Mendrisiotto

Lisa Bosia Mirra chiede un nuovo giudizio

Dopo aver letto le motivazioni scritte della sentenza di condanna della Pretura penale, la 43enne va ora in Appello

2 marzo 2018
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Lo si era detto subito, non appena la Pretura penale di Bellinzona, il 28 settembre scorso, aveva pronunciato il verdetto di colpevolezza nei confronti di Lisa Bosia Mirra: pronti a bussare anche alla Corte europa dei diritti dell’uomo. Il primo gradino, per ora, sarà il Tribunale d’appello a Locarno. Lisa Bosia Mirra ha deciso, infatti, di “chiedere un nuovo giudizio”, portando prove e testimoni sin qui rifiutati. Lo fa sapere in una nota l’Osservatorio giuridico. Recapitata giusto oggi la motivazione scritta della sentenza che condanna la 43enne a una pena pecuniaria di 80 aliquote giornaliere (da 110 franchi l’una), sospesa per due anni, la reazione è stata immediata. Se da un lato si riconosce in effetti che l’aiuto a superare la frontiera dato nel 2016 a 24 cittadini per lo più eritrei e siriani, accampati a quel tempo alla stazione di Como, è stato “sicuramente dettato da un sentimento umanitario” nel solco del suo “impegno sociale”, dall’altro si sottovaluta “la situazione di totale incertezza e precarietà che si era venuta a creare nel campo improvvisato”, di fatto “a cielo aperto e senza alcun servizio minimo”. Non solo,  l’Osservatorio giuridico ricorda come Lisa Bosia Mirra non abbia mai tratto alcun beneficio personale dalla vicenda e non abbia altresì mai messo in pericolo la sicurezza nazionale. I fatti che le sono stati imputati – al pari di quelli contestati a Cédric Herrou in Francia e ad altri volontari in tutta Europa – “rientrano appieno nell’ambito dei cosiddetti ‘reati di solidarietà’”, si rivendica ancora. Il pensiero va ai profughi cileni e all’azione del pastore Rivoir. Nella sentenza il giudice Siro Quadri non ritiene possibile il parallelismo. A quell’epoca, spiega, i fuggitivi “provenivano direttamente da un Paese in subbuglio e, in virtù degli accordi internazionali, non avevano ottenuto nessun supporto da altri Stati. I migranti sostenuti dall’imputata provenivano invece da Como e si trovavano dunque in Italia, che non è certamente un Paese in guerra o un regime dittatoriale”. Il punto, richiama l’Osservatorio giuridico, è che anche in quell’occasione la diaspora cilena transitò dall’Italia, “quindi da un Paese non in guerra, prima di essere ospitata in Ticino”. La battaglia legale, insomma, continua.