Condannato a 26 mesi di carcere (6 da espiare) il 35enne che nel 2018 fu pizzicato con oltre 50mila franchi. Dai soldi emerso infatti questioni di droga
A scoperchiare quello che proverbialmente viene definito il vaso di Pandora, era stato, nel novembre del 2018, un controllo delle Guardie di confine. A bordo dell'auto del 35enne italiano, residente nel Canton Soletta, erano infatti stati trovati oltre 45mila euro. Soldi cambiati poco prima a un ufficio cambi di Mendrisio. Che da quest'azione si arrivasse allo spaccio di cocaina e a un tentativo di traffico interazionale di stupefacente (si parla di 10 chilogrammi), ci ha pensato l'inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Nicola Respini. È per questo motivo che oggi, davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, il quasi 36enne – assistito dall'avvocato Lea Kaufmann Bütschli – è stato condannato a 26 mesi di carcere (6 da scontare, gli altri sospesi per un periodo di prova di due anni), una contravvenzione di 100 franchi e l'espulsione dalla Svizzera per 5 anni. Infrazione aggravata (e contravvenzione) alla Legge federale sugli stupefacenti nonché riciclaggio di denaro sono i reati per la quale la Corte lo ha giudicato colpevole.
Il tutto, come detto, è iniziato con il... fermo delle Guardie di Confine. Banconote che, evidentemente, hanno insospettivo le autorità. E sebbene – è emerso anche quest'oggi in aula – l'uomo potesse giustificare la provenienza di quasi tutto l'ammontare, si è ben presto arrivati al 'giro' in cui era finito il 35enne, sposato e padre di due figli, tra il settembre di due anni fa e il giorno del controllo in dogana. «Mi sono lasciato andare, è stato un periodo un po' brutto. «Avevo degli amici in una compagnia un po' sbagliata e ci sono caduto» si è giustificato l'uomo. Un 'cadere' che, in realtà, significa l'ammissione di aver spacciato almeno 350 grammi di cocaina. Polvere bianca acquistata «da uno spacciatore africano a 90 franchi il grammo che rivendevo a 100». Ma dall'analisi della memoria del suo cellulare è emerso ben altro. Dai messaggi trovati – ha evidenziato il pp durante la requisitoria – è infatti emerso come l'uomo «avesse i contatti 'giusti' e frequentava le persone 'giuste'». Da lì, infatti, la scoperta che l'imputato, sempre durante l'estate dello stesso anno, «era disposto a procurare a un amico 10 chilogrammi di cocaina». L'inchiesta, di fatto, ha permesso di scoprire che il 35enne, per conto di questo amico di Salerno, si era attivato in Svizzera allo scopo di reperire informazioni (soprattutto il prezzo) sulla potenziale (e ingente, nei possibili quantitativi) partita di droga. Per questi motivi Respini ha chiesto che l'imputato fosse condannato a una pena detentiva di 3 anni e mezzo, oltre all'espulsione dalla Svizzera per 7 anni: «Ha violato la legge ripetutamente e in un breve lasso di tempo per poter conseguire una illecito guadagno facile». Per non parlare dei soldi sequestrati i quali, sebbene il giudice Pagnamenta abbia riconsiderato la somma di quelli provento del reato (3'500 franchi rispetto agli oltre 52mila cambiati in euro), hanno fatto emergere un ulteriore 'problema'. Ovvero i soldi ottenuti lavorando in nero, durante il suo tempo libero. Insomma, ha ricordato Pagnamenta nel leggere il dispositivo della sentenza, «ha dimostrato di non essersi voluto conformare alle norme del nostro Paese».
E se il 'la' lo ha dato il sequestro di valuta, anche le prime giustificazioni della difesa sono arrivate dai soldi. Dall'arringa dell'avvocato Kaufmann è infatti emerso che la somma provento di reato era di 3'500 franchi (confermata dalla Corte). Del totale, 39mila erano frutto del suo lavoro «e che fossero in nero siamo d'accordo». Il resto, infine, risparmi accumulati dal regolare lavoro che il suo assistito aveva. La difesa, nel battersi per una pena massima di 24 mesi interamente sospesa (oltre a una pena pecuniaria, anch'essa in parte sospesa), ha pure cercato di ridimensionare l'infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti. Lo ha fatto con la cocaina spacciata, riducendo il quantitativo (visto che la droga era pronta in piccole dosi, quindi verosimilmente già tagliata) e con il tentativo di trafficarne 10 chilogrammi. In questo caso – ha evidenziato la legale – «lui voleva semplicemente un'informazione (il prezzo, ndr). Oltre a questa domanda lui non ha avuto null'altro a che fare». Difesa che si è pure opposta all'espulsione.
Di avviso opposto la Corte la quale lo ha condannato, come detto, a 26 mesi (6 dei quali da espiare) e all'espulsione. Si è macchiato di «una colpa grave – ha sentenziato Pagnamenta –. Aveva gli strumenti per avere una vita onesta, un lavoro e dei risparmi alla fine del mese». Ma è stato 'tradito' dalla «cupidigia di denaro e dalla volontà di vivere al di sopra delle proprie possibilità».