Dopo sette anni di restauri, l’interno è pronto a risplendere di nuovo. L’altare sarà consacrato il 27 novembre
«Questa chiesa è degna di una città invece che di un umile villaggio, quindi il lavoro eseguito è degno di una grande città». Fabio Janner, presidente del Consiglio parrocchiale, introduce la presentazione della rinnovata chiesa di Sant’Eusebio, parafrasando le parole del vescovo Carafino, di quando fece visita a questo luogo di culto nel 1627. Da allora si continuò ad abbellirla fino a oggi. Il 27 novembre, infatti, la comunità di Castel San Pietro festeggerà la fine dei restauri e la consacrazione del nuovo altare della chiesa parrocchiale con la presenza di monsignor Alain de Raemy, vescovo ‘a interim’ della Diocesi di Lugano. La prima tappa degli interventi è iniziata nel corso del 2010 ed è stata dedicata al risanamento esterno e del tetto e a un nuovo sistema di evacuazione delle acque. Ambito, quest’ultimo, dove sono stati compiuti importanti miglioramenti per quanto riguarda l’umidità, che ormai si era infiltrata lungo le pareti innescando numerosi fenomeni di degrado. Poi ha fatto seguito la seconda parte dei lavori, concentrata sugli interni e ancora in corso per gli ultimi ritocchi, sotto la direzione prima dell’architetto Massimo Ravasa e poi dall’architetto Gabriele Geronzi. Come ci spiega Janner, «in questi ultimi sette anni l’immagine finale che volevamo era quella del restauro d’inizio Novecento del pittore e restauratore Silvio Gilardi (1873-1943) di Mendrisio». E come precisa l’architetto Geronzi «non si può quindi dire di aver riportato la chiesa all’antico splendore, ma anzi siamo di fronte all’ultima fase della lunga storia dell’edificio meritevole di essere conservata e valorizzata». Questo perché in alcuni punti della chiesa un’eventuale eliminazione del restauro terminato nel 1912 non era percorribile sul piano esecutivo, poiché avrebbe creato delle situazioni estetiche e conservative disomogenee. Gilardi all’epoca, quando si occupò delle parti barocche, aveva ricostruito e modellato degli stucchi e ritoccato i dipinti murali dove lacunosi o degradati. «Se avessimo eliminato queste modifiche avremmo dato alla chiesa un’immagine ibrida e non quella corrispondente al cosiddetto antico splendore».
Uno degli elementi più caratteristici della ‘nuova’ chiesa è sicuramente il nuovo arredo liturgico necessario alla celebrazione parrocchiale. Il primo passo, illustra Geronzi, è stato quello di «adattarlo a quanto già esistente e legarlo alla storia di Sant’Eusebio». San Massimo di Torino evocando l’eloquenza di Sant’Eusebio disse appunto che "con l’arte dell’angelica bocca restituì la vista spirituale ai ciechi erranti, l’udito agli incapaci di udire la voce di Dio e la vita agli spiriti morti per i loro delitti. Egli coltivò e formò coscienze con tale alacrità e perseveranza che non se ne può parlare che in modo degno e conveniente". «Oltre a ricordare una bocca con questo disegno a forma di ali – sottolinea Geronzi –, abbiamo anche voluto continuare la tradizione che vuole l’aquila come simbolo dell’ambone». Per quanto riguarda il materiale per i nuovi elementi lapidei, si è scelto quello della cava di Crevoladossola, l’unico giacimento al mondo di marmo Palissandro (così chiamato per la sua somiglianza al pregiato legno), una roccia policromatica di rara bellezza. La pregiata pietra è stata scelta anche per le particolari venature che cromaticamente si abbinano con gli altri elementi del presbiterio. A testimonianza dell’importanza di questo bene culturale, i lavori di restauro hanno potuto beneficiare del contributo finanziario del Comune di Castel San Pietro, del Dipartimento del territorio e dell’Ufficio federale della cultura. Nel dettaglio a fronte di un costo preventivo di 2,5 milioni di franchi, i contributi pubblici sono stati di 860mila franchi dal Comune, 515’500 dal Cantone e 479’500 dalla Confederazione. Il resto del finanziamento è stato coperto dalla Parrocchia con i mezzi propri.
Nel frattempo, tra le vie del paese si avverte un clima di attesa: tra il negozio di alimentari che espone in bella vista la data del 27 novembre e gli striscioni dei bambini sparsi per le strade. Lo sottolinea anche il parroco don Fiorenzo Maritan, che non vede l’ora d’incontrare i fedeli tra quelle mura.