Balerna

Vessazioni al Centro anziani: 'Mettiamoci nei loro panni'

Approdano in Pretura penale anche i due ex operatori. Per l'accusa sono colpevoli di abusi fisici ed emozionali. Per le difese 'i fatti non reggono'

(Ti-Press)
25 ottobre 2019
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Mettersi nei panni degli anziani. Comunque vada a finire la vicenda giudiziaria che in questi anni ha acceso i riflettori sul Centro degli anziani di Balerna e sui maltrattamenti consumati, fra il 2008 e il 2015, fra le sue mura, quelle poche parole dovrebbero restare come un monito, per tutti. Ieri davanti a Siro Quadri, giudice della Pretura penale di Bellinzona, i due (per ora) ex assistenti di cura della struttura hanno fatto di tutto per svincolarsi dalle accuse che intendono inchiodarli, senza sconti, alle loro responsabilità. Ma anche se i loro difensori – gli avvocati Alfio Decristophoris e Verena Fontana, che puntano al proscioglimento– hanno fatto di tutto per scindere il contesto ambientale dalle vicissitudini personali dei loro assistiti – atto finale di una lunga inchiesta –, i fatti che hanno già portato in aula penale due persone (una ex assistente di cura, condannata in via definitiva, e un ex infermiere in attesa del verdetto in appello) inevitabilmente sono aleggiati, di nuovo. Che ne sarà di questi ultimi due protagonisti della storia? La sentenza sarà pronunciata la settimana prossima.

Loro, i due ex operatori, una giovane donna di 33 anni e un uomo di 41, oggi trasferiti ad altro incarico (sempre comunale), respingono (quasi) ogni addebito. «Sono sincero – ha ammesso a un certo punto il 41enne –, l’ho detta io quella frase – “mangia se no paghi la multa di 500 franchi” rivolta a un’ospite con problemi di salute –, ma era in modo ironico e non fatto con cattiveria». Del resto, però, no, non si sentono colpevoli. Quegli atti messi in fila dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni – che contesta la coazione, ripetuta, tentata e consumata – e che rimandano al periodo fra il 2013 e il 2014, si scherniscono i due imputati, non appartengono al loro vissuto professionale. Niente modi bruschi nel mettere a letto le persone; niente epiteti volgari nell’apostrofare i degenti; niente ‘scherzi’ indesiderati. Per la pp gli episodi rimproverati – quattro in un caso, due nell’altro – non sono altro che abusi, fisici, psicologici ed emozionali, e «parole che feriscono, denigrano». Valentina Tuoni non ha potuto fare altro, quindi, che confermare, per entrambi, decreto d’accusa e richiesta di pena: 70 aliquote giornaliere (da 80 franchi ciascuna), sospese, per la 33enne, e 40 aliquote (da 130 franchi l’una), sempre sospese per il 41enne. Troppi i non ricordo di lei, che ne minano la credibilità. Eccessivi i riferimento di ambedue gli ex assistenti alla condizione delle vittime (quattro in tutto), sofferenti di demenza senile o altre patologie. «Altro che allucinazioni, malattia e disabilità», li ha incalzati nella requisitoria, facendo riferimento alle giustificazioni portate poco prima dagli accusati. Qui, ha ribadito, ne va della «dignità e la libertà delle persone di essere trattate con rispetto», come recitano, peraltro, le direttive diramate all’indirizzo del personale delle strutture. «Qui di mezzo – ha insistito – ci sono gli anziani che non hanno i mezzi per difendersi dal nervosismo o dagli ‘scherzi’. Chi ci pensa?». Perché la malattia non dà scelta (e non è nemmeno una colpa). E perché, se è vero che i dipendenti delle case anziani sotto sottoposti a situazioni di stress, allora, in taluni casi, è bene «fare un passo indietro».

I due ex operatori del secondo troncone dell’inchiesta? Sono vittime del contesto generale. Anzi, sono «dei capri espiatori», per dirla con l’avvocato Decristophoris, in un clima amplificato dal clamore mediatico – dito puntato verso giornali e giornalisti – e in un disegno (anche politico) che puntava ben più in alto (direzione e Municipio). Andando ai fatti? Non sono comprovati, in alcuni casi «smentiscono una mera supposizione». Di più, la ricostruzione, ha corroborato l’avvocato Fontana, «non è lineare e credibile, non collima». Il che fa il paio con testimonianze (quelle degli ex colleghi) che «non possono non far sorgere dei dubbi». Morale: non c’è stata violenza, non ci sono maltrattamenti, dunque l’accusa non regge.

A quel punto l’avvocato Tuto Rossi, legale di un accusatore privato, non ce l’ha fatta a trattenersi: «Chiediamo giustizia». Che lo si voglia o no, ha rimarcato, questo è «un processo all’omertà, all’illegalità e all’inefficienza».