All'uomo di origine dominicana è stata inflitta una pena di 26 mesi di carcere di cui 7 da scontare. Non sarà però espulso dalla Svizzera
Quasi 400 grammi di cocaina. È quanto ha ammesso di aver venduto durante l’arco di tre anni, fra novembre 2017 e settembre 2020, un cittadino dominicano di 39 anni dimorante nel Locarnese. A processo davanti alla Corte delle Assise criminali di Locarno in Lugano presieduta da Marco Villa, con i giudici a latere Monica Sartori-Lombardi e Aurelio Facchi, oltre che per il reato d'infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, l’imputato ha dovuto rispondere per la contravvenzione della medesima Legge, in quanto egli stesso consumatore, e di riciclaggio di denaro per aver inviato 6’000 franchi, provento del traffico di droga, a Santo Domingo dove risiede parte della sua famiglia. Per questi capi d’imputazione, tutti ammessi, l’uomo è stato condannato a 26 mesi di prigione, di cui sette da espiare, da dedursi il periodo di esecuzione anticipata della pena già sofferto.
Durante la fase dibattimentale sono state ripercorse le dichiarazioni dell’imputato secondo cui avrebbe iniziato a spacciare dopo aver perso il lavoro a causa dello scadere del suo permesso di dimora. Essendosi ritrovato senza più entrate economiche, avrebbe preso a delinquere per sopravvivere e mantenere la famiglia creata in Svizzera dopo il suo arrivo dieci anni fa. In suo sostegno è stata citata una lettera della moglie, dalla quale nel frattempo si è separato, che attesta quanto sia sempre stato un padre presente e implicato nella cura dei loro due bambini.
Nella sua rogatoria, il procuratore pubblico Pablo Fäh ha chiesto una pena di 26 mesi di carcere, di cui dieci da espiare, e si è espresso per l’espulsione del 39enne. Pur non mettendo in discussione lo stretto rapporto con i figli, non lo ha ritenuto sufficiente al fronte dell’interesse di salvaguardia dell’ordine pubblico. Ha definito inoltre scarsa la sua integrazione, provata anche dalla presenza in aula di un’interprete. Inoltre nel suo Paese di origine ha diversi familiari con cui è in contatto e un figlio avuto da una precedente relazione. Per tutti questi motivi – ha sostenuto il pp – non dovrebbero esserci le condizioni per applicare la clausola di rigore che permetta all’imputato di rimanere in Svizzera.
Battutasi contro l’espulsione, invece, la difesa, costituita dall’avvocata Marina Gottardi. Pur ammettendo che il suo assistito non parla molto bene l’italiano e che deve fare degli sforzi per integrarsi meglio, ha però evidenziato come pochi mesi dopo il suo arrivo in Ticino abbia trovato un lavoro stabile che gli è stato tolto per una questione amministrativa. Nel cantone si è inoltre sposato e ha avuto due figli. E fino al 2017 ha condotto una vita senza commettere reati e senza maturare debiti, dando prova di rispettare le leggi. Con l’espulsione – ha detto Gottardi – si farebbe un torto anche ai suoi due bambini, uno dei quali ha tra l’altro bisognoso di cure particolari. L’avvocata ha così chiesto alla giuria di permettere all’imputato di rimanere in Svizzera e di contenere la pena a un massimo di 24 mesi sospesi a beneficio della condizionale per due anni, dato anche il comportamento collaborativo dell’imputato, che si è detto molto pentito.
Nel pronunciare la sentenza, il giudice Villa ha elencato i fattori di cui la Corte ha tenuto conto per la commisurazione della pena: da una parte, per il quantitativo di droga spacciata (386 grammi) giudicato importante e per il lungo periodo di quasi 3 anni durante il quale è stato reiterato il reato, la colpa è medio-grave. Dall’altra, c'è la collaborazione dell’imputato incensurato nel chiarire i fatti. Escludendo, viste anche altre sentenze, una pena inferiore ai 24 mesi, la giuria ha reputato adeguata quella di 26 mesi proposta dal procuratore pubblico, ma non essendo data prognosi negativa si è espressa per una sua esecuzione ridotta rispetto alla richiesta di Fäh. L’uomo è stato così condannato a sette mesi da espiare e 19 sospesi per una durata di due anni. Sottraendo il carcere già sofferto, gli resta circa un mese e mezzo da scontare, ciò che secondo il giudice Villa si giustifica anche col fatto che il 39enne in questo momento non ha un domicilio sicuro, non ha un lavoro e non ha portato prospettive in questo senso, dunque la scarcerazione immediata potrebbe comportare il rischio di ricadere in cattive situazioni. Infine la Corte ha ritenuto di non ordinare l’espulsione dell’uomo, non solo per i figli – ha motivato Villa –, ma soprattutto perché incensurato, rispettivamente per la durata del suo soggiorno in Svizzera. È stato dunque applicato il caso di rigore.