Visita della neo Segretaria di Stato della migrazione al Centro federale d‘asilo a Pasture. ’Si è retto alla sfida dell’emergenza’
Ancora una volta il Ticino non si è tirato indietro. Porta d‘accesso sud della Svizzera davanti all’emergenza umanitaria ucraina ha aperto le braccia. Anche più di quanto la Confederazione gli chiedesse di fare. A oggi il cantone ha accolto sul suo territorio oltre 1’400 profughi. Tra loro gran parte, come testimoniano le autorità locali, hanno trovato casa nel Mendrisiotto. Oggi, mercoledì, Christine Schraner Burgener, al suo debutto come Segretaria di Stato della migrazione (Sem), è qui su suolo ticinese per dire di persona il suo ’grazie’. «Come nelle crisi precedenti - riconosce la responsabile della Sem - insieme è stato fatto un grande lavoro». Del resto, nel tempo ci hanno pensato la guerra dei Balcani e del Kosovo e le pressioni migratorie del 2016 a mettere alla prova la macchina dell’accoglienza. Certo il conflitto in Ucraina ha posto di fronte a «una situazione che non si era mai vista dalla Seconda guerra mondiale in poi». Le donne, i bambini, gli anziani in fuga dalle bombe rappresentano ora una prova che chiama tutti - Confederazione, Cantoni e Comuni - a rimboccarsi le maniche.
Come hanno reagito le istituzioni? «Sinora - conferma la Segretaria - questa sfida l’abbiamo padroneggiata bene. La cooperazione tra Confederazione e Cantoni ha funzionato molto bene. Quanto alla solidarietà dimostrata dalla popolazione è stata travolgente». Sono migliaia a livello nazionale i posti letto messi a disposizione e i privati hanno un ruolo significativo. Ciò che conta fa capire il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi è essere virtuosi nel segno del federalismo svizzero. La sua richiesta consegnata brevi mano nelle stanze del Centro federale d’asilo a Pasture (fra Balerna e Novazzano)? «Far funzionare la solidarietà intercantonale e la ripartizione dei rifugiati negli altri cantoni». Tutto secondo il principio della reciprocità.
Oggi è stata, quindi, la prima volta di Christine Schraner Burgener negli spazi del Centro federale d’asilo, parte delle infrastrutture di Ticino e Svizzera centrale. O meglio della soluzione logistica provvisoria, lì a Pasture, in attesa di quella definitiva, che sarà ponta nel 2024. Ed è stato altresì il suo primo incontro, nel primo pomeriggio, con i rappresentanti dei Comuni locali - Bruno Arrigoni e Sonia Colombo-Regazoni, sindaco e municipale di Chiasso, e Luca Pagani e Sergio Bernasconi, sindaci di Balerna e Novazzano -, al tavolo anche Gobbi e il collega di governo Raffaele De Rosa e Ryan Pedevilla, a capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione. Mai come in questi frangenti il dialogo istituzionale, d’altra parte, ha un valore importante. Certo in questo caso, fa presente la Segretaria di Stato della migrazione, «per la prima volta non è Chiasso a essere il grande porto di scalo di chi fugge dalla guerra. La maggior parte fa capo a Zurigo». Ma quella a sud resta una frontiera ‘calda’.
In effetti, «nessuno di noi - annota ancora - sa dire quanto durerà la crisi. Una cosa è chiara - ribadisce -: possiamo superare questa sfida solo insieme e grazie al dialogo costruttivo che si è instaurato in Ticino. Solo così, sono sicura, potremo risolvere anche i prossimi problemi che si presenteranno». In realtà, la prova, come fa capire dl canto suo Norman Gobbi, rischia di essere duplice; perché a questo stato di cose dall’estate potrebbero sommarsi i flussi migratori di sempre, che si prevedono in aumento. «Per Chiasso e il Ticino sarà una situazione da affrontare, per la Sem da gestire in modo solidale», rimarca il Consigliere di Stato.
