Mendrisiotto

Telefonini in corsia: dall'Eoc è tolleranza zero

Dopo quanto accaduto all'Obv, si rilancia una direttiva del 2014 che fissa regole di comportamento rigoroso per medici, infermieri e ausiliari

Camici bianchi e no, niente cellulare in tasca (Ti-Press)
31 gennaio 2020
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Tolleranza zero. Oggi nelle corsie degli ospedali pubblici non si ammette più neppure la minima svista o dimenticanza: medici, infermieri e ausiliari sono avvisati (e da tempo ormai). Scattato il turno di lavoro niente telefonino o distrazioni social. Il cellulare in tasca non è più ammesso; e i collaboratori lo sanno bene. La regola, infatti, non solo vale per tutti, ma è tale dal 2014. Ovvero da quando la direzione generale dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) ha deciso di disciplinare l’uso delle tecnologie audiovisive e delle reti sociali dentro le mura delle sue strutture. Un vademecum che mette al bando telefonate e messaggi nelle ore di lavoro, e con loro linguaggi scorretti, offensivi o addirittura violenti verso pazienti, familiari e operatori del settore.

Certo dopo l’arresto dell’ex infermiere del reparto di Medicina1 dell’Obv – sospettato di aver dato la morte a 17 pazienti in fase terminale – e l’inchiesta condotta all’interno del nosocomio mendrisiense che ha sanzionato altri 5 dipendenti che hanno violato il codice di comportamento (cfr. ‘laRegione’ del 24 gennaio), quelle parole ancorate alla direttiva D-DG-024 – questa la sigla di riconoscimento – pesano come pietre. Oggi quella che è nata come una sorta di guida non fa sconti. Tant’è che nei giorni scorsi nella posta elettronica dell’Ente è circolata un’e-mail determinata a rinfrescare la memoria al personale, richiamato al rispetto rigoroso delle regole.

Obv: la comunicazione era regolare

All’ospedale della Beata Vergine di Mendrisio, in ogni caso, il promemoria, dal primo giugno 2014 (data dell’entrata in vigore della direttiva), è stato quasi annuale. In questi ultimi sei anni (o giù di lì), in effetti, non sono mai mancate comunicazioni, informazioni, indicazioni ai responsabili come ai singoli collaboratori. Per non lasciare nulla al caso all’inizio del 2018 sono calate anche delle istruzioni mirate sull’uso del canale whatsApp; indicazioni che la bacheca video nei locali interni rilancia con regolarità. E se per camici bianchi e no principi e regole sono considerati acquisiti, per i neoassunti si predispone ogni volta un’infarinatura ad hoc. Anche di recente, da nostre informazioni, l’intero personale dell’ospedale regionale ha dovuto seguire una formazione sull’universo digitale. Insomma, da tempo chi opera in corsia è stato messo in condizione di poter interiorizzare le disposizioni; detta altrimenti le informazioni del caso sull’utilizzo di smartphone, tablet, videocamere, computer e registratori c’erano. Il che, a questo punto, chiama in causa la responsabilità personale dell’operatore sanitario. Responsabilità che, giorno dopo giorno, inizia con il gesto di depositare il telefonino nell’armadietto. L’eccezione è ammessa solo in caso di “comprovata necessità ed urgenza, e in assenza di supporti forniti dall’Eoc”. Ente che all’Obv per le esigenze legate alla raccolta dati di carattere professionale mette a disposizione una macchina fotografica e un tablet di servizio.

Ecco cosa dice la direttiva Eoc

Il lessico della direttiva, del resto, è chiaro. Che si parli di strumenti tecnologici o media sociali, blog e chat. È tutto nei 18 articoli che scandiscono lo standard professionale previsto. Detta altrimenti, l’Ente si aspetta dal proprio collaboratore “un comportamento degno della fiducia e della considerazione che la sua funzione esige”. Due sono i passaggi cruciali. Il primo vieta al dipendente di “pubblicare o scambiare informazioni sui media sociali riguardanti i pazienti”, il secondo lo vincola a non “divulgare delle informazioni riguardanti i colleghi di lavoro”. Venir meno al codice, poi, ha un prezzo. Nel caso dei social, ad esempio, il personale “deve in particolare rispettare le regole riguardanti la protezione dei dati personali, e non deve utilizzare o rivelare, durante il rapporto di lavoro o in seguito, fatti di natura confidenziale inerenti al servizio”. Pena la violazione del segreto professionale, “punibile conformemente all’articolo 321 del Codice penale svizzero”, anche con il carcere.