenti, è anche la sua collezione, ‘costruita’ nel tempo grazie alla tenacia dei suoi conservatori. «Non a caso si spinge molto sulla sua valorizzazione. E a Stabio – sottolinea Rusconi – il Comune ci crede, come testimoniano gli investimenti fatti e ancora in previsione». È il caso dei 360mila franchi destinati ai lavori in fase di realizzazione. Anche lì nel deposito, d’altro canto, nulla è lasciato al caso: sotto osservazione temperatura e umidità a tutela di quanto vi è conservato con cura. Anzi, uno dei progetti futuri ha in sé l’idea di stringere una collaborazione pure con la Supsi, che a Mendrisio ha un corso in conservazione e restauro.
All’improvviso, tra uno scaffale e l’altro, facciamo una scoperta inaspettata: alcune delle macchine fotografiche di Gino Pedroli (1898-1986) sono davanti ai nostri occhi. Il Museo come poteva lasciarsi sfuggire un ‘ricordo’ di colui che ha fissato sulla pellicola il mondo contadino?
Per i bambini (dai 5 anni), i ragazzi ma pure gli adulti che si inoltreranno in questo Museo fuori sede si prospetta, insomma, un viaggio incredibile. Tanto più che non solo si potranno osservare i tanti oggetti della collezione, ma pure cimentarsi in attività pratiche, da una parte della quotidianità contadina, dall’altra della giornata di un curatore museale. Tutto è pronto, infatti, per misurarsi con il lavoro del maniscalco o la sgranatura del mais, per provare a pesare la farina con la stadera o cardare la lana. «In questa occasione – ci anticipa altresì Monica Rusconi – abbiamo pensato di far vestire, letteralmente, ai ragazzi anche un po’ i nostri panni, quelli di chi gestisce una collezione. Tuta, maschera, guanti e copriscarpe capiranno in prima persona cosa significa pulire e catalogare un oggetto». Una vera e propria immersione totale nella vita di un museo.