Tornando alla crisi Ucraina, il capo del Di si spiega in due modi l‘ondata di profughi sul Ticino. «Innanzitutto, nel cantone è presente una significativa comunità ucraina, che ha fatto da attrattore. In secondo luogo, qui c’è uno dei centri federali importanti del Paese». Gobbi non nasconde di avere diverse preoccupazioni. «Dal nostro punto di vista, le esperienze vissute negli ultimi anni ci hanno permesso di essere quasi subito pronti a fronteggiare la crisi - annota -. Ora è la solidarietà spontanea che deve essere incanalata. Nelle emergenze, infatti, vi è anche chi approfitta della situazione. Una situazione che va monitorata fin dall’inizio, anche attraverso i colloqui che l’autorità cantonale ha nella gestione degli alloggi collettivi».
Il pensiero va in particolare ai minori non accompagnati, oltre che alle donne con figli e agli anziani. E la chiave di volta, a maggior ragione per i ragazzi, resta la concessione dello statuto di protezione ‘S’: registrare i rifugiati, fa presente ancora Gobbi, dà modo di avere un riscontro della loro presenza. «Non sono coloro che accolgono - spiega a ‘laRegione’ - che decidono quali misure di protezione devono essere attivate per quel minorenne. Minore al quale occorre garantire la presenza di una persona che funga da autorità parentale - un tutore o un curatore - e che possa essere seguito nel suo percorso. Sappiamo bene che, come c‘è il rischio di tratta di essere umani per le giovani donne - come si è visto ai confini con l’Ucraina -, possono esserci pure potenziali abusi sui minorenni. Quindi, l’obiettivo è quello di assicurare una ‘tracciabilità delle persone’: sapere chi sono, dove sono e attivare tutte le misure necessarie per la loro protezione. Dunque non solo lo statuto ’S’ ma tutti gli altri strumenti a disposizione».
Il Ticino ha già dovuto misurarsi con i minori non accompagnati in questa crisi? «Sin qui la guerra in Ucraina ha portato in Svizzera pochi minori non accompagnati a differenza di quanto accaduto con la situazione in Afghanistan», ci fa presente la Segretaria di Stato della migrazione.
Berna e il Cantone non sono, comunque, le uniche autorità a tenere sotto osservazione ciò che accade alla frontiera e oltre il cancello di Pasture, di cui è possibile avere solo alcuni scorci (nessuna visita è permessa ai media). In effetti, i rappresentanti politici dei Comuni del territorio oggi non hanno perso l’occasione per sottolineare, ancora una volta, i punti critici della convivenza con il Centro federale d’asilo. «Abbiamo ribadito quanto andiamo dicendo da anni - esplicita Bruno Arrigoni, sindaco di Chiasso -. Di fatto abbiamo attirato l’attenzione sulla necessità di trattare con maggiore severità i casi problematici. Chi sbaglia va punito, anche per il bene di tutti gli ospiti». E qui il pensiero va a quanto accaduto martedì in via Motta a Chiasso, dove un ospite ha dato fuoco a un materasso, costringendo a evacuare la struttura.
Qual è il punto? «Capita - chiarisce Arrigoni - che giovani uomini, dopo aver bevuto un bicchiere di troppo, per strada vadano a importunare i passanti o magari commettano dei piccoli furti. Ciò restituisce un senso di insicurezza nella popolazione». E cosa ha risposto la Sem? «Che sono a conoscenza del problema e cercheranno di agire di conseguenza».
C’è, però, ribellione e ribellione. E quella rivendicata dal Collettivo antirazzista R-esistiamo in un manifesto è semmai critica con "il discorso retorico dell’accoglienza svizzera". In occasione della visita di Christine Schraner Burgener e di Norman Gobbi a Pasture ha voluto far sentire la sua voce. "Noi - scrive il Collettivo - non vogliamo girare la testa dall’altra parte", perché "tutt* possano essere liberi di autodeterminarsi e muoversi". A essere contestata è la scelta di aver costruito "un luogo isolato, recintato e sorvegliato" all’interno del quale i diritti dichiarati non sono dati. A essere denunciati rimpatri forzati, rinvii, emarginazione e l’impossibilità per i bambini i frequentare la scuola fuori le mura.