Figura del mondo culturale della regione, per trent’anni è stato alla guida del Museo della civiltà contadina di Stabio
Il Mendrisiotto ha perso un altro dei suoi preziosi ‘figli’. La notte si è portata via Sergio Pescia, tra gli ideatori e conservatori per trent’anni del Museo della civiltà contadina di Stabio. ‘Seo’, come lo chiamavano gli amici, se ne è andato all’età di 75 anni senza preavviso, gettando nello sconforto i suoi familiari e lasciando esterrefatte le persone che gli erano più vicine e il paese intero. Quello stesso paese, Stabio, per il quale si è speso per tutta la vita. Difficile farsene una ragione per chi lo ha conosciuto, per quanti in questi giorni si erano ritrovati a condividere un caffè, un bianchino, due chiacchiere con la consueta cordialità. Sì, perché tra i segni distintivi di Sergio Pescia, accanto alla passione per il suo lavoro e la cultura (a 360 gradi), c’era il sorriso, che non lo abbandonava mai (anche quando ti parlava di cose serie).
Una positività e una gioia che neppure la pensione aveva smorzato. «Ci eravamo appena sentiti ed era molto felice alla sola idea che l’estate prossima saremmo tornati a organizzare qualcosa di bello in vista di Festate come contributo de ‘Ul Suu in cadrega’, così come succedeva prima della pandemia: ci stavamo già lavorando», fa fatica a trovare le parole Ferruccio Frigerio. «Ricevere la telefonata che ci annunciava la sua dipartita è stata una doccia fredda – confessa –. È stata una notizia davvero inaspettata: sentendo gli amici, tutti erano sorpresi». E in tutti è rimasta la sensazione che qualcosa sia rimasto a metà. «In questi ultimi trent’anni per me è stato un compagno di avventure nell’associazione, in particolare dalla sua rinascita – faceva parte del comitato allargato, ndr –, ma non solo. Posso permettermi di dire che c’era un rapporto di fratellanza: eravamo un bel tandem. Abbiamo condiviso sedici anni al tavolo della Commissione culturale locale e tanti momenti. ‘Seo’ c’era sempre, con una propositività e una voglia di fare immutate».
Sergio Pescia, in effetti, non si tirava mai indietro davanti a un nuovo progetto culturale. Non lo fece nemmeno nella seconda metà degli anni Settanta, quando affiancò l’artista Gino Macconi, il fautore dell’iniziativa, nel dare vita al Museo della civiltà contadina che nell’aprile scorso ha tagliato il traguardo dei quarant’anni. Un Museo di cui è stato il primo curatore, nel 1981, restandolo appunto per trent’anni, sino al 2011, quando passò il testimone alla compianta Marta Solinas, e lasciando una eredità oggi raccolta da Monica Rusconi. Andando a ripercorrere i suoi racconti degli inizi ci si rende conto che l’incontro con la realtà museale è stata per certi versi casuale (ai tempi aveva una ditta), per altri dettata da una smisurata passione per questa terra e per la cultura: dalle tradizioni rurali all’arte, dalle contaminazioni musicali (cifra stilistica de ‘Ul Suu in cadrega’) alla scoperta del mondo (magari a bordo del suo amato camper).
Ferruccio Frigerio non teme di esagerare: «Se il Museo è lì è perché c’è stato Sergio». Di questo angolo museale ticinese, del resto, lui, oltre che curatore, conservatore e restauratore, conosceva ogni pezzo, ogni oggetto catalogato con attenzione e sapienza (oggi sono quasi 19mila). Riguardando una simpatica intervista a specchio con la curatrice attuale Monica Rusconi postata il febbraio scorso su Facebook per gli otto lustri della struttura, Pescia ha dato una motivazione semplice quanto importante (oltre che sempre vera) sulle origini del Museo: tutto è nato dall’“idea di rendere attenta la gente, le persone e i giovani sul loro passato per capire come andare avanti”. Ieri come oggi credeva nella necessità di guardare al futuro e leggere il presente non dimenticando il passato. Lui lo sapeva fare anche nella quotidianità. ‘Rubiamo’ a Monica Rusconi un’immagine di Sergio Pescia: “Il passo tranquillo e il cappello a falde larghe”.
La nostra immagine, invece, ci rimanda all’ultima visita in redazione – era vicino al giornale e ai cronisti – per parlarci della manifestazione estiva de ‘Ul Suu in cadrega’ e per scambiare due impressioni su questo tempo difficile e dicendo tutta la sua nostalgia per la libertà (limitata) di viaggiare. Caro Sergio, che la terra ti sia lieve. Ai familiari giunga il sincero cordoglio della redazione.