Pena di 2 anni e 10 mesi per un cacciatore del Mendrisiotto. Nel 2019 scambiò l’amico per un cinghiale ferendolo a morte. ‘Leggerezza inaccettabile’
Ha sparato al suo miglior amico durante una battuta di caccia, scambiandolo per un cinghiale e uccidendolo. «Ho visto una macchia scura muoversi tra alberi e foglie, ho pensato fosse una preda e ho premuto il grilletto», così si è giustificato un 53enne del Mendrisiotto comparso quest’oggi davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio con l’accusa di omicidio colposo. I fatti risalgono al 14 settembre del 2019 quando l’imputato, insieme alla vittima e a un altro cacciatore, stava praticando l’arte venatoria a Chiasso nella zona del Penz. «Da quel giorno la mia vita è cambiata. Ho chiesto che tutte le armi di cui ero in possesso mi fossero portate via. Ho un peso sul cuore che mi porterò per sempre». A carico dell’uomo la Corte, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (giudici a latere Fabrizio Filippo Monaci e Monica Sartori-Lombardi) ha inflitto una condanna a 2 anni e 10 mesi, di cui 6 da espiare. «La colpa è gravissima sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo. Non serviva infatti molto per evitare la tragedia, visto che la vittima indossava anche vestiti ad alta visibilità. Siamo alla soglia del reato di omicidio intenzionale per dolo eventuale». Un provvedimento decisamente più severo rispetto a quanto richiesto dalla procuratrice pubblica (pp) Marisa Alfier, che si limitava a una richiesta di pena di 12 mesi sospesi con la condizionale. È quindi verosimile che la difesa, rappresentata dall’avvocato Luigi Mattei, presenterà ricorso in Appello.
Sulle tracce di un cinghiale ferito, i tre cacciatori avevano deciso di separarsi per riuscire a coprire uno spazio maggiore di territorio. La battuta di caccia era cominciata nella zona Bellavista, con l’idea di spingere l’animale verso la zona conosciuta con il nome ‘bresciano’, nei pressi di Seseglio. «Io sono rimasto indietro rispetto agli altri due, ho percorso un terreno molto impervio e questo mi ha rallentato» - ha spiegato l’imputato. Da qui la decisione di fermarsi ad aspettare, nella speranza che l’animale tornasse sui propri passi. «Avevo trovato un buon punto, a breve distanza da un sentiero percorso dagli animali selvatici. Credevo i miei compagni molto più avanti di me». Dopo un attimo di attesa l’imputato ha raccontato di aver udito un rumore di rami spezzati e sassi smossi, «ho visto una macchia nera muoversi, è stato un attimo. Credevo fosse un cinghiale». Un atteggiamento ritenuto grave dalla Corte: «Vìola tutte le norme che regolano l’arte venatoria e anche il buon senso. Ha sparato senza accertarsi». L’uomo, ha fatto notare la pp, non era nuovo ad atteggiamenti al limite delle regole di sicurezza: «Tra gli altri cacciatori era conosciuto per il suo atteggiamento poco affidabile, non si sapeva mai dove si posizionava. Amava uno stile di caccia attivo, inseguendo gli animali. In passato aveva esploso un colpo che per poco non colpiva un compagno». Questo nonostante fosse un cacciatore di lungo corso, con la prima patente staccata nel 1990.
A prendere la parola è stato anche il fratello della vittima, a nome dei numerosi parenti presenti in aula: «Quella che stiamo vivendo è una tragedia familiare molto dolorosa. Anche a distanza di due anni sentiamo la mancanza fortissima del nostro caro. Speriamo che la vicenda possa servire a sensibilizzare, quando si ha un’arma in mano bisogna sempre fare molta attenzione». E proprio sull’attenzione prestata dal 53enne la Corte si è soffermata a lungo. «Un cinghiale è alto tra i 40 e i 60 centimetri. Il colpo è stato sparato più in alto, se si fosse trattato davvero di un animale non l’avrebbe colpito. Ha sparato quindi senza pensare», è stata la lettura proposta da Marisa Alfier nella sua requisitoria. «Era convinto fosse un cinghiale, non ha guardato per vedere cosa fosse, ma dove fosse», ha ribattuto l’avvocato difensore, Luigi Mattei, che aveva richiesto una riduzione della pena a 9 mesi sospesi. A pesare sulla decisione della Corte anche il contesto nel quale l’ormai ex cacciatore (gli è stato proibito di richiedere la patente per i prossimi 7 anni) si è trovato ad agire: «Non ha accertato se si trattasse di un animale o di una persona. Questo nonostante sapesse che, oltre ad animali protetti, nella zona ci fossero almeno altre due persone. Una delle quali è poi diventata la sfortunata vittima» ha affermato in conclusione alla lettura della sentenza, il giudice Pagnamenta.