Il Municipio ci crede e alza a mille franchi la quota d'imposte da pagare in criptovaluta. Il sindaco: 'Le aziende del settore sono benvenute'
La tecnofinanza e le criptovalute agli occhi dei più sono ancora avvolte da un alone di mistero. Ciò che non si può toccare - come lo sportello di un banca o una moneta corrente -, si guarda ancora con un po' di sospetto. Eppure il mondo digitale ormai non è più una realtà parallela: la crisi sanitaria da Covid-19 ce lo ha fatto capire con chiarezza. Per una piazza finanziaria come quella di Chiasso, ecco che questo mercato ha il suo fascino. In questi anni gli istituti bancari sono cambiati e hanno fatto qualche passo indietro? Le 'start up' e le aziende delle nuove frontiere potrebbero trovare qui una base operativa interessante. Il primo a crederci è il Municipio della cittadina di confine, che ha convertito una quota (certo contenuta) delle imposte in Bitcoin. Da quest'anno i contribuenti chiassesi a ogni rata e in occasione del conguaglio potranno pagare mille franchi non nella valuta nazionale bensì con quella che viene considerata la più pregiata delle criptovalute. Una prassi che l'autorità comunale ha introdotto nel 2018, tastando il terreno con una cifra più bassa, 250 franchi.
In effetti, Chiasso è stato il primo Comune in Ticino - il secondo in Svizzera dopo Zugo - a sdoganare il Bitcoin, restituendogli una credibilità istituzionale. Va detto che, sin qui, l'iniziativa non ha fatto molti proseliti, sia sul fronte della cittadinanza che su quello degli altri enti locali. Il primo contribuente che, da subito, due anni orsono, ha colto l'opportunità al balzo e ha versato parte delle sue imposte nella criptovaluta è rimasto pure l'unico; fedele sì ma solitario. «Questo - tiene a precisare il sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni - non è il punto dell'operazione. I nostri obiettivi sono altri». A cosa mirate, visto che avete aumentato la cifra che si può convertire? «Abbiamo pensato di alzare il limite a mille franchi per vedere se nella popolazione l'interesse cresce - spiega a 'laRegione' -. In realtà, però, ci preme lanciare un segnale anche al mondo delle imprese che si muovono nell'universo delle criptovalute, ma anche della tecnologia blockchain e del cosiddetto fintech».
Nel 2018 l'operazione, ci ricorda Arrigoni, aveva fatto breccia. «Il marketing territoriale messo in campo in quella occasione, infatti, aveva avuto un notevole successo: la nostra comunicazione era rimbalzata sino in Corea. In questa situazione di crisi, quindi, ci sembra giusto dare un impulso e non limitarci a piangerci addosso». La missione è cristallina: attirare nuove aziende nel bacino chiassese. «Il messaggio che intendiamo veicolare - ribadisce il sindaco - è che la cittadina e la zona del Basso Mendrisiotto sono interessanti».
Quando ci si è avvicinati alle criptovalute, qualche risultato lo si era raccolto in termini di 'start up'. All'epoca si erano censite una trentina di ditte e 150 posti di lavoro nel settore digitale. E oggi? Ad Arrigoni viene da pensare che ve ne sia qualcuna in meno, e la pandemia non è certo stata d'aiuto. Al momento, in ogni caso, non è possibile dare dei numeri precisi. «Il problema - ci illustra Athos Cereghetti, esperto in criptovalute - è già stato sollevato a suo tempo pure in ambito cantonale. In effetti, a livello federale non esiste ancora un codice di riconoscimento, come per gli altri settori economici. Sarebbe un modo per misurare quante aziende orbitano in Ticino e quanti addetti contano».
Di ragioni per palesarsi, insomma, ce ne sono. «Vogliamo far parlare di noi - insiste il sindaco di Chiasso -, quindi promuovere il nostro territorio. Cosa ci può portare? Introiti fiscali ma anche un indotto in generale. Non dimentichiamo poi che queste attività attirano giovani. Lo ripeto, non dobbiamo pensare a ciò che non c'è più, ma alle nuove possibilità per rilanciare la piazza finanziaria con realtà più legate alla finanza tecnologica».
Sta di fatto che le monete virtuali sono volatili. E questo è un aspetto che richiama alla prudenza. Il Bitcoin, nato nel 2009, ha superato di recente quota 30mila dollari, ma le fluttuazioni sono inevitabili, come annotano gli esperti. Può rappresentare un rischio per il Comune? «Come Comune - rassicura Arrigoni - non possiamo fare delle speculazioni. Per chiarirci, appena versati i mille franchi in Bitcoin, vengono subito convertiti in valuta corrente (in franchi, ndr) e depositati sul nostro conto. Non corriamo nessun rischio economico».
Agli occhi di Athos Cereghetti le criptovalute sono state un po' demonizzate. «Una volta archiviati i dati nella blockchain sono immutabili e tracciabili», scandisce con sicurezza.
Nel Mendrisiotto (come nel resto del cantone) nessuno sinora ha seguito l'esempio di Chiasso. «Abbiamo cercato di far passare il messaggio nei Comuni vicini in occasione di un incontro intercomunale - annota il sindaco -, così come ne abbiamo parlato durante una riunione in ambito cantonale. Ci è stato detto che è una buona idea, ma per finire non l'ha sviluppata nessuno. Peccato - commenta con amarezza -, poteva essere un segnale corale all'indirizzo del governo cantonale. Pensiamo all'esperienza di Zugo».
Per il momento, però, non si è riusciti a riproporre una 'cryptovalley' in salsa momò. 'Cryptopolis' creata nel 2017 anche per strizzare l'occhio agli imprenditori italiani non esiste più per tutta una serie di vicissitudini, ci fanno capire. Sta di fatto che a Chiasso non ci si arrende. «La volontà di continuare su questa strada e al contempo di allargare il discorso c'è. E ogni nuova attività tecnologica sarà benvenuta - rilancia il sindaco Arrigoni -. Oggi dobbiamo battere nuove vie e prendere anche delle posizioni coraggiose».
Il futuro prossimo dirà se è stata la scelta giusta.