Un cittadino viene minacciato e insultato dopo aver chiesto spiegazioni al Municipio sull'assegnazione di numerosi mandati diretti ad alcune società
Una persona viene minacciata e pesantemente insultata dopo aver formulato una richiesta di informazioni al Municipio di Lugano. L’uomo che la aggredisce verbalmente non è un dipendente della Città. Appare dunque evidente che ci sia stata una fuga di notizie dall’interno dell’Amministrazione comunale. Sì perché, altrimenti, quell’uomo che ha messo in scena l’intimidazione in un locale pubblico, come avrebbe potuto sapere il nome di chi ha chiesto spiegazioni all’Esecutivo? Dietro questa violazione del segreto d’ufficio, però, ci potrebbe essere di più e addirittura di peggio. Questi sono solo alcuni aspetti di una vicenda dai contorni ancora sfocati, che meriterebbe chiarimenti sia da parte della politica cittadina che da parte del Ministero pubblico. In realtà, come vedremo, la Procura se n’è già occupata, senza tuttavia affrontare la questione che appare più inquietante.
Andiamo con ordine. La storia comincia con una semplice richiesta formulata al Municipio di Lugano, in merito alla lista dei mandati diretti attribuiti dalla Città alcuni anni fa. Siamo nell’autunno del 2022. In base all’analisi del cittadino, sull’elenco delle commesse assegnate senza concorso pubblico, sono emerse alcune questioni di rilevanza pubblica. Tra queste, il fatto che l’Esecutivo abbia aggiudicato tanti incarichi diretti a poche società. In particolare, ma non solo, a una società attiva nel settore delle pulizie di cui avevamo già riferito nell’edizione del 4 aprile dello scorso anno. Una società che, nel giro di cinque o sei anni, ha ottenuto mandati per un totale di circa 1,3 milioni di franchi. Mosso dalla volontà di approfondire il fenomeno unicamente per l’interesse pubblico, nell’ottobre dello stesso anno, il cittadino (che in seguito è stato minacciato) ha chiesto spiegazioni al Municipio di Lugano. Dal canto suo, una settimana dopo, il Municipio gli ha risposto che avrebbe girato la richiesta ai servizi per un esame approfondito. Poi, al richiedente non è stato detto né riferito più nulla.
Trascorre poco più di un mese. La persona che ha chiesto lumi all’autorità comunale si trova in un locale pubblico, ordina un caffè e nota uno dei pochi avventori presenti che, prima di lasciare il bar, sembra avere delle attenzioni nei suoi confronti, ma nulla più. Dopo qualche secondo, viene avvicinato da un altro uomo visibilmente arrabbiato che gli chiede di seguirlo in un luogo più appartato dell’esercizio pubblico. Lui teme che l’uomo possa mettergli le mani addosso. Al suo rifiuto, l’uomo si altera e comincia ad apostrofarlo con parole pesanti accusandolo di “impicciarsi dei suoi affari”. Ingiurie e minacce di ogni genere continuano per qualche minuto alla presenza di testimoni, poi l’uomo lascia il locale. La persona che ha subito l’aggressione verbale decide di recarsi subito alla gendarmeria di Lugano con l’intenzione di sporgere denuncia contro l’uomo che l’ha minacciato (in seguito scoprirà che si tratta del titolare di una delle società delle quali aveva chiesto informazioni alla Città di Lugano).
Lo stesso giorno, la persona insultata e minacciata chiede e ottiene un incontro con un municipale, che lo riceve a Palazzo Civico. Alla presenza del segretario comunale e di altri funzionari dirigenti, domanda spiegazioni sulla palese violazione del segreto d’ufficio che non può essere stata commessa che da parte di un funzionario della Città. La vittima di minacce decide di informare anche un membro dell’Esecutivo cantonale, visto che la società in questione ha ricevuto mandati diretti anche dal Cantone. In seguito, domanda la conservazione delle riprese della videosorveglianza del bar e del negozio a fianco. Il cittadino non riesce a spiegarsi come sia stato possibile che il titolare della ditta di pulizie abbia saputo che lui aveva chiesto informazioni in merito al nome di quella e di altre società (lette sulla lista delle commesse pubbliche a incarico diretto che la Città, per legge, pubblica una volta all’anno sul suo sito) e in che modo sapesse che lui era in quel bar del centro città quella mattina.
Dopo la querela penale, parte l’inchiesta del Ministero pubblico e le indagini passano alla polizia, che comincia a interrogare i protagonisti alcuni mesi dopo i fatti. Nel frattempo, il denunciante chiede che vengano acquisite agli atti le registrazioni del sistema di videosorveglianza del locale pubblico e del negozio adiacente. Il tempo passa senza che il video del bar venga acquisito nonostante un immediato ordine di perquisizione. Perciò, il legale del denunciante sollecita ripetutamente gli inquirenti e il Ministero pubblico. Trascorrono quasi due anni dai fatti prima che la polizia proceda all’acquisizione del video dell’esercizio pubblico, dove è avvenuta l’aggressione verbale. In seguito, sono emersi aspetti allarmanti dal verbale dell’interrogatorio dell’aggressore, che ha ammesso i fatti ed è stato condannato a una pena pecuniaria per minaccia e ingiuria attraverso un decreto d’accusa. Il titolare della società ha infatti dichiarato di essere stato contattato da un responsabile del Dicastero sport di Lugano, che gli ha raccontato della richiesta di informazioni formulata dal cittadino anche sugli incarichi ricevuti dalla sua ditta. Non solo. Sempre nel verbale, l’uomo afferma che il sindaco di Lugano ha contattato tutti i responsabili dei vari dicasteri per fare luce sulla vicenda e che alla fine il problema è rientrato e la cosa si è quietata.
Non sappiamo per quali ragioni questo aspetto preoccupante non sia stato considerato dal procuratore pubblico che ha firmato il decreto nei confronti dell’aggressore. Forse non è stato ritenuto attinente al caso particolare. Eppure, per circostanziare questo elemento rilevante della vicenda, il legale del denunciante aveva presentato un’istanza probatoria (in seguito respinta) chiedendo al titolare delle indagini di interrogare anche altre persone, che avrebbero potuto chiarire ed eventualmente escludere congetture su risvolti più preoccupanti. A cominciare dall’ipotesi che potesse esserci un’intesa (segreta?) tra la Città o alcuni funzionari dell’Amministratzione comunale e la società, o addirittura anche possibili infiltrazioni di organizzazioni. Una parte di queste persone indicate nell’istanza sono attive a vario titolo nella ditta e in altre società a essa legate, un’altra è un ex alto funzionario della Polizia di Lugano, infine il denunciante aveva chiamato in causa anche il dirigente del Dicastero sport, che è stato tirato in ballo a verbale dall’aggressore, non da ultimo l’agente che ha interrogato le parti.
Eppure, l’approfondimento di questo aspetto, per certi versi inquietante, sarebbe stato una maniera per eliminare dubbi e sospetti. In particolare, alla luce del precedente penale risalente a un decennio fa, proprio nel settore delle pulizie e proprio a Lugano. In quel caso, lo ricordiamo, erano coinvolte tre persone. Di queste, due lavoravano nel Dicastero servizi urbani di Lugano e ricevettero mazzette dal titolare di una società, che in cambio otteneva dei lavori dalla Città. Tutti e tre vennero arrestati nel 2014 su ordine dell’allora procuratore generale John Noseda, con l’accusa di corruzione passiva, abuso d’autorità, infedeltà nella gestione pubblica e falsità in documenti. Il caso fece parecchio clamore. Al termine del processo, che venne celebrato nel gennaio del 2017, il giudice Mauro Ermani, presidente della Corte delle Assise correzionali di Lugano, condannò il terzetto a pene sospese con la condizionale, per aver accettato, viceversa consegnato, bustarelle per allestire 36 fatture false, assicurando così un indebito profitto ai due ex funzionari, da un lato, e la possibilità di continuare a lavorare per l’ente pubblico dall’altro. Preme segnalare che, in merito alla vicenda di cui stiamo parlando, nemmeno la Città di Lugano ha ritenuto di dover segnalare il fatto al Ministero pubblico, nonostante l’obbligo di denuncia prescritto dall’articolo 104a della Legge organica comunale.
Nel rispetto della Legge sulle commesse pubbliche, da qualche anno Cantone e Comuni sono tenuti a pubblicare entro il mese di marzo, in forma elettronica, la lista delle commesse che superano i 5’000 franchi aggiudicate su invito o incarico diretto l’anno precedente. La lista contiene gli importi, i nomi e le sedi delle società aggiudicatarie, e deve rimanere accessibile sino alla sua sostituzione con quella dell’anno successivo. Una lista che desta l’interesse dei media e di alcuni cittadini che solitamente chiedono ulteriori informazioni agli enti pubblici. Giusto per rendere l’idea della quantità di prestazioni e di soldi pubblici che vengono erogati, nel 2023, la Città di Lugano ha speso 53,34 milioni di franchi per prestazioni attribuite tramite incarico diretto o su invito. Un importo inferiore rispetto a quello dell’anno precedente (poco meno di 62 milioni di franchi nel 2022), anche se le fatture sono risultate in crescita. Sempre nel 2023, il totale delle uscite è suddiviso in 2’220 posizioni, mentre nel 2022 per 2’049 mandati. Proprio nel 2023, il nome della società di cui stiamo parlando compare 27 volte nella lista e, nel complesso, ha effettuato lavori per 380’000 franchi. Nell’arco di dieci anni, la stessa società ha incassato svariati milioni di franchi per le prestazioni fornite. Anche il nome di altre ditte compare più volte.
Il fatto che sulla lista alcuni nomi siano ricorrenti, potrebbe essere al limite della Legge sulle commesse pubbliche. A meno che l’attribuzione, da parte di un ente pubblico, di più incarichi diretti alla stessa azienda non sia indispensabile. Come pare non sia il caso nel settore delle pulizie. Occorrerebbe forse indire dei concorsi pubblici, a garanzia della parità di trattamento e dell’obbligo imposto ai committenti di promuovere un’efficace e libera concorrenza. Sì, perché la ripetuta assegnazione di appalti alla medesima società, potrebbe configurarsi come una suddivisione di un mandato di lunga durata come sostiene il Tribunale amministrativo cantonale in una recente sentenza